14 | La vita fugge, et non s’arresta una hora, et la morte vien dietro a gran giornate, et le cose presenti et le passate mi dànno guerra, et le future anchora; e ’l rimembrare et l’aspettar m’accora, or quinci or quindi, sí che ’n veritate, se non ch’i’ ò di me stesso pietate, i’ sarei già di questi penser’ fòra. Tornami avanti, s’alcun dolce mai ebbe ’l cor tristo; et poi da l’altra parte veggio al mio navigar turbati i vènti; veggio fortuna in porto, et stanco omai il mio nocchier, et rotte arbore et sarte, e i lumi bei che mirar soglio, spenti. | La vita fugge e non si arresta neppure un attimo, e la morte la segue a grandi passi, e il presente e il passato mi tormentano, così come il futuro; e il ricordo [del passato] e l'attesa [del futuro] mi angosciano, ora da una parte ora dall'altra, a tal punto che in verità io mi sarei già liberato da tutti questi pensieri [mi sarei ucciso], se non avessi pietà di me stesso. Ritorno a pensare se il mio cuore triste provò mai dolcezza [nel passato]; e poi, dall'altra parte [pensando al futuro] vedo la mia navigazione turbata dai venti; vedo il fortunale in porto e il mio timoniere [la ragione] ormai stanco, e rotte gli alberi e le sartie, e spente le belle luci [gli occhi di Laura] che ero solito fissare. |
Interpretazione complessiva
- Metro: sonetto con schema della rima ABBA, ABBA, CDE, CDE, con B e D in forte assonanza (quasi-rima). La lingua presenta vari latinismi, tra cui "et" (v. 1 e altrove), "hora" (v. 1), "anchora" (v. 4, di tipo grafico). Presenza dell'anafora "et" nei primi versi, che crea un effetto ritmico incalzante rispetto all'affollarsi dei pensieri e dei timori dell'autore, così come l'anafora anche di "Veggio" ai vv. 11-12. Antitesi di "vita" e "morte" ai vv. 1-2.
- Il testo è centrato sul raffronto tra il rimpianto del passato e l'angosciosa incertezza del futuro, ovvero tra la consapevolezza che l'amore vano per Laura è stato moralmente un errore e il timore che ciò costi la salvezza spirituale al poeta: l'immagine iniziale della vita che fugge e della morte che la incalza "a gran giornate" (termine militare che anticipa la "guerra" del v. 4) dà l'idea di una coscienza tormentata dai dubbi e dalle ansie spirituali, presentando Petrarca come un uomo assediato e quasi circondato dalle sue angosce ("or quinci or quindi", v. 6). Il v. 8 allude in modo velato al proposito del suicidio ("i’ sarei già di questi penser’ fòra") dal quale è distolto dalla pietà che prova di se stesso, nonché dal timore di una futura punizione dopo la morte che sente ormai prossima e che prelude a un imminente giudizio divino.
- I vv. 10-14 rappresentano la vita umana con la consueta metafora della navigazione in mare, che nel caso di Petrarca è turbata da venti tempestosi anche perché la "fortuna" (il fortunale, vento di burrasca) è persino in porto e dunque la fine del viaggio non potrà essere felice, inoltre il "nocchier" (la ragione) è stanco e la velatura della nave è spezzata dal vento, ovvero il poeta ha il fisico minato dalla vecchiaia e dalla malattia; i "bei lumi" che illuminavano la rotta del poeta, ovvero gli occhi di Laura paragonati a stelle, sono spenti in quanto la donna è ormai morta, immagine che riprende quella usata nella canzone conclusiva della raccolta (► TESTO: Vergine bella, che di sol vestita) in cui la luce che guida il viaggio di Petrarca è in realtà la Vergine, paragonata a Laura in qualità di portatrice di salvezza.
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