Il Sultano d'Egitto sottopose a Francesco D'Assisi un'altra questione: "II vostro Signore insegna nei Vangeli che voi non dovete rendere male per male, e non dovete rifiutare neppure il mantello a chi vuol togliervi la tonaca,dunque voi cristiani non dovreste imbracciare armi e combattere i vostri nemici".
Rispose San Francesco: "Mi sembra che voi non abbiate letto tutto il Vangelo. Il perdono di cui Cristo parla non è un perdono folle, cieco, incondizionato, ma un perdono meritato. Gesù infatti ha detto: "Non date ciò che è santo ai cani e non gettate le vostre perle ai porci, perché non le calpestino e, rivoltandosi, vi sbranino". Infatti il Signore ha voluto dirci che la misericordia va dispensata a tutti, anche a chi non la merita, ma che almeno sia capace di comprenderla e farne frutto, e non a chi è disposto ad errare con la stessa tenacia e convinzione di prima. Altrove, oltretutto, è detto: "Se il tuo occhio ti è occasione di scandalo, cavalo e gettalo lontano da te”. E, con questo, Gesù ha voluto insegnarci che, se anche un uomo ci fosse amico o parente, o perfino fosse a noi caro come la pupilla dell'occhio, dovremmo essere disposti ad allontanarlo, a sradicarlo da noi, se tentasse di allontanarci dalla fede e dall'amore del nostro Dio. Proprio per questo, i cristiani agiscono secondo massima giustizia quando vi combattono, perché voi avete invaso delle terre cristiane e conquistato Gerusalemme, progettate di invadere l’Europa intera, oltraggiate il Santo Sepolcro, distruggete chiese, uccidete tutti i cristiani che vi capitano tra le mani, bestemmiate il nome di Cristo e vi adoperate ad allontanare dalla sua religione quanti uomini potete. Se invece voi voleste conoscere, confessare, adorare, o magari solo rispettare il Creatore e Redentore del mondo e lasciare in pace i cristiani, allora essi vi amerebbero come se stessi". (Numero 2691 delle Fonti Francescane)
"La Chiesa è il luogo dove tutte le verità si incontrano"................. Gilbert Keith Chesterton
CONSULTA L'INDICE PUOI TROVARE OLTRE 4000 ARTICOLI
su santi,filosofi,poeti,scrittori,scienziati etc. che ti aiutano a comprendere la bellezza e la ragionevolezza del cristianesimo
giovedì 28 luglio 2016
Giacomo Biffi: Sull'immigrazione
Giacomo Biffi: Sull'immigrazione
***
Intervento dell'arcivescovo di Bologna al Seminario della Fondazione Migrantes, 30 settembre 2000Premessa
Dovrebbe essere evidente a tutti quanto sia rilevante il tema dell'immigrazione nell'Italia di oggi; ma credo sia altrettanto innegabile l'inadeguata attenzione pastorale e lo scarso realismo con cui finora esso è stato valutato e affrontato. Il fenomeno appare imponente e grave; e i problemi che ne derivano - tanto per la società civile quanto per la comunità cristiana - sono per molti aspetti nuovi, contrassegnati da inedite complicazioni, provvisti di una forte incidenza sulla vita delle nostre popolazioni.
I generici allarmismi senza dubbio non servono, ma nemmeno le banalizzazioni ansiolitiche e le speranzose minimizzazioni. Né si può sensatamente confidare in un rapido esaurirsi dell'emergenza: è improbabile che tutto si risolva quasi autonomamente, senza positivi interventi, e la tensione stia per sciogliersi presto quasi come un temporale estivo, che di solito è di breve durata e non suscita prolungate preoccupazioni.
A una interpellanza della storia come questa si deve dunque rispondere - come, del resto, davanti a tutti gli eventi imprevisti e non eludibili della vicenda umana - senza panico e senza superficialità. Vanno studiate le cause e va accuratamente indagata l'indole multiforme dell'accadimento; ma non si può neanche attardarsi troppo nelle ricerche e nelle analisi, senza mai arrivare a qualche provvedimento mirato e, per quel che è possibile, efficace, perché i turbamenti e le sofferenze derivanti dall'immigrazione sono già in atto.
Un fenomeno che ha sorpreso lo Stato
Dobbiamo riconoscere - e può essere un'attenuante - che siamo stati tutti colti di sorpresa.
E' stato colto di sorpresa lo Stato, che dà tuttora l'impressione di smarrimento; e pare non abbia ancora recuperata la capacità di gestire razionalmente la situazione, riconducendola entro le regole irrinunciabili e gli ambiti propri dell'ordinata convivenza civile. I provvedimenti, che via via vengono predisposti, sono eterogenei e spesso appaiono contradditori: denunciano la mancanza di una qualche progettualità e, più profondamente, denotano l'assenza di una corretta e disincantata interpretazione di ciò che sta avvenendo. Non vediamo che ci sia una "lettura" abbastanza penetrante dei fatti, tale che sia poi in grado di suggerire, sviluppare e sorreggere un indirizzo coerente e saggio di comportamento.
Ha sorpreso anche la comunità ecclesiale
Sono state colte di sorpresa anche le comunità cristiane, ammirevoli in molti casi nel prodigarsi prontamente ad alleviare disagi e pene, ma sprovviste finora di una visione non astratta, non settoriale e abbastanza concorde, in grado di ispirare valutazioni e intenti operativi che tengano conto di tutte le implicazioni degli avvenimenti e di tutti gli aspetti della questione. Le generiche esaltazioni della solidarietà e del primato della carità evangelica - che in sé e in linea di principio sono legittime e anzi doverose - si dimostrano più generose e ben intenzionate che utili, se rifuggono dal commisurarsi con la complessità del problema e la ruvidezza della realtà effettuale.
Anche nella nostra esplicita consapevolezza di pastori, non si ha l'impressione che il fenomeno dell'immigrazione negli ultimi quindici anni - nel corso dei quali esso si è amplificato e acutizzato - sia stato vivo e pungente a misura della sua oggettiva gravità.
Abbiamo avuto in merito due estesi documenti: nel 1990 la Nota pastorale della Commissione ecclesiale "Giustizia e pace" dal titolo: Uomini di culture diverse: dal conflitto alla solidarietà; e nel 1993 gli Orientamenti pastorali della Commissione ecclesiale per le migrazioni dal titolo: Ero forestiero e mi avete ospitato. Ambedue i testi, molto estesi e analitici, sono più che altro (e doverosamente) tesi a costruire e a diffondere nella cristianità una "cultura dell'accoglienza". Manca invece un po' di realismo nel vaglio delle difficoltà e dei problemi; e soprattutto appare insufficiente il risalto dato alla missione evangelizzatrice della Chiesa nei confronti di tutti gli uomini, e quindi anche di coloro che vengono a dimorare da noi.
Gli auspici del pastore
Vorrei adesso dare consistenza al mio cordiale saluto ai partecipanti di questo seminario, esprimendo semplicemente alcuni auspici: nascono dalla riflessione e dal cuore di un vescovo, rivelano più che altro le sue sollecitudini apostoliche e sono formulati nel rispetto di quanti - studiosi, operatori sociali, pubbliche autorità - sono chiamati in causa dalla necessità di dare rapida e sufficiente risposta all'emergenza che qui prende il nostro interesse.
Non dovrebbe essere inutile che agli esami e alle considerazioni di natura politica, economica, antropologica, culturale dei competenti (e prestando ad essi la dovuta attenzione) si aggiunga anche la prospettiva di chi - essendo a tutti gli effetti cittadino italiano e avendo l'originale presunzione di poter esporre anche in quanto tale il proprio parere - si sente soprattutto responsabile del presente e dell'avvenire del gregge di Cristo che gli è stato affidato; e, tra l'altro, non può mai dimenticare l'inquietante domanda che il Signore Gesù ha lasciato senza risposta: "Il Figlio dell'uomo, quando verrà, troverà la fede sulla terra?" (Lc 18,8).
Gli auspici per lo Stato e la società civile
L'auspicio sostanziale che crediamo di dover formulare per lo Stato e la società civile, è che si chiariscano e siano comunemente accolte alcune persuasioni previe, sicché ci si accosti al fenomeno dell'immigrazione provvisti di una "cultura" plausibile largamente condivisa.
E' incontestabile, per esempio, il principio che a ogni popolo debbano essere riconosciuti gli spazi, i mezzi, le condizioni che gli consentano non solo di sopravvivere ma anche di esistere e svilupparsi secondo quanto è richiesto dalla dignità umana. Gli organismi internazionali sono sollecitati a farsi carico delle iniziative atte a conseguire questa mèta e non possono perdere di vista questo necessario ideale di giustizia distributiva generale; e tutto ciò vale - in modo proporzionato e secondo le reali possibilità - anche per i singoli stati.
Ma non se ne può dedurre - se si vuol essere davvero "laici" oltre tutti gli imperativi ideologici - che una nazione non abbia il diritto di gestire e regolare l'afflusso di gente che vuol entrare a ogni costo. Tanto meno se ne può dedurre che abbia il dovere di aprire indiscriminatamente le proprie frontiere.
Bisogna piuttosto dire che ogni auspicabile progetto di pacifico inserimento suppone ed esige che gli accessi siano vigilati e regolamentati. E' tra l'altro davanti agli occhi di tutti che gli ingressi arbitrari - quando hanno fama di essere abbastanza agevolmente effettuabili - determinano fatalmente da un lato il dilatarsi incontrollato della miseria e della disperazione (e spesso pericolose insorgenze di intolleranza e di rifiuto assoluto), dall'altro il prosperare di un'industria criminale di sfruttamento di chi aspira a varcare clandestinamente i confini.
Progetti realistici complessivi
Ciò che dobbiamo augurare al nostro Stato e alla società italiana è che si arrivi presto a un serio dominio della situazione, in modo che il massiccio arrivo di stranieri nel nostro paese sia disciplinato e guidato secondo progetti concreti e realistici di inserimento che mirino al vero bene di tutti, sia dei nuovi arrivati sia delle nostre popolazioni.
Tali progetti dovrebbero contemplare tanto la possibilità di un lavoro regolarmente remunerato quanto la disponibilità di alloggi dignitosi non gratuiti: per questa strada si potrà arrivare a un sicuro innesto entro il nostro organismo sociale, senza discriminazioni e senza privilegi.
Chi viene da noi deve sapere subito che gli sarà richiesto, come necessaria contropartita dell'ospitalità, il rispetto di tutte le norme di convivenza che sono in vigore da noi, comprese quelle fiscali. Diversamente non si farebbe che suscitare e favorire perniciose crisi di rigetto, ciechi atteggiamenti di xenofobia e l'insorgere di deplorevoli intolleranze razziali.
Criteri attuativi
La pratica attuazione di questi progetti obbedirà necessariamente a criteri che saranno anche economici: l'Italia ha bisogno di forze lavorative che non riesce più a trovare nell'ambito della sua popolazione.
A questo proposito, dovrebbero essere tutti ormai persuasi di quanto sia stata insipiente la linea perseguita negli ultimi quarant'anni, con l'ossessivo terrorismo culturale antidemografico e con l'assenza di ogni correttivo legislativo e politico che ponesse qualche rimedio all'egoistica e stolta denatalità, da molto tempo ai vertici delle statistiche mondiali. Tutto questo nonostante l'esempio contrario delle nazioni d'Europa più accorte, più lungimiranti, più civili, che non hanno esitato a prendere in questo campo intelligenti e realistici provvedimenti.
La salvaguardia dell'identità nazionale
Ma i criteri di cui si parla non potranno essere soltanto economici e previdenziali.
Una consistente immissione di stranieri nella nostra penisola è accettabile e può riuscire anche benefica, purché ci si preoccupi seriamente di salvaguardare la fisionomia propria della nazione. L'Italia non è una landa deserta o semidisabitata, senza storia, senza tradizioni vive e vitali, senza una inconfondibile fisionomia culturale e spirituale, da popolare indiscriminatamente, come se non ci fosse un patrimonio tipico di umanesimo e di civiltà che non deve andare perduto.
Sotto questo profilo, uno Stato davvero "laico" - che cioè abbia di mira non il trionfo di qualche ideologia, ma il vero bene degli uomini e delle donne sui quali esercita la sua attività di amministrazione e di governo, e voglia loro preparare con accortezza un desiderabile futuro - dovrebbe avere tra le sue preoccupazioni primarie quella di favorire la pacifica integrazione delle genti (come si è già storicamente verificato nell'incontro tra le popolazioni latine e quelle germaniche sopravvenute) o quanto meno una coesistenza non conflittuale; una compresenza e una coesistenza che comunque non conducano a disperdere la nostra ricchezza ideale o a snaturare la nostra specifica identità.
Bisogna perciò concretamente operare perché coloro che intendono stabilirsi da noi in modo definitivo "si inculturino" nella realtà spirituale, morale, giuridica del nostro paese, e vengano posti in condizione di conoscere al meglio le tradizioni letterarie, estetiche, religiose della peculiare umanità della quale sono venuti a far parte.
A questo fine, le concrete condizioni di partenza degli immigrati non sono ugualmente propizie; e le autorità non dovrebbero trascurare questo dato della questione.
In una prospettiva realistica, andrebbero preferite (a parità di condizioni, soprattutto per quel che si riferisce all'onestà delle intenzioni e al corretto comportamento) le popolazioni cattoliche o almeno cristiane, alle quali l'inserimento risulta enormemente agevolato (per esempio i latino-americani, i filippini, gli eritrei, i provenienti da molti paesi dell'Est Europa, eccetera); poi gli asiatici (come i cinesi e i coreani), che hanno dimostrato di sapersi integrare con buona facilità, pur conservando i tratti distintivi della loro cultura. Questa linea di condotta - essendo "laicamente" motivata - non dovrebbe lasciarsi condizionare o disanimare nemmeno dalle possibili critiche sollevate dall'ambiente ecclesiastico o dalle organizzazioni cattoliche.
Come si vede, si propone qui semplicemente il "criterio dell'inserimento più agevole e meno costoso": un criterio totalmente ed esplicitamente "laico", a proposito del quale evocare gli spettri del razzismo, della xenofobìa, della discriminazione religiosa, dell'ingerenza clericale e perfino della violazione della Costituzione, sarebbe un malinteso davvero mirabile e singolare; il quale, se effettivamente si verificasse, ci insinuerebbe qualche dubbio sulla perspicacia degli opinionisti e dei politici italiani.
Il caso dei musulmani
Se non si vuol eludere o censurare tale realistica attenzione, è evidente che il caso dei musulmani vada trattato a parte. Ed è sperabile che i responsabili della cosa pubblica non temano di affrontarlo a occhi aperti e senza illusioni.
Gli islamici - nella stragrande maggioranza e con qualche eccezione - vengono da noi risoluti a restare estranei alla nostra "umanità", individuale e associata, in ciò che ha di più essenziale, di più prezioso, di più "laicamente" irrinunciabile: più o meno dichiaratamente, essi vengono a noi ben decisi a rimanere sostanzialmente "diversi", in attesa di farci diventare tutti sostanzialmente come loro.
Hanno una forma di alimentazione diversa (e fin qui poco male), un diverso giorno festivo, un diritto di famiglia incompatibile col nostro, una concezione della donna lontanissima dalla nostra (fino a praticare la poligamia). Soprattutto hanno una visione rigorosamente integralista della vita pubblica, sicché la perfetta immedesimazione tra religione e politica fa parte della loro fede indubitabile e irrinunciabile, anche se aspettano prudentemente a farla valere di diventare preponderanti. Non sono dunque gli uomini di Chiesa, ma gli stati occidentali moderni a dover far bene i loro conti a questo riguardo.
Va anzi detto qualcosa di più: se il nostro Stato crede sul serio nell'importanza delle libertà civili (tra cui quella religiosa) e nei princìpi democratici, dovrebbe adoperarsi perché essi siano sempre più diffusi, accolti e praticati a tutte le latitudini. Un piccolo strumento per raggiungere questo scopo è quello della richiesta che venga data una "reciprocità" non puramente verbale da parte degli stati di origine degli immigrati.
Scrive a questo proposito la Nota Cei del 1993: 'In diversi paesi islamici è quasi impossibile aderire e praticare liberamente il cristianesimo. Non esistono luoghi di culto, non sono consentite manifestazioni religiose fuori dell'islam, né organizzazioni ecclesiali per quanto minime. Si pone così il difficile problema della reciprocità. E' questo un problema che non interessa solo la Chiesa, ma anche la società civile e politica, il mondo della cultura e delle stesse relazioni internazionali. Da parte sua il papa è instancabile nel chiedere a tutti il rispetto del diritto fondamentale della libertà religiosa' (n. 34). Ma - diciamo noi - chiedere serve a poco, anche se il papa non può fare di più.
Per quanto possa apparire estraneo alla nostra mentalità e persino paradossale, il solo modo efficace e non velleitario di promuovere il "principio di reciprocità" da parte di uno Stato davvero "laico" e davvero interessato alla diffusione delle libertà umane, sarebbe quello di consentire in Italia per i musulmani, sul piano delle istituzioni da autorizzare, solo ciò che nei paesi musulmani è effettivamente consentito per gli altri.
Cattolicesimo "religione nazionale storica"
Quanto ai rapporti da intrattenere con le diverse religioni, che sono presenti tra noi in conseguenza dell'immigrazione, sarà bene che nessuno ignori o dimentichi che il cattolicesimo - che indiscutibilmente non è più la "religione ufficiale dello Stato" - rimane nondimeno la "religione storica" della nazione italiana, la fonte precipua della sua identità, l'ispirazione determinante delle nostre più vere grandezze.
Sicché è del tutto incongruo assimilarlo socialmente alle altre forme religiose o culturali, alle quali dovrà essere assicurata piena e autentica libertà di esistere e di operare, senza però che questo comporti un livellamento innaturale o addirittura un annichilimento dei più alti valori della nostra civiltà.
Va anche detto che è una singolare visione della democrazia il far coincidere il rispetto degli individui e delle minoranze con il non rispetto della maggioranza e l'eliminazione di ciò che è acquisito e tradizionale in una comunità umana. Dobbiamo qui segnalare purtroppo casi sempre più numerosi di questa, che è una "intolleranza sostanziale", per esempio quando nelle scuole si aboliscono i segni e gli usi cattolici per la presenza di alcuni di altre fedi.
Alle comunità ecclesiali
Che cosa diremo di illuminante e di pratico alle comunità cristiane, che di questi tempi sono per la verità afflitte da poca chiarezza di idee e da molte incertezze comportamentali?
In primo luogo, deve essere manifesto a tutti che non è per sé compito della Chiesa come tale risolvere ogni problema sociale che la storia di volta in volta ci presenta. Le nostre comunità e i nostri fedeli non devono perciò nutrire complessi di colpa a causa delle emergenze anche imperiose che essi con le loro forze non riescono ad appianare. Sarebbe un implicito, ma comunque intollerabile e grave "integralismo" il credere che le aggregazioni ecclesiali e i cattolici possano essere responsabilizzati di tutto.
Qualche volta i malintesi sono involontariamente propiziati dalle pubbliche autorità che, quando non sanno che pesci pigliare, fanno appello alle nostre supplenze e fatalmente ci coinvolgono (dando in tal modo implicito riconoscimento che le organizzazioni ecclesiali sono tra quelle che in Italia riescono ancora a funzionare).
L'annuncio del Vangelo e l'osservanza della carità
Compito primario e indiscutibile delle comunità ecclesiali è l'annuncio del Vangelo e l'osservanza del comando dell'amore. Di fronte a un uomo in difficoltà - quale che sia la sua razza, la sua cultura, la sua religione, la legalità della sua presenza - i discepoli di Gesù hanno il dovere di amarlo operosamente e di aiutarlo a misura delle loro concrete possibilità.
Il Signore ci chiederà conto della genuinità e dell'ampiezza della nostra carità e ci domanderà se abbiamo fatto tutto il possibile. Su questo però - sarà bene che nessuno se lo dimentichi - noi siamo tenuti a rispondere non ad altri, ma solo al Signore.
Non surrogabilità dell'evangelizzazione
Dovere statutario della Chiesa Cattolica e compito di ogni battezzato è di far conoscere esplicitamente Gesù di Nazaret, il Figlio di Dio morto per noi e risorto, oggi vivo e Signore dell'universo, unico Salvatore di tutti.
Tale missione può essere coadiuvata ma non surrogata dall'attività assistenziale che riusciremo a offrire ai nostri fratelli. Suppone la nostra attitudine al dialogo sincero, aperto, rispettoso con tutti, ma non può risolversi nel solo dialogo. E' favorita dalla conoscenza oggettiva delle posizioni altrui, ma si avvera soltanto nella conoscenza di Cristo cui noi riusciamo a portare i nostri fratelli, che sventuratamente ancora non ne sono gratificati.
Inoltre l'azione evangelizzatrice è di sua natura universale e non tollera deliberate esclusioni di destinatari. Il Signore non ci ha detto: "Predicate il Vangelo ad ogni creatura, tranne i musulmani, gli ebrei e il Dalai Lama" (cf Mc 16,15). Chi ci contestasse la legittimità o anche solo l'opportunità di questo annuncio illimitato e inderogabile, peccherebbe di intolleranza nei nostri confronti: ci proibirebbe infatti di essere quello che siamo, vale a dire "cristiani"; cioè obbedienti alla chiara ed esplicita volontà di Cristo.
E' molto importante che tutti i cattolici si rendano conto di questa loro indeclinabile responsabilità. E per essere buoni evangelizzatori, persuasi dentro di sé e persuasivi nei confronti degli altri, essi devono crescere sempre più nella intelligenza e nella gioiosa ammirazione degli immensi tesori di verità, di sapienza, di consolante speranza che hanno la fortuna di possedere: è una effusione sovrumana, anzi divinizzante di luce, assolutamente inconfrontabile con i pur preziosi barlumi offerti dalle varie religioni e dall'Islam; e noi siamo chiamati a proporla appassionatamente e instancabilmente a tutti i figli di Adamo.
Approccio realisticamente differenziato
Le comunità cristiane - in funzione di un approccio sapiente e realistico al fenomeno dell'immigrazione - non possono non valutare attentamente i singoli e i gruppi, in modo da assumere poi gli atteggiamenti più pertinenti e più opportuni.
Agli immigrati cattolici - quale che sia la loro lingua e il colore della loro pelle - bisogna far sentire nella maniera più efficace che all'interno della Chiesa non ci sono "stranieri": essi a pieno titolo entrano a far parte della nostra famiglia di credenti, e vanno accolti con schietto spirito di fraternità.
Quando sono presenti in numero rilevante e in aggregazioni omogenee consistenti, andranno sinceramente incoraggiati a conservare la loro tipica tradizione cattolica, che sarà oggetto di affettuosa attenzione da parte di tutti. La compresenza di queste diverse "forme" di vita ecclesiale e di culto autentico costituirà senza dubbio un arricchimento spirituale per lintera cristianità.
Ai cristiani delle antiche Chiese orientali, che non sono ancora nella piena comunione con la Sede di Pietro, esprimeremo simpatia e rispetto. E, in conformità agli eventuali accordi generali e secondo l'opportunità, potremo favorirli anche dell'uso di qualche nostra chiesa per le loro celebrazioni.
Gli appartenenti alle religioni non cristiane vanno amati e, quanto è possibile, aiutati nelle loro necessità. Da alcuni di loro - segnatamente dai musulmani - possiamo tutti imparare la fedeltà ai loro esercizi rituali e ai loro momenti di preghiera, ma non tocca a noi prestare positive collaborazioni alla loro pratica religiosa.
A questo proposito, è utile richiamare quanto è disposto dalla Nota CEI del 1993, già citata: "Le comunità cristiane, per evitare inutili fraintendimenti e confusioni pericolose, non devono mettere a disposizione, per incontri religiosi di fedi non cristiane, chiese, cappelle e locali riservati al culto cattolico, come pure ambienti destinati alle attività parrocchiali" (n. 34).
Come si può capire dalla complessità di questa problematica, non è ammissibile che essa sia affrontata 'in toto' dalla "Caritas italiana", che ha un ben delimitato campo di valutazione e di interesse. Sui temi della evangelizzazione, della identità cristiana del nostro popolo, delle concrete difficoltà pastorali - e dunque sulla questione della immigrazione globalmente intesa - non dovrebbero esserci deleghe a nessun particolare organismo ecclesiale.
Conclusione
In un'intervista di una decina d'anni fa, mi è stato chiesto con molto candore e con invidiabile ottimismo: "Ritiene anche Lei che l'Europa o sarà cristiana o non sarà?". Mi pare che la mia risposta di allora possa ben servire alla conclusione del mio intervento di oggi.
Io penso - dicevo - che l'Europa o ridiventerà cristiana o diventerà musulmana. Ciò che mi pare senza avvenire è la "cultura del niente", della libertà senza limiti e senza contenuti, dello scetticismo vantato come conquista intellettuale, che sembra essere l'atteggiamento largamente dominante nei popoli europei, più o meno tutti ricchi di mezzi e poveri di verità. Questa "cultura del niente" (sorretta dall'edonismo e dalla insaziabilità libertaria) non sarà in grado di reggere all'assalto ideologico dell'Islam, che non mancherà: solo la riscoperta dell'avvenimento cristiano come unica salvezza per l'uomo - e quindi solo una decisa risurrezione dell'antica anima dell'Europa - potrà offrire un esito diverso a questo inevitabile confronto.
Purtroppo né i "laici" né i "cattolici" pare si siano finora resi conto del dramma che si sta profilando. I "laici", osteggiando in tutti i modi la Chiesa, non si accorgono di combattere l'ispiratrice più forte e la difesa più valida della civiltà occidentale e dei suoi valori di razionalità e di libertà: potrebbero accorgersene troppo tardi. I "cattolici", lasciando sbiadire in se stessi la consapevolezza della verità posseduta e sostituendo all'ansia apostolica il puro e semplice dialogo a ogni costo, inconsciamente preparano (umanamente parlando) la propria estinzione.La speranza è che la gravità della situazione possa a un certo momento portare a un efficace risveglio sia della ragione sia dell'antica fede.
E' il nostro augurio, il nostro impegno, la nostra preghiera.
__________
27.10.2000
martedì 26 luglio 2016
Maometto visto da S. Giovanni Bosco
Maometto visto da S. Giovanni Bosco
Qui di seguito riporto una pagina del trattato popolare sulla vera religione dal titolo «Il Cattolico istruito nella sua religione: trattenimenti di un padre di famiglia co’ suoi figliuoli, secondo i bisogni del tempo, epilogati dal Sacerdote Bosco Giovanni» (1853) per fare un po’ di chiarezza, alquanto necessaria in questi tempi……
***
Il dialogo citato è tra un padre di famiglia preoccupato per la salvezza dell’anima dei figli ed il figlio maggiore che parla a nome di tutti gli altri fratelli:
Se vi piace, io vi parlerò delle altre cominciando dal Maomettismo.
F. Sì, sì, cominciate per dirci che cosa s’intenda per Maomettismo?
P. Per Maomettismo s’intende una raccolta di massime ricavate da varie
religioni, le quali praticate giungono a distruggere ogni principio di moralità.
F. Il Maomettismo da chi ebbe principio?
P. Il Maomettismo ebbe principio da Maometto.
F. Oh! di questo Maometto abbiamo tanto piacere di sentire a parlare: diteci lutto
quello che sapete di lui.
P. Troppo lungo sarebbe il riferirvi tutto quello che le storie raccontano di questo
famoso impostore: lo procurerò soltanto di farvi conoscere chi egli fosse, e come
abbia fondata la sua Religione.
Nacque Maometto da povera famiglia, di padre gentile e di madre ebrea, l’anno
570, nella Mecca, città dell’Arabia. poco distante dal Mar Rosso. Vago di gloria e
desideroso di migliorare la sua condizione andò vagando per più paesi, e riuscì a
farsi agente di una vedova mercantessa di Damasco, che poscia lo sposò. Egli era
così astuto che seppe approfittare delle sue infermità e della sua ignoranza per
fondare una religione. Patendo di epilessia, male caduco, affermava che quelle
sue frequenti cadute erano altrettanti rapimenti a tener colloquio coll’Angelo
Gabriele.
F. Che impostore, ingannar la gente in questa maniera! Avrà egli pure tentato di
operar miracoli in conferma della sua predicazione?
P. Maometto non poteva fare alcun miracolo in conferma della sua religione,
perchè non era mandato da Dio. Dio solo è autore dei miracoli. Siccome però
vantavasi superiore a Gesù Cristo, subito gli si chiese che al par di lui facesse
miracoli. Egli alteramente rispondeva che i miracoli erano stati
Con tutto ciò vantavasi di averne operato uno, e diceva che, essendo caduto un
pezzo della luna nella sua manica, egli aveva saputo racconciarla; in memoria di
questo ridicolo miracolo i Maomettani presero per divisa la mezza luna.
Voi ridete, o miei figli, e ben con ragione, perciocchè un uomo di simil fatta
doveva piuttosto considerarsi qual ciarlatano, non già predicatore di una nuova
religione. Appunto per questo si sparse la fama che egli era un impostore, e
come perturbatore della pubblica tranquillità, i suoi concittadini volevano
imprigionarlo e porlo a morte. Pel che egli prese la fuga, e ritirossi nella città di
Medina con alcuni libertini che l’aiutarono a rendersene padrone.
F. In che cosa propriamente consiste la religione di Maometto?
P. La religione di Maometto consiste in un mostruoso mescolamento di
giudaismo, di paganesimo e di cristianesimo. Il libro della legge Maomettana è
detto Alcorano, ossia libro per eccellenza. Questa religione dicesi anche Turca
perchè è molto diffusa nella Turchia; Musulmana da Musul, nome che i
Maomettani danno al direttore della preghiera; Islamismo, dal nome di alcuni
suoi riformatori; ma è sempre la medesima religione fondata da;Maometto.
F. Perchè Maometto fece quel mescolamento di varie religioni?
P. Perchè i popoli dell’Arabia essendo parte Giudei, parte Cristiani, ed altri
Pagani, egli, per indurli tutti a seguirlo, prese una parte della religione da loro
professata. e trascelse specialmente quei punti che possono maggiormente
favorire i piaceri sensuali.
F. Bisognava proprio che Maometto fosse un uomo dotto?
P. Niente affatto, sapeva nemmeno scrivere; e per comporre il suo Alcorano fu
aiutato da un Ebreo e da un monaco apostata. Parlando di cose contenute nella
Storia Sacra confonde un fatto coll’altro; per esempio, attribuisce a Maria, sorella
di Mosè, più fatti che riguardano Maria, madre di Gesù Cristo, con moltissimi
altri spropositi.
F. Questa mi par bella: se Maometto era ignorante, nè fece alcun miracolo, come potè propagare la sua religione.P. Maometto propagò la sua religione, non con miracoli o colla persuasione delle parole, bensì colla forza delle armi. Religione che, favorendo ogni sorta di libertinaggio, in breve tempo fece diventar Maometto capo di una formidabile truppa di briganti. Insieme con costoro scorreva i paesi dell’Oriente guadagnandosi i popoli, non coll’insinuare la verità, non con miracoli o con profezie; ma per unico argomento egli innalzava la spada sul capo dei vinti gridando: o credere o morire.F. Canaglia, sono questi gli argomenti da usarsi per convertire la gente? Senza
dubbio, essendo Maometto tanto ignorante, avrà disseminato nell’Alcorano molti
errori?
P. L’Alcorano si può dire una serie di errori i più madornali contro la
morale e contro il culto del vero Dio. Per esempio, scusa dal peccato chi
nega Dio per timore della morte; permette la vendetta; assicura a’ suoi
seguaci un paradiso, ma pieno di soli piaceri terreni. Insomma la dottrina di
questo falso profeta permette cose tanto oscene, che l’ animo cristiano ha
orrore di nominare.
F. Che differenza passa tra la Chiesa Cristiana e la Maomettana?
P. La differenza è grandissima. Maometto fondò la sua religione colla violenza e
colle armi: Gesù Cristo fondò la sua Chiesa con parole di pace, servendosi de’
poveri suoi discepoli.
a cura di Alessandro Pini
domenica 24 luglio 2016
Lisozima
|
venerdì 22 luglio 2016
"Senza verità, la carità scivola nel sentimentalismo. L'amore diventa un guscio vuoto, da riempire arbitrariamente. È il fatale rischio dell'amore in una cultura senza verità. Esso è preda delle emozioni e delle opinioni contingenti dei soggetti, una parola abusata e distorta, fino a significare il contrario". (Benedetto XVI)
Don Bosco e la conversione dell'ebreo Giona
Don Bosco e la conversione dell'ebreo Giona
***
Don Bosco e la conversione dell’ebreo Giona
All’inizio del Triduo Sacro proponiamo un bel racconto di San Giovanni Bosco sulla conversione di un ragazzo ebreo. L’augurio per la festa di Pasqua è che l’esempio di Giona sia seguito dal maggior numero di coloro che si ostinano a non riconoscere la Divinità di Cristo.
L 'Ebreo Giona (dalle Memorie dell’Oratorio San Francesco di Sales dal 1815 al 1855)
L’anno di umanità, dimorando nel caffè dell’amico Gioanni Pianta contrassi relazione con un giovanetto ebreo di nome Giona. Esso era sui diciotto anni, di bellissimo aspetto; cantava con una voce rara fra le più belle.
Giuocava assai bene al bigliardo, ed essendoci già conosciuti presso al libraio Elia, appena giungeva in bottega, dimandava tosto di me. [Io] gli portava grande affetto, egli poi era folle per amicizia verso di me. Ogni momento libero egli veniva a passarlo in mia camera; ci trattenevamo a cantare, a suonare il piano, a leggere, ascoltando volentieri mille storielle, che gli andava raccontando. Un giorno gli accadde un disordine con rissa, che poteva avere triste conseguenze, onde egli corse da me per avere consiglio. Se tu, o caro Giona, fossi cristiano, gli dissi, vorrei tosto condurti a confessarti; ma ciò non ti è possibile.
— Ma anche noi, se vogliamo, andiamo a confessarci.
— Andate a confessarvi, ma il vostro confessore non è tenuto al segreto, non ha potere di rimettervi i peccati, né può amministrare alcun sacramento.
— Se mi vuoi condurre, io andrò a confessarmi da un prete.
— Io ti potrei condurre, ma ci vuole molta preparazione.
— Quale?
— Sappi che la confessione rimette i peccati commessi dopo il battesimo; perciò se tu vuoi ricevere qualche sacramento bisogna che prima di ogni altra cosa tu riceva il battesimo.
— Che cosa dovrei fare per ricevere il battesimo?
— Istruirti nella cristiana religione, credere in Gesù Cristo vero Dio e vero Uomo. Fatto questo tu puoi ricevere il battesimo.
— Quale vantaggio mi darà poi il battesimo?
— Il battesimo ti scancella il peccato originale ed anche i peccati attuali, ti apre la strada a ricevere tutti gli altri sacramenti, ti fa insomma figliuolo di Dio ed erede del paradiso.
— Noi ebrei non possiamo salvarci?
— No, mio caro Giona, dopo la venuta di Gesù Cristo gli ebrei non possono più salvarsi senza credere in Lui.
— Se mia madre viene a sapere che io voglio farmi cristiano, guai a me!
— Non temere, Dio e padrone dei cuori, e se egli ti chiama a farti cristiano, farà in modo che tua madre si contenterà, o provvederà in qualche modo per l’anima tua.
— Ma tu che mi vuoi tanto bene, se fossi al mio posto, che faresti?
— Comincierei ad istruirmi nella cristiana religione, intanto Dio aprirà la via a quanto si dovrà fare in avvenire. A questo scopo prendi il piccolo catechismo, e comincia a studiarlo. Prega Dio che ti illumini, e che ti faccia conoscere la verità.
Da quel giorno cominciò ad essere affezionato alla fede cristiana. Veniva al caffè, e fatta appena una partita al bigliardo cercava tosto di me per discorrere di religione e del catechismo. Nello spazio di pochi mesi apprese a fare il segno della s. croce, il Pater, Ave Maria, Credo, ed altre verità principali della fede. Egli ne era contentissimo, ed ogni giorno diventava migliore nel parlare, e nell’operare.
Egli aveva perduto il padre da fanciullo, la madre di nome Rachele aveva già inteso qualche voce vaga, ma non sapeva ancora niente di positivo. La cosa si scoprì in questo modo: Un giorno nel fargli il letto ella trovò il catechismo, che suo figlio aveva inavvedutamente dimenticato tra il materasso ed il saccone. Si mise ella a gridare per casa, porto il catechismo al Rabbino, e sospettando di quello, che era di fatto, corse frettolosa dallo studente Bosco, di cui aveva più volte udito a parlare da suo figlio medesimo. Immaginatevi il tipo della bruttezza ed avrete un’idea della madre di Giona. Era cieca da un occhio, sorda da ambe le orecchie; naso grosso; quasi senza denti, labbra esorbitanti, bocca torta, mento lungo ed acuto, voce simile al grugnito di un poledro. Gli ebrei solevano chiamarla col nome di Maga Lili, col quale nome sogliono esprimere la cosa più brutta di loro nazione. La sua comparsa mi ha spaventato, e senza dar tempo a riavermi prese a parlare così: Affè che giuro, voi avete torto; voi, si voi avete rovinato il mio Giona; l'avete disonorato in faccia al pubblico, io non so che sarà di lui. Temo che finisca col farsi cristiano; e voi ne siete la cagione.
Compresi allora chi era e di chi parlava, e con tutta calma risposi che ella doveva essere contenta e ringraziare chi faceva del bene a suo figlio.
— Che bene è mai questo? Sarà un bene a far rinnegare la propria religione?
— Calmatevi, buona signora, le dissi, ed ascoltate: Io non ho cercato il vostro Giona, ma ci siamo incontrati nella bottega del libraio Elia. Siamo divenuti amici senza saperne la cagione. Egli porta molta affezione a me; io l’amo assai, e da vero amico desidero che egli si salvi l'anima, e che possa conoscere quella religione fuori di cui niuno può salvarsi. Notate bene, o Madre di Giona, che io ho dato un libro a vostro figlio dicendogli soltanto d’istruirsi nella religione e se egli si facesse cristiano non abbandona la religione ebraica, ma la perfeziona.
— Se per disgrazia egli si facesse cristiano egli dovrebbe abbandonare i nostri profeti, perché i cristiani non credono ad Abramo, Isacco, Giacobbe, a Mosè né ai profeti.
— Anzi noi crediamo a tutti i santi patriarchi e a tutti i profeti della Bibbia. I loro scritti, i loro detti, le loro profezie formano il fondamento della fede cristiana.
— Se mai fosse qui il nostro Rabbino, egli saprebbe che rispondere. Io non so ne il Misna ne il Gemara (sono le due parti del Talmud). Ma che ne sarà del mio povero Giona?
Ciò detto se ne partì. Qui sarebbe lungo riferire gli attacchi fattimi più volte dalla Madre, dal suo Rabbino, dai parenti di Giona. Non fu minaccia, violenza che non siasi usata contro al coraggioso giovanetto. Egli tutto soffrì, e continuò ad istruirsi nella fede. Siccome in famiglia non era più sicuro della vita, così dovettesi allontanare da casa e vivere quasi mendicando. Molti però gli vennero in ajuto e affinché ogni cosa procedesse colla dovuta prudenza, raccomandai il mio allievo ad un dotto sacerdote, che si prese di lui cura paterna. Allora che fu a dovere istrutto nella religione, mostrandosi impaziente di farsi cristiano, fu fatta una solennità, che tornò di buon esempio a tutti i chieresi, e di eccitamento ad altri ebrei, di cui parecchi abbracciarono più tardi il cristianesimo.
Il Padrino e la Madrina furono Carlo ed Ottavia coniugi Bertinetti, i quali provvidero a quanto occorreva al Neofito, che divenuto cristiano, poté col suo lavoro procacciarsi onestamente il pane della vita. Il nome del neofito fu Luigi.
Iscriviti a:
Post (Atom)