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mercoledì 26 settembre 2018

NIJOLE SADUNAITE, UN SORRISO NEL GULAG

NIJOLE SADUNAITE, UN SORRISO NEL GULAG

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Fu arrestata, torturata e mandata in Siberia. L'accusa? Aver diffuso notizie sulla Chiesa lituana. Intervista Nijole Sadunaite: «Anche oggi siamo chiamati a dire la verità con la forza della nostra debolezza»
Luca Fiore
I carcerieri non la sopportavano più. Lei cantava e cantava. Mancava l’aria nella cella nel seminterrato della sede del Kgb di Vilnius. Eppure lei intonava gli inni sacri che aveva imparato da bambina. Gli aguzzini battevano alla porta chiedendole di smettere. Fecero rapporto al comandante: «Ci hanno portato un disco long-playing e non c’è modo di staccarlo». Nijole Sadunaite, 78 anni, lo racconta un po’ divertita. Ha l’aspetto docile di una nonnina, ma la sua passione per la libertà e la verità non è mai andata in pensione, perché, dice, «anche oggi c’è chi, come i fratelli del Kgb, non risponde né a Dio né agli uomini». E quell’espressione, «fratelli», è sufficiente per capire di che pasta è fatta la signora Nijole. Una tempra capace, anche oggi, di mettere in imbarazzo i partiti politici della Lituania contemporanea.
Nella cella di Vilnius ci era rimasta per nove mesi. Era dimagrita e le erano caduti i capelli. La sottoponevano, a sua insaputa, a un trattamento di radiazioni ionizzanti, per fiaccarla e indurla a confessare. E lei non parlò. Non tradì mai i suoi amici. Quei mesi di torture, racconta, «sono stati i più belli della mia vita, perché non ho mai sentito Dio così carnalmente vicino».
Arrestata il 27 agosto 1974, processata un anno dopo senza testimoni, in un procedimento a porte chiuse, «per aver dattilografato il numero 11 della rivista clandestina Cronaca della Chiesa cattolica in Lituania», è condannata a sei anni: tre da scontare in un gulag vicino a Saransk, regione del Volga, e tre al confino a Boguchany, in Siberia. La dichiarazione finale dell’imputata fu ascoltata dai giudici con gli occhi bassi. «Mi è toccato un destino glorioso, non soltanto lottare per i diritti dell’uomo e per la giustizia, ma per questi essere condannata», disse Nijole alla Corte: «Infelice è solo colui che non ama. Ieri vi siete meravigliati per la mia serenità. Ciò dimostra che il mio cuore arde d’amore per i miei simili, perché soltanto amando tutto diventa felice».
La sua è la vicenda di una donna, appunto, felice, anche negli anni del gulag. Si stupisce del cielo stellato, fa amicizia con le compagne di cella e prega con loro. Sostiene dal confino gli amici dissidenti. Mette in crisi i funzionari addetti alla sua rieducazione. Tornata libera, si dà alla clandestinità: vive tra Vilnius e Mosca dedicandosi alla diffusione della Cronaca. Nel 1989, a Santiago di Compostela, Giovanni Paolo II chiede di incontrarla durante la Giornata mondiale della Gioventù. Dopo quell’abbraccio guarisce misteriosamente dalla gravissima anemia contratta nella cella di Vilnius, a causa delle radiazioni.
Incontrare Nijole Sadunaite oggi e sentirla raccontare come guarda il mondo, fa lo stesso effetto che può aver fatto ai suoi carcerieri. Si rimane disorientati, e un po’ sedotti, da questa fede semplice e incrollabile.
Nijole Sadunaite.Nijole Sadunaite.
Foto segnaletica del 1974Foto segnaletica del 1974
Cominciamo dall’inizio, come è diventata una dissidente?
Negli anni Settanta la propaganda sovietica raccontava che nel nostro Paese esisteva la libertà di culto. Se le chiese chiudevano, si diceva, era perché la gente non le frequentava più. Così era nata l’idea di creare uno strumento per raccontare quello che accadeva alla comunità cristiana. Volevamo mandare il nostro Sos al mondo. 

Sapevate di rischiare il carcere.
Sì, ci sono stati molti processi. Molte persone sono finite in ospedali psichiatrici. Iniziative simili ci sono state anche in Ucraina e a Mosca. Una volta, per Cronaca della Chiesa ortodossa russa, il Kgb fece sapere che se fosse comparso un altro numero, per rappresaglia, avrebbe arrestato dieci innocenti. Sergheij Kovalev, un professore molto in vista che aiutò anche noi lituani, decise che avrebbero indicato lui come redattore unico. Pubblicarono il suo nome, cognome, indirizzo e numero di telefono. Non volevano che innocenti pagassero al loro posto.

Come arrivarono a lei?
Io battevo a macchina nell’appartamento di mio fratello con un’amica che mi dettava. Non sapevamo che la vicina di casa collaborava con il Kgb. Avevano aperto un vano nella parete, nascosto da una presa di corrente. Dall’altra parte si sentiva ogni cosa. Durante gli interrogatori gli agenti mi dicevano: «Tu hai pietà di tutti, ma la tua vicina non ha avuto pietà di te. Ti ha subito denunciata». 

E lei cosa rispondeva?
Se la vicina credeva davvero che denunciandoci avrebbe fatto del bene, perché eravamo persone che volevano il male del popolo sovietico, allora aveva fatto la cosa giusta. Se invece si era venduta per trenta denari, non potevo che avere pietà di lei.

L’ha mai più incontrata?
Vive ancora nello stesso appartamento. Quando vado a trovare mio fratello, ogni tanto ci incrociamo sulle scale e ci salutiamo. 

Le ha mai chiesto perché l’abbia fatto?
Quando ho scritto le mie memorie, Un sorriso nel lager, ho raccontato questo episodio senza fare il suo nome. Lei mi disse che non era vero, che non era stata lei a consegnarmi. Ma i quattordici agenti del Kgb che entrarono in casa mia uscirono dal suo appartamento
Che cosa accadde?
Io e Brone, la mia amica, stavamo facendo una pausa. Avevamo appena finito di battere la sesta pagina del numero della Cronaca. Hanno fatto irruzione dicendo: «Fermi tutti, ora fotografiamo ogni cosa». A me è venuto da ridere: «Cosa avete da gridare? Mica nascondiamo la bomba atomica». La mia reazione ironica ha un po’ ingannato Brone, che in un primo momento pensava fosse uno scherzo. Poi ci hanno detto di stare vicino al muro. Io li ho rassicurati: avrebbero trovato solo quei sei fogli. Mentre loro cercavano, noi abbiamo iniziato a dire il Rosario.
Non ha avuto paura?
Che cosa avrebbero potuto farmi? Al massimo mandarmi direttamente nelle braccia di Dio. Una volta, durante un interrogatorio, mi hanno messo davanti una bottiglia con del veleno. Ho risposto: «Grazie mille! Sono una peccatrice, così mi fate andare dritta in Paradiso. Ve ne sarei grata per l’eternità». Ma loro non facevano mai quello che gli chiedevi. Non potevano permettersi di creare un martire. Se non hai paura, non possono farti niente. Se no, inizi a fare tutto quello che ti chiedono. Io dicevo: «Se Dio è con noi, chi è contro di noi? Un milione di agenti del Kgb è zero agli occhi di Dio. Un soffio e non ci siete più».
«Grazie mille! Sono una peccatrice, così mi fate andare dritta in Paradiso. Ve ne sarei grata per l’eternità»
Quale è stato il momento più duro?
Quando hanno chiuso mio fratello nell’ospedale psichiatrico. Dicevano: «Se parli, gli salviamo la vita». È stato molto difficile. Ma sapevo che, al di là di tutto, anche mio fratello era nelle mani di Dio. Infatti, qualche mese dopo, lo rilasciarono.

Ha perdonato le persone che le hanno fatto del male?
Certo, gli sono sempre stata grata. È tramite loro che ho visto la bontà di Dio. Erano persone molto infelici. Erano disorientati dal fatto che i loro metodi violenti con me non funzionavano. Ma Dio ci fa vedere che c’è un altro tipo di forza. E io questo l’ho sperimentato. Mi hanno portato in Siberia dicendo che non sarei tornata viva. Ed eccomi qua.
Si è da poco concluso l’Anno della Misericordia. Che cosa è stato per lei?

Ogni anno, e anche questo lo è stato, è pieno di gioia, ma nello stesso tempo di dolore: pensiamo alle guerre, alle ingiustizie... Gioia e dolore vanno sempre insieme, sono il volto della nostra quotidianità. E ciò di cui abbiamo più bisogno è proprio la misericordia. Il Giubileo ci ha ricordato questa nostra necessità: io ho sempre bisogno dello sguardo di misericordia di Dio per guardare gli altri come Lui guarda me. Quando si smarrisce il rapporto con Dio, l’uomo diventa schiavo del male.
Gioia e dolore vanno sempre insieme, sono il volto della nostra quotidianità. E ciò di cui abbiamo più bisogno è proprio la misericordia
Oggi è ancora necessaria una lotta per la verità?
Come ai tempi sovietici c’erano i fratelli del Kgb, anche oggi c’è chi pensa solo ai propri interessi personali, che mette sempre al centro sé, non rispondendo né a Dio né agli uomini. 

E lei cosa fa?
Prendo posizione rispetto a fatti di palese ingiustizia e cerco di essere vicina fisicamente alle vittime. Quando vedo che una persona ha subìto ingiustizia, mi batto per quella persona, senza preoccuparmi dell’opinione pubblica. Di recente sono stata invitata a intervenire in Parlamento e ho parlato di un caso poco chiaro che la giustizia aveva dichiarato chiuso. Nessun partito aveva interesse a ritirarlo fuori e nessuno voleva esprimere la sua opinione. A me stava a cuore la bambina di dieci anni che ne era stata coinvolta. Tre anni fa, invece, ho difeso pubblicamente una ragazza accusata ingiustamente, per motivi politici, di essere coinvolta in una organizzazione terroristica. Quando si è ammalata in carcere le ho portato medicine e, quando è uscita, l’ho aiutata. A me non interessano le motivazioni politiche. Io difendo la verità e sto vicino alla persona. Non riesco a stare zitta, anche se in molti mi consigliano di farlo. Dicono che sono una vecchia rimbambita.

Che cosa, della sua storia, desidera che venga ricordato?
Dio è buono con tutti, anche con noi deboli peccatori. La gente pensa che abbia resistito con le mie forze, ma non è vero. Se abbiamo fiducia in Dio, siamo invincibili. L’odio è debole. Basta un soffio per sconfiggerlo. Chi è arrabbiato non esce mai vincitore. Non avendo argomenti per mostrare la verità, usa la forza. La nostra forza è essere deboli

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