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domenica 17 maggio 2020

La società senza Cristo del Signore delle mosche

  • TRA ROMANZO E REALTÀ

La società senza Cristo del Signore delle mosche

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Un nuovo studio del Guardian che svela la storia vera che ispirò il racconto, ripercorre la tesi del celebre romanzo di Golding Il signore delle mosche, come simbolo della natura violenta e brutale dell’uomo, della quale solo la civiltà impedisce l’emergere. Ma ad una più attenta lettura, si può affermare che Golding non ha torto: ha soltanto ritratto la società senza la Chiesa cattolica, fondata da Cristo. 

Qualche giorno fa, sul quotidiano liberal The Guardianè apparso un interessante articolo firmato dallo storico olandese Rutger Bregman. È, sostanzialmente, una verifica delle tesi che sorreggono il celebre romanzo Il signore delle mosche, del premio Nobel William Golding (1911 – 1993).

La storia è nota. C’è una guerra non specificata; un gruppo di ragazzini, membri del coro di una scuola inglese, stanno viaggiando in aereo quando questo si schianta su un’isola. I ragazzi si trovano quindi a dover sopravvivere e organizzare la convivenza senza degli adulti a guidarli e proteggerli. I ragazzi vivono dunque in uno «stato di natura», senza una civiltà a determinare le loro vite. Cosa accadrà? Purtroppo accadrà tutto il peggio possibile. I ragazzi cominciano a litigare per il potere e si dividono in due gruppi: i cacciatori e gli altri. Emerge la paura di un mostro e si creano una divinità: infilzano la testa di un maiale su un palo e cominciano a trattarla come una divinità. Il signore delle mosche, Belzebù.

Nel frattempo il gruppo regredisce allo stato selvaggio, simboleggiato dai colori rituali che i bambini si dipingono sul volto. La violenza e i soprusi dilagano fino a quando, nel corso di un rito orgiastico, uccidono uno dei ragazzi (un vero e proprio sacrificio umano). Da quel momento, sull’isola si assiste ad un crescendo di brutalità: omicidi, torture, l’isola viene data a fuoco… Quando la fine sembra imminente, arriva una nave a salvare i ragazzi.

Il libro di Golding ha avuto varie interpretazioni ma, generalmente, viene utilizzato come simbolo della natura violenta e brutale dell’uomo, della quale solo la civiltà impedisce l’emergere. Il libro, dicono i critici, riflette la visione antropologica dell’autore: alcolizzato, violento, da adolescente tentò di violentare una ragazzina di quindi anni. «Ho sempre capito i nazisti», confessò Golding, «perché sono, per natura, quel tipo di uomo». Dopo la pubblicazione del libro pronunciò il celebre aforisma «Gli uomini producono il male come le api producono il miele». Il signore delle mosche è un libro famosissimo. Basti pensare che è una lettura obbligatoria nelle scuole del mondo anglosassone (tutti i ragazzi vengono educati a questa visione dell’uomo) e gli U2 hanno tratto da quest’opera una delle canzoni del loro album d’esordio, intitolata Ombre e alberi alti come uno dei capitoli del libro.

L’articolo di Bregman vuole confutare la tesi di Golding con una storia vera.

Nel 1965 sei ragazzi dai tredici ai sedici anni, studenti di un collegio di Tonga, rubarono una piccola barca e partirono verso l’ignoto in cerca di avventure. Senza mappa né bussola. Purtroppo la notte vennero aggrediti da una tempesta che li lasciò senza vele né timone. Andarono alla deriva per otto giorni, senza cibo né acqua; fino a quando approdarono su un’isola rocciosa e inospitale, ‘Ata. Quell’isola era disabitata da circa un secolo perché considerata inabitabile. I ragazzi riuscirono a sopravvivere per quindici mesi fino, fino a quando non vennero salvati domenica 11 settembre 1966 da una piccola barca che li vide per puro caso.

I ragazzi si erano organizzati dividendosi i compiti tra la coltivazione di ortaggi, la guardia e la cucina. Trovarono alcune galline abbandonate un secolo prima dai pochi abitanti dell’isola e cominciarono ad allevarle; si cibarono di pesca e noci di cocco. Ogni mattina, appena alzati, cominciavano la giornata con il canto (accompagnato da una chitarra che si erano costruiti con mezzi di fortuna) e la preghiera. Uno dei ragazzi si ruppe una gamba sugli scogli; la steccarono e l’arto guarì perfettamente. Attrezzarono anche una piccola palestra per tenersi in forma.

Apparentemente è la stessa storia di Golding, finita in un modo completamente diverso. Il britannico si ingannava sulla natura umana: dava per scontato che tutti gli uomini vivessero i suoi impulsi, mentre non è così. Semplice, bello e istruttivo. Purtroppo, però, le cose sono più complicate. C’è un particolare, della storia raccontata da Bregman, che può fare la differenza; e gettare sul racconto di Golding una nuova luce.

Il signore delle mosche è sempre stato letto come un testo antropologico, che espone una tesi sulla natura dell’uomo, la civiltà, lo stato di natura. E se invece avesse una chiave di lettura… religiosa?

Mi spiego. Il libro di Golding si basa sull’antropologia inglese, liberale o wigh, che dir si voglia: l’antropologia dell’homo homini lupus e del bellum omnes contra omnium di Thomas Hobbes (1588-1679); dell’individualismo che prevale sul bene comune; dello stato che impedisce la guerra totale per la proprietà privata. È la filosofia della Royal Society, l’esito del rifiuto della metafisica aristotelica e della legge morale e religiosa. È l’abbandono del cattolicesimo e il ritorno al paganesimo: alle forze oscure della natura, all’alchimia, alla magia. A Baal, il signore delle mosche.

Questa è la china che l’impero britannico ha percorso rifiutando, nel XVI secolo, la Chiesa fondata da Cristo; e che l’ha portato alla pirateria, all’usura, al darwinismo sociale, all’eugenetica, al razzismo, alla schiavitù, al colonialismo... Le premesse sembravano buone: finalmente liberi dalle pastoie morali, dall’ingerenza della Chiesa…

Questa interpretazione è avvalorata non solo dalla biografia di Golding, puro rappresentante di questa ideologia; ma anche dalla conclusione del romanzo.

Rileggiamola:
«Avrei pensato,» disse l'ufficiale prevedendo le ricerche che avrebbe dovuto fare, «avrei pensato che un gruppo di ragazzi inglesi... Siete tutti inglesi, no?... sarebbero stati capaci di qualcosa di meglio... Voglio dire...»
«Era cosi al principio,» disse Ralph, «prima che...»
Si fermò.
«Eravamo uniti, allora...»
L'ufficiale annuì, incoraggiante.
«Lo so. Andava tutto bene. Come nell'"Isola di Corallo"».
Ralph lo guardò senza parlare. Per un attimo ebbe una fuggevole visione dello strano alone d'avventura che una volta splendeva sull'isola. Ma l'isola stava bruciando come legna secca, Simone era morto, e Jack aveva... Gli sgorgarono le lacrime e fu scosso dai singhiozzi.
Per la prima volta da quando era sull'isola, si abbandonò al pianto, a un grande spasimo di dolore che lo scuoteva tutto. Il suo pianto risuonava sotto il fumo nero, davanti all'incendio che distruggeva l'isola, e presi dalla stessa commozione anche gli altri bambini cominciarono a singhiozzare. In mezzo a loro, col corpo sudicio, i capelli sulla fronte e il naso da pulire, 
Ralph piangeva per la fine dell'innocenza, la durezza del cuore umano, e la caduta nel vuoto del vero amico, l'amico saggio chiamato Piggy.

L’ufficiale trova dei ragazzi conciati come selvaggi, che si sono fatti la guerra uccidendo scientemente alcuni compagni. E dice: «avrei pensato che un gruppo di ragazzi inglesi... Siete tutti inglesi, no?... sarebbero stati capaci di qualcosa di meglio... Voglio dire...». Insomma, cinquecento anni di filosofia inglese hanno conquistato il mare e mezza terra, hanno creato la scienza, un impero… voi siete inglesi… pensavo che avreste creato cose meravigliose, e invece… omicidi, paganesimo, sacrifici umani…

E piangono. Tutti piangono. Piangono «la fine dell’innocenza», la fine del sogno britannico che si rivela essere un incubo. La legge del più forte non ha portato quei meravigliosi frutti di benessere e civiltà: ha portato morte e distruzione.

Adesso posso svelarvi il piccolo particolare della storia di Bregman. Il piccolo particolare fondamentale, che ha fatto in modo che la storia dei sei ragazzi di Tonga non finisse come il romanzo di Golding. I sei ragazzi erano cattolici. Erano allievi di una scuola cattolica e hanno continuato a vivere da cattolici anche su ‘Ata. Tutto qui. Un piccolissimo particolare, che cambia tutto.

Golding non ha torto. Non ha sbagliato nel dipingere l’uomo che, senza la gabbia della società, torna alla barbarie più feroce. Ha ritratto la società senza la Chiesa cattolica, fondata da Cristo.

Extra Ecclesia, nulla salus.

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