Fedor Dostoevskij 3. "Sonja, la domanda sul dolore si fa fede" di Giovanni Moleri |
Nei romanzi di Dostoevskij, Dio parla attraverso gli avvenimenti, i fatti, le situazioni, che si fanno parola e Provvidenza per chi li vive e per chi li legge. Nell’opera di Dostoevskij c’è una figura rilevante che mostra quanto il silenzio di Dio sia la voce dell’uomo. Voce che, se parlasse apertamente, schiaccerebbe all’istante ed in ogni attimo la possibilità umana di libertà. In particolare c’è una donna, tra le altre, che lambisce in modo iconico alla Theotokos, la Madre di Dio, la Madre di tutti gli uomini. Il suo nome è Sonja Semjonova Marmeladova.
È l’icona della santità che supera il bieco sentimento moralistico del pensiero comune perbenista su cosa sia moralmente buono.
Figlia di un fallito e alcolizzato, Semion Marmeladov, alla morte di questi, come unica eredità, ella assume su di sé la sopravvivenza dei fratelli e della matrigna, Katerina Ivanovna, ormai consunta dalla tisi. Rimasta orfana, infatti, si prostituisce per dare un “tozzo” di pane ai suoi fratelli.
Il suo destino si lega a quello dell’omicida Raskòlnikov, studente squattrinato che si è macchiato della colpa di aver ucciso un’usuraia in nome di un potenziale mondo nuovo, da realizzarsi con le possibilità economiche raggiunte attraverso tale delitto.
Ma chi è in verità Sonja? Quali sono i suoi tratti caratteristici? Ed infine, quale immagine metaforica esprime nel tracciato Dostoevskiano?
Innanzitutto ecco come gli occhi di Raskòlnikov la incontrano la prima volta: "… era una ragazza modestamente, quasi poveramente, vestita … sembrava una bambina, modesta e serena nei modi, con un viso sereno, ma come un po’ spaurito … non la si poteva neppure dire bellina ma i suoi occhi celesti erano così limpidi e, quando si animavano, l’espressione del viso diventava così buona e semplice che involontariamente ci si sentiva attirati”.
Molti sostengono che, protopaticamente, qui Dostoevskji tracci, secondo il metodo dell’icona, il volto e la figura di questa donna. Se ciò fosse vero ci sarebbe l’intenzione di porci dinnanzi ad una rappresentazione sacra di questa figura di donna. Il romanzo, apparentemente in contraddizione con tale ipotesi, ci dice che ella svolge il lavoro di prostituta, cioè un lavoro di peccato, di cui ella, non solo è accusata, ma del quale è oltremodo consapevole. Ma questa condizione disonorevole sembra non toccare una certa sua purezza, il suo offrirsi per i "suoi piccoli".
"Ma dimmi dunque, una volta per tutte – proferì Raskolnikòv – come mai una simile vergogna e tanta bassezza possono trovare posto in te accanto ad altri opposti e sacri sentimenti? Sarebbe più giusto, vedi, mille volte più giusto e più ragionevole gettarsi a capofitto nell’acqua e finirla di colpo”. La risposta di Sonja è semplice, lapidaria, altruista: “E di loro (dei miei piccoli) che sarebbe?”. Forse parecchie volte è stata colta dalla tentazione di farlo ma ha deciso sempre per gli altri, con estremo realismo: la sua morte sarebbe costata altra sofferenza. Così accetta su di sé, almeno in parte, la sofferenza altrui.
Questa condivisione del destino altrui, questo farsi carico dell’altrui croce, fino a morirne (poiché ella sembra apparentemente soccombere nell’identità e nell’amore), nel suo lavoro quotidiano ha una forza che la redime, che la fa risorgere, che non l’abbandona mai, anzi che la muove senza risparmio a pietà del volto umano scaraventato nel sottosuolo.
Raskòlnikov le confessa il suo delitto e lei, di pari punto “… balzò su e, torcendosi le mani, andò fino al mezzo della stanza ma poi tornò a sedersi sul letto, spalla a spalla con quella di Raskòlnikov. D’improvviso mandò un grido e si buttò dinnanzi a lui in ginocchio: - che avete fatto? Che avete fatto di voi? – disse disperatamente e, balzata in piedi, gli si gettò al collo, lo abbracciò e lo strinse forte forte con le mani … - No, ora non c’è uomo al mondo più infelice di te - … ed ad un tratto si mise a piangere … Raskòlnikov sentì un sentimento che egli da tempo più non conosceva che affluì in un’ondata nella sua anima e di colpo si riaddolcì“.
E più in là ancora, quando Raskòlnikov racconta la teoria che giustifica il suo omicidio, Sonja, senza turbamento e con grande decisione, gli grida: “Tacete, tacete! Vi siete allontanato da Dio e Dio vi ha colpito, vi ha abbandonato al Demonio”. C’è in Sonja un riferimento preciso che dà i termini del limite al potere dell’uomo, che dà i termini della perdita del senso vero dell’umanità, che sa guardare, oltre l’apparenza, la realtà umana: il riferimento a Dio.
“- Tu dunque preghi molto Dio, Sonja? – le domandò. Sonja stava in piedi, taceva, accanto a lui che aspettava una risposta. – Che sarei mai senza Dio? – sussurrò ella rapida, alzando gli occhi su di lui tutto d’un tratto scintillanti, e gli serrò forte la mano nella propria. – E Dio cosa fa per te? – domandò ancora egli. – Tacete! Non fatemi domande. Voi non siete degno. – gridò ad un tratto, guardandolo severamente e con collera. – Tutto fa! – ella sussurrò abbassando gli occhi. (È la stessa risposta che il capitano dà nel romanzo “I Demoni”: "Se Dio non esiste come potrei io essere capitano?”).
Vi è ancora un tratto della natura di Sonja che emerge da tutto il romanzo di Dostoevskji. Ella sembra avere un forte ascendente, oserei dire una seduzione su chi l’avvicina. Un fascino che disarma chi la incontra, ma la sua bellezza è il suo Dio. Dice P. Evdokimov: “Il mondo non esiste se non perché è amato e la sua esistenza testimonia del Padre che ha tanto amato il mondo" (come è scritto in Giovanni 3,16). Potremmo dire di Sonja altrettanto. Nel romanzo, lei ha tanto amato il mondo al punto di essere dove la vita le chiede di essere.
Dice Romano Guardini: “Ella è là, dove, secondo la parola di Cristo, si trovano gli umili e i reietti, i pubblicani e i peccatori. Tra lei e Cristo c’è un’intesa, essi hanno un segreto comune. Questo gli conferisce autorità, di questo ella vive. Di qui le viene quella chiarezza interiore che le vieta di lasciarsi andare a Raskòlnikov, quantunque ella ora lo ami”. Così, con questa forza, ella parte, quasi rifiutata da Raskòlnikov, con lui per la Siberia, dove diviene madre dei carcerati (“… rammendava loro i calzini”). E là, nel silenzio in cui Raskòlnikov la lascia e in cui lei discretamente si mette, ella pone un seme, un inizio in cui la libertà di Raskolnikov si possa trasformare in conversione: una bibbia, che egli non ha ancora aperto perché troppo convinto di sé. Ciò che le parole di Sonja ci dicono, l’immagine ce lo mostra silenziosamente. Così Sonja diviene testimone annunciatrice del suo credo, dell’amore che ha nel cuore, che sa dare luce e rendere buono ciò che era buio e nel male.
Chi legge il romanzo, davanti a Sonja prova un senso di profonda meraviglia: ella trasfigura, sa cogliere la verità nel cuore dell’uomo perché di essa si nutre, come Miskin ne “L’idiota”. Luce, Verità, Dolcezza, Bontà, Compassione e Carità, rendono bello ciò che lei è e ciò che è la sua vita. Sonja si piega sul mondo per servirlo e per dare in tal modo gloria a colui che per lei fa tutto. Sonja sembra essere agli occhi di Dostoievkij la Bellezza sofianica del senso, cioè ella è la personificazione della Carità. Guardando Sonja Marmeladova si comprende l’affermazione di Dostoevskji: "La Bellezza della donna salverà il mondo”.
A volte Sonja ci appare talmente limpida nella sua personalità e nella donazione gratuita di sé che ci sembra rasentare la follia, quella dei Santi in Dio, nonostante la contraddizione. “Che sarei io se Dio non ci fosse? Lui che fa tutto per me!”. In questa frase Sonja raggiunge i vertici della sua vera natura, della sua grande Bontà, infine della sua incredibile Bellezza, che la rende collaboratrice del lavoro di Dio: essere madre, nella stessa forma in cui lo è la Chiesa, generatrice (Raskòlnikov rinasce a vita nuova grazie a lei), unificatrice (i carcerati sembrano essere dei bambini intorno alla gonna della madre), paziente nella carità (Sonja attende nel silenzio la conversione di Raskòlnikov, confidando nella Provvidenza: “Ma io non posso conoscere la Provvidenza Divina e perché domandate quello che non si può domandare? Perché queste domande vuote?”), semplicemente essere pronta.
Che ci stiamo a fare qui? Che senso ha essere? Che vale soffrire e amare? Queste domande poste sin dall’inizio, in Sonja prendono e spalancano ad una visione altra da quella che in Ivan Karamazov genera la “rivolta contro Dio”. In Sonja si fanno fede. (La Nuova Bussola quotidiana del 6-3-2
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