L'ANGELO DEL 1200
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Morì il vecchio Bassini e sul suo testamento c'era scritto: «Lascio tutto all'arciprete perché faccia indorare l'angelo del campanile, così luccica e di lassù posso capire dov'è il mio paese».L'angelo stava in cima alla torre e, da giù, non pareva una gran cosa perché la torre era alta: ma quando, fatta l'impalcatura, salirono, si vide che era grosso quasi quanto un uomo. Ce ne voleva dell'oro zecchino per ricoprirlo.
Arrivò dalla città uno specialista e andò su a studiare il lavoro, ma non rimase molto: scese dopo pochi minuti ed era tutto agitato.
«È un Arcangelo Gabriele in rame martellato» spiegò a don Camillo. «Una bellezza straordinaria. Roba autentica del 1200!»
Don Camillo guardò l'ometto poi scosse la testa.
«E come fa a essere del 1200 se la chiesa e il campanile hanno sì e no trecento anni?» obiettò.
Lo specialista rispose che questo non significava niente.
«Faccio questo mestiere da quarantanni e di statue ne ho dorate a migliaia. Se non è del 1200 io vi faccio la doratura gratis.»
Don Camillo era un uomo che stava bene coi piedi poggiati per terra, ma la faccenda lo incuriosì tanto che salì, assieme all'ometto, fin sulla cima del campanile per andare a guardare in faccia l'angelo.
Rimase a bocca aperta perché l'angelo era davvero di una bellezza straordinaria.
Don Camillo ridiscese molto turbato: come aveva potuto finire in cima a quella torre di povera chiesa di campagna un angelo così bello?
Andò a scartabellare nell'archivio della parrocchia per trovare qualcosa che chiarisse la strana faccenda, ma non trovò niente di niente.
La mattina dopo, lo specialista tornò dalla città con due signori che salirono sulla torre e, quando ritornarono giù, ripeterono a don Camillo quel che aveva già detto l'ometto: era un autentico capolavoro del 1200. Non ci poteva essere nessun dubbio.
Erano due professori del ramo artistico: due nomi grossi e don Camillo li ringraziò commosso.
«È una gran bella cosa» esclamò. «Un angelo del 1200 sul campanile di questa povera chiesa. È un onore per tutto il paese.»
Nel pomeriggio arrivò un fotografo e salì su a fotografare l'angelo da tutte le parti. Il mattino seguente, il giornale della città portava un lungo articolo che parlava dell'angelo del 1200 e l'articolo, illustrato da tre fotografie, finiva spiegando che sarebbe stato un vero delitto lasciare lassù, a rovinarsi alle intemperie, quel prezioso capolavoro, che il patri monio artistico appartiene alla cultura e alla civiltà e quindi deve essere tutelato e via discorrendo. Roba che fece subito scaldare le orecchie a don Camillo.
«Se questi maledetti di città tirano a fregarci l'angelo, sbagliano» disse don Camillo ai muratori che stavano rinforzando l'impalcatura attorno alla torre.
«Sbagliano sì» risposero i muratori. «La roba nostra non si tocca.»
Poi arrivò altra gente, altri pezzi grossi, anche del vescovado, e tutti salirono a vedere l'angelo e tutti, ritornati a terra, dissero a don Camillo che era un delitto lasciare una cosa così bella esposta all'acqua e al gelo.
«Gli comprerò un impermeabile» urlò alla fine don Camillo. E siccome gli altri gli obiettarono che questo non si chiamava ragionare, don Camillo ragionò:
«In tutte le città del mondo ci sono dei capolavori di statue che, da secoli e secoli, stanno esposti al gelo e alla pioggia in mezzo alle piazze e nessuno pensa a metterli al coperto. Perché noi dobbiamo mettere al coperto il nostro angelo? Perché non andate a Milano a dire ai milanesi che la Madonnina del Duomo si rovina a rimanere lassù e che perciò la tirino giù e la mettano al riparo? I milanesi vi prenderebbero o no a calci se faceste una proposta del genere?».
«La Madonnina di Milano è un'altra cosa» rispose uno dei pezzi grossi a don Camillo.
«Però i calci sono gli stessi sia a Milano che qui!» replicò don Camillo.
Siccome la gente che si affollava sul sagrato attorno a don Camillo commentò con un «Bene!» le parole di don Camillo, gli altri non insistettero.
Qualche tempo dopo, il giornale della città ritornò all'attacco.
Lasciare un angelo del 1200, un angelo così bello in cima al campanile di uno sperduto paesino della Bassa, era un delitto. E questo non perché si volesse togliere l'angelo al paese: ma perché il paese stesso avrebbe potuto acquistare grazie all'angelo un'attrattiva turistica, qualora l'angelo fosse stato sistemato in luogo accessibile. Quale innamorato delle cose artistiche si sarebbe mosso per recarsi in un remoto paese della Bassa a guardarsi, dalla piazza, una statua ficcata in cima a un campanile? Si portasse l'angelo nell'interno della chiesa, si facesse un calco e, quindi, un'esattissima copia da collocare, convenientemente dorata, in cima al campanile.
La gente lesse l'articolo poi cominciò a borbottare che, a dir la verità, fin che l'angelo rimaneva in cima al campanile nessuno poteva vedere la sua bellezza.
In chiesa tutti avrebbero potuto vederlo, il campanile non ci avrebbe perso niente perché avrebbe avuto il suo angelo dorato, identico preciso a quello di prima.
I pezzi grossi della parrocchia ne discussero con don Camillo e don Camillo, alla fine, stabilì che aveva torto a insistere. Quando tirarono giù l'angelo dal campanile, tutto il
paese era in piazza e per parecchi giorni l'angelo rimase sul sagrato perché tutti volevano vederlo e toccarlo. Venne gente anche di paesi vicini perché si era sparsa la voce che si trattava di un angelo miracoloso.
Quando si trattò di fare il calco per la riproduzione, don Camillo non cedette.
«L'angelo non si muove da qui. Portate gli arnesi qui e fate lo stampo qui.»
Il vecchio Bassini, fatti i conti generali e liquidate tutte le sue faccende, aveva lasciato soldi più che sufficienti per dorare non uno ma dieci angeli e così ci saltarono fuori comodamente anche i quattrini per la copia in bronzo da mettere sul campanile.
E la copia arrivò e già sfavillante di oro zecchino e la gente venne a vederla e concluse che era un capolavoro.
La controllarono centimetro per centimetro con l'originale e tutto era preciso nel modo più straordinario.
«Se fosse dorata anche l'altra statua, nessuno riuscirebbe a distinguerle» disse la gente. Allora a don Camillo vennero degli scrupoli.
«Farò dorare anche l'angelo vero» decise. «I quattrini ci sono.»
Qui intervennero i pezzi grossi della città; dissero che la statua originale non doveva essere toccata, per un sacco di ragioni; ma don Camillo aveva le idee molto chiare:
«Qui l'arte non c'entra» affermò. «Qui c'è il vecchio Bassini che ha lasciato i suoi quattrini a me perché faccia dorare l'angelo del campanile. L'angelo del campanile è questo e io debbo farlo dorare altrimenti tradisco la volontà del defunto Bassini.»
L'angelo nuovo venne intanto issato sul campanile e subito gli specialisti incominciarono a dorare l'angelo vecchio e ben presto ebbero finito.
L'angelo vecchio fu collocato in chiesa, in una nicchia vicino all'ingresso, e così, tutto d'oro zecchino, era una cosa da far rimanere a bocca aperta.
*
La notte dell'inaugurazione don Camillo non riusciva a dormire. Alle dieci si alzò e andò giù in chiesa a guardarsi il suo angelo d'oro.
«Milleduecento» disse don Camillo. «E questa povera chiesa è venuta su neppure trecent'anni fa. Tu esistevi quattrocento anni prima di questa chiesa: come hai fatto a venire in cima a questa torre? Chi ti ci ha portato?»
Don Camillo guardò le grandi ali dell'Arcangelo Gabriele, poi si passò la grande mano sul viso pieno di sudore. Andiamo! Come poteva un angelo di rame volare sulla guglia di un campanile?
L'angelo era dentro la nicchia, protetto da un grande cristallo incorniciato che poteva essere aperto. Don Camillo trasse in fretta di tasca la chiavetta e aperse il cristallo.
Un angelo abituato a vivere lassù, come poteva rimanere chiuso dentro quella scatola? Gli pareva che dovesse mancar l'aria all'angelo.
Gli venne in mente il vecchio Bassini: «Lascio tutto all'arciprete perché faccia indorare l'angelo del campanile, così luccica e di lassù posso capire dov'è il mio paese».
"Di lassù il vecchio Bassini non vede luccicare il suo angelo" pensò don Camillo. "Vede luccicare un angelo falso.
Egli voleva vedere luccicare questo qui…"
Gli venne lo sgomento: perché ingannare il vecchio Bassini?
Don Camillo andò a inginocchiarsi davanti al Cristo dell'altar maggiore:
«Gesù» disse «perché ho truffato il vecchio Bassini? Perché ho dato retta a quegli imbecilli di città?».
Il Cristo non rispose e don Camillo tornò ancora davanti all'angelo.
«Per trecento anni tu hai guardato questi campi e questa gente. Per trecento anni tu, silenzioso, hai vegliato su questa terra e su questi uomini. Forse per settecento anni perché, magari, questa chiesa è sorta sulle rovine di una vecchissima chiesa. Ci hai salvato dalle guerre, dalla fame, dalla peste. Quanti fulmini hai respinto lontano? Quante bufere hai fugato? Da trecento anni, forse da settecento, hai dato l'ultimo saluto del paese alle anime dei morti che salivano al cielo. Le tue ali hanno vibrato al suono di tutte le campane: campane tristi, campane liete. Secoli di gioie e di dolori sono chiusi nel tuo metallo. E adesso tu sei qui, senz'aria, in una gabbia dorata, e non vedrai più il sole e non vedrai più il cielo azzurro. E al tuo posto c'è un angelo falso che viene da Sesto San Giovanni e porta chiusa nel suo metallo solo l'eco delle bestemmie dei fonditori avvelenati dalla politica.
«E quell'angelo falso ha usurpato il tuo posto. Un uomo illuminato dalla fede ha forgiato a colpi di martello il tuo metallo, lo ha modellato millimetro per millimetro: macchine mostruose ed empie hanno creato l'altro che è identico a te ma, mentre in ogni millimetro del tuo metallo c'è un po' della fede dell'ignoto artigiano del 1200, nel metallo dell'altro c'è solo la fredda empietà della macchina. Come potrà proteggerci quello spietato e indifferente angelo falso? Cosa gli può importare dei nostri campi e della nostra gente?»
Erano oramai le undici di notte. Una notte piena di silenzio e di nebbia. Don Camillo uscì dalla chiesa e si inoltrò nel buio.
*
Peppone scese subito in strada e guardò male don Camillo.
«Ho bisogno di te» disse don Camillo. «Mettiti il tabarro e seguimi.»
Arrivati in chiesa don Camillo mostrò a Peppone l'angelo scintillante d'oro zecchino.
«Ha protetto te, tuo padre, tua madre e il padre e la madre di tuo padre e di tua madre. Deve proteggere anche tuo figlio. Deve tornare al suo posto.»
Peppone guardò don Camillo.
«Siete diventato matto?»
«Sì» rispose don Camillo. «Ma, per quanto pazzo, non riesco da solo a fare la pazzia che ho in mente. Mi occorre l'aiuto di un pazzo come te.»
L'impalcatura era ancora intatta attorno alla torre: don Camillo si infilò la sottana nei pantaloni e salì. Poi arrivò Peppone con un paranco.
Erano in due soli, ma erano pazzi e forti per sei: imbrigliarono l'angelo, sbullonarono il piedistallo. La statua fu calata.
La portarono a braccia in chiesa, tolsero l'angelo vero e misero l'angelo falso al suo posto.
L'agganciarono al paranco e lo issarono.
Per fissare l'altro angelo alla guglia c'erano voluti cinque uomini: lo fissarono da soli.
Si ritrovarono a terra e corsero in canonica. Erano fradici di sudore e di nebbia, avevano le mani scorticate. Si accorsero che erano le cinque del mattino.
Per trovare la forza di pensare accesero un gran fuoco nel camino e bevvero due o tre bottiglie di vino.
Allora pensarono a quello che avevano fatto e li prese una gran paura.
Albeggiava. Andarono a spiare dalla finestra, e l'angelo era lassù, in cima alla torre.
«È impossibile» balbettò Peppone.
Poi una violenta ira lo prese ed egli si rivolse a don Camillo.
«Perché mi avete fatto fare questo?» gridò. «Cosa c'entravo io in questo maledetto affare?»
«Non è un maledetto affare» rispose don Camillo. «Già troppi angeli falsi sono in giro per il mondo e lavorano per il nostro male. Abbiamo bisogno di angeli veri che ci proteggano.»
Peppone ebbe una smorfia di disgusto:
«Le solite stupidaggini della propaganda clericale!» disse. E se ne andò senza salutare.
Poi, quando fu davanti alla porta di casa sua, qualcosa lo costrinse a voltarsi e a guardare in su, e vide l'angelo che, dalla cima del campanile, luccicava alla prima luce del giorno.
«Ciao, compagno» borbottò rasserenato Peppone cavandosi il cappello.
Intanto don Camillo, inginocchiato davanti all'altar maggiore, stava dicendo al Cristo Crocifisso:
«Gesù, io non lo so come siamo riusciti a fare questo!».
E il Cristo non rispose, ma sorrise perché Lui lo sapeva.
Giovanni Guareschi
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