CONSULTA L'INDICE PUOI TROVARE OLTRE 4000 ARTICOLI

su santi,filosofi,poeti,scrittori,scienziati etc. che ti aiutano a comprendere la bellezza e la ragionevolezza del cristianesimo


lunedì 15 aprile 2019

VALENTINA ARCOVIO
«Una delle migliori strategie che abbiamo per sconfiggere il tumore, oltre ad attaccarlo direttamente, è di distruggere il suo habitat». Sono oltre 5 anni che Licia Rivoltini, responsabile dell’Unità di Immunoterapia dei tumori umani dell’Istituto nazionale tumori di Milano, lavora a questo innovativo approccio. «Ora abbiamo capito che le cellule cancerose sono in grado di proteggersi dall’attacco delle nostre difese naturali, costruendosi una specie di “roccaforte” e stiamo anche scoprendo come violare questa protezione per permettere al sistema immunitario di attaccare il tumore e di distruggerlo».
Dottoressa, com’è fatta questa «casa» del tumore?
«Crescendo, un tumore causa profondi cambiamenti del microambiente, tra cui una diminuzione del pH e un elevato livello di acidità. Si pensi che, se il pH fisiologico è 7.4, quello di una lesione cancerosa può raggiungere un valore di 6 o anche meno, una condizione che nessuna cellula normale è in grado di tollerare, tantomeno le cellule immunitarie. Si crea così un “effetto barriera”, un sistema molto efficiente con cui il tumore riesce ad isolarsi per crescere indisturbato».
Come fanno i tumori a costruirsi questo habitat ideale?
«E’ una loro caratteristica intrinseca. I tumori, infatti, avendo bisogno di molta energia per crescere, attivano, tra gli altri geni, anche quello che aumenta il consumo del glucosio. Ciò provoca uno squilibrio metabolico e un accumulo di cariche elettriche all’interno della cellula tumorale, una condizione dannosa anche per la cellula cancerosa stessa. Ma i tumori, purtroppo, hanno mille risorse e riescono prontamente a liberarsi di queste cariche, “sputandole” all’esterno e acidificando quindi l’ambiente circostante».
Che cosa succede invece alle cellule sane?
«L’ambiente acido paralizza letteralmente i linfociti T, le cellule che difendono l’organismo dall’attacco di agenti estranei e dalla crescita tumorale, e impedisce loro di penetrare nella lesione cancerosa e di distruggerla. I linfociti T sopravvivono comunque all’assalto acido, ma le loro capacità aggressive sono quindi bloccate».
Questo vale per tutti i tumori?
«Per molti. Da tempo, in collaborazione con Stefano Fais, direttore del Reparto Farmaci Antitumorali dell’Istituto Superiore di Sanità, si sta studiando il ruolo dell’acidità in numerosi tumori umani inoculati in topi di laboratorio. In molte neoplasie, quali ad esempio il melanoma, i linfomi e il tumore della mammella, l’abbassamento del pH tumorale risulta una caratteristica costante».
Come si può ristabilire il pH naturale, distruggendo quindi l’habitat del tumore?
«Sono stati già condotti studi clinici, sponsorizzati dall’Istituto Superiore di Sanità e realizzati in collaborazione con altri istituti (ad esempio l’Istituto Rizzoli di Bologna), che hanno valutato l’uso di farmaci modulatori del pH, in combinazione con la chemioterapia. Per correggere l’acidità abbiamo utilizzato gli “inibitori della pompa protonica”, cioè dei farmaci comunemente usati nel trattamento dell’ulcera gastrica, che, se usati ad alte dosi, aumentano il pH del tumore. I risultati sinora ottenuti sono interessanti. Nei pazienti con melanoma si è osservata una ripresa delle risposte immunitarie anti-tumore, mentre in un gruppo di pazienti affetti da sarcoma l’effetto della chemioterapia è risultato di molto aumentato dalla terapia con gli anti-acidi e i chemioterapici».
Lo scopo dei farmaci antiulcera è solo quello di demolire la casa del tumore?
«In realtà, se riduciamo l’acidità del tumore, otteniamo una serie di effetti potenzialmente molto positivi per il paziente oncologico: le cellule neoplastiche smettono di crescere, aumenta la loro sensibilità alla chemioterapia e si osserva anche un’importante riattivazione delle risposte immunitarie. Gli “inibitori di pompa”, inoltre, aumentano l’efficacia dell’immunoterapia anti-tumorale, come recentemente dimostrato grazie all’Airc e in collaborazione con Matteo Bellone dell’Ospedale San Raffaele di Milano. Risulta quindi chiaro come le condizioni metaboliche e biochimiche del microambiente tumorale, favorendo la crescita delle cellule neoplastiche a sfavore delle risposte anti-tumorali dell’ospite, rappresentino una nuova e rivoluzionaria frontiera».
Che cosa vedremo nel breve futuro a questo riguardo?
«Siamo in procinto di avviare uno studio in cui i farmaci anti-acidi verranno utilizzati in combinazione con un vaccino antitumorale in pazienti affetti da tumore della prostata o da melanoma. Dato che questo tipo di terapia è privo di importanti effetti collaterali, vorremo poi proporla per prevenire a lungo termine le ricadute della malattia dopo la terapia standard oppure per curare i tumori iniziali. Tutto questo, però, non sarebbe stato possibile senza il sostegno dell’Istituto Superiore di Sanità e dell’Airc. Grazie infatti a questa coraggiosa associazione siamo riusciti a fare enormi progressi, sopperendo alla mancanza di sostegno da parte di alcune case farmaceutiche poco interessate ad appoggiare studi che si basano su farmaci liberi da brevetti».

Nessun commento: