Ildegarda di Bingen, la santa che scoprì il legame indissolubile tra salute dell’intestino e stati d’animo
Veniva chiamata la «Sibilla del Reno». Per la sua medicina attingeva al regno vegetale. Studiava l’efficacia dei rimedi su consorelle e infermi. Per ciascuno applicava terapie mirate e personalizzate. La sua convinzione: se viene meno l’energia vitale, insorgono le malattie
Nell’immaginario comune, il Medioevo è considerato ancora un’epoca oscura, di generale arretratezza e ignoranza, mentre invece produsse un grande tesoro di sapienza: basti ricordare le invenzioni più conosciute come l’orologio e gli occhiali, le splendide tecniche costruttive del gotico, l’elevatissima ricerca spirituale, o, a livello sociale, le gilde e le corporazioni.
Tra le figure che permettono di illuminare l’affascinante ”epoca di mezzo” vi è una monaca, Ildegarda di Bingen, dal 2012 Santa e Dottore della Chiesa, la quale ebbe un ruolo cruciale negli avvenimenti politici della sua epoca lasciando, inoltre, una cospicua eredità medica di straordinaria lucidità e modernità.
Una donna di genio
La carismatica santa nacque e a Bermersheim vor der Höhe nel 1098, decima figlia di una famiglia aristocratica che lasciò all’età di otto anni per entrare nel monastero di Disibodenberg, dove prenderà i voti.
La sua vita trascorse quasi esclusivamente entro le mura del convento, ma fu un’esistenza forte ed intensa: abbandonò il monastero di Disibodenberg per fondarne uno femminile a Rupertsberg, compì quattro viaggi pastorali in Germania e si impegnò nei più disparati ambiti di ricerca: formulò la “Lingua Ignota”, una sorta di esperanto arcaicizzante utilizzato all’interno del suo monastero di Rupertsberg; fu, inoltre, gemmologa, astrologa, e prima compositrice cristiana (le sue opere musicali sono raccolte nel Symphonia harmoniae caelestium revelationium); ebbe una fitta corrispondenza con Federico Barbarossa e perfino papa Eugenio III, che lesse i suoi testi di teologia al sinodo dei vescovi, a Treviri, era solito consultarla poiché le sue profezie - come riporta Giovanni di Salisbury- si erano sempre avverate.
Nella sua vivace intelligenza non mancò di esplorare anche il mondo della medicina cimentandosi nella preparazione di rimedi per i quali utilizzava metodi che potremmo definire “scientifici”, risultanti in parte dai suoi studi ed in parte dalle visioni che la colsero giovanissima, poi raccolte in scritti dopo l’incoraggiamento e il sostegno di San Bernardo di Chiaravalle.
L’armonia degli umori
Ildegarda credeva che il benessere dell’uomo fosse connesso a quello del mondo circostante, e riteneva essenziali l’armonia col creato ed il buon umore per conservarsi in salute.
Per la sua medicina, la Santa attingeva dal regno vegetale, illustrando le caratteristiche peculiari delle piante ed i benefici che apportavano, studiava l’efficacia dei rimedi su un notevole numero di pazienti - sia sulle sue consorelle che sugli infermi dei dintorni di Bingen - e per ciascuno utilizzava una terapia mirata e personalizzata: infatti, ogni specifico squilibrio di umori (bile gialla, sangue, flemma e bile nera, secondo la medicina dell’epoca) necessitava di una apposita cura, a differenza di un certo approccio odierno che prevede protocolli di cura standard, considerando poco la situazione clinica del paziente.
Molti dei suoi rimedi sono ancora usati nella fitoterapia contemporanea, come, ad esempio, il cumino per curare la nausea, la menta contro il mal di stomaco, il tanaceto contro tosse e raffreddore, la pelosella per favorire la diuresi, l’aneto e l’achillea millefoglie contro l’epistassi, il sanguinamento dal naso.
“Subtilitas” e “viriditas”
La “Sibilla del Reno”, come era chiamata, tuttavia, oltre alle cure per i mali comuni aveva individuato un sistema per mantenersi sempre in salute, per conservare la “viriditas”, ovvero quell’energia vitale che al suo venir meno, secondo lei, determinava l’insorgere di malattie. Per la mistica, le patologie erano riconducibili anche ad una alimentazione scorretta, non adatta alle esigenze dell’organismo, oppure composta da alimenti sani, ma male abbinati specie in virtù - ancora una volta- delle speciali esigenze del soggetto.
Aveva, per giunta, compreso come vi fosse qualcosa insito nella sostanza del mondo animale e vegetale: la subtilitas, “sottigliezza”, ossia un’energia curativa e benefica contenuta all’interno degli alimenti che, se usata con “discretio” poteva portare grandi benefici all’uomo.
Tali qualità nascoste degli alimenti che la santa aveva individuato, sembrano richiamare fortemente ciò che noi oggi chiamiamo “vitamine” e “minerali” e che sappiamo quanto siano importanti per un corretto regime alimentare.
Gli alimenti si suddividevano, per Ildegarda, in quattro tipologie: calda, fredda, secca e umida, caratteristiche utili da conoscere per bilanciare gli umori a seconda delle esigenze del malato. Ad esempio, la carne di piccione era considerata secca, così come la lattuga fredda, i ceci caldi, e così via.
Alcuni alimenti trovano un posto preminente nella dieta da lei ideata, come il farro che “fa buon sangue, rende lieta e serena la mente”. Non è un caso che questo cereale, da recenti analisi dell’’Università di Hohenheim, abbia dimostrato di contenere carboidrati complessi, l’amminoacido metionina, la vitamina B, l’acido folico, il selenio e il fosforo..
Al contrario di quanto oggi sostiene il crudismo, la Santa considerava nocivi alcuni frutti come, ad esempio, le prugne, le fragole e le pesche e le verdure non cotte: la cottura, infatti, eliminava gli umori potenzialmente dannosi per l’organismo ed in particolare per cuore e milza.
Le intuizioni sull’intestino
Una dieta speciale era stata pensata dalla mistica anche per aiutare i degenti ed era suddivisa per giorni di malattia: passava da un digiuno liquido volto ad idratare e depurare l’organismo, specie con tisane, rinforzandosi con alimenti via via più solidi e corroboranti per restituire il vigore fisico.
Il finocchio era considerato altamente benefico non solo come potente procinetico per la digestione, ma come vero “oro” per la salute: come la santa aveva già intuito, aiuta l’intestino svolgendo un ruolo cruciale nel benessere dell’uomo.
Del resto, con impressionante lucidità, Ildegarda aveva compreso che il tono dell’umore e la salute dell’intestino sono due fattori cardine della salute strettamente interconnessi, posizioni alle quali la scienza sta arrivando negli ultimi anni.
In un passo del “Causae et Curae”, una delle due opere mediche fondamentali di Ildegarda, l’autrice asserisce «La foschia nera generata dalla malinconia… salirà al cervello, la follia se ne impadronirà, discenderà verso l’intestino, qui distruggerà i vasi sanguigni e le viscere e renderà l’uomo totalmente folle».
Come riporta la rivista Nature, in alcuni pazienti afflitti da depressione, il numero di batteri nell’intestino è inferiore a quello presente nei pazienti sani. Il microbiota intestinale è responsabile del corretto metabolismo - alcuni batteri digeriscono molecole complesse - ostacola la colonizzazione da parte di agenti patogeni, sintetizza sostanze utili e rinforza il sistema immunitario.
“Equilibrio”, perciò, è la parola che Ildegarda di Bingen sembra suggerire: tra gli umori del corpo, nella dieta e con il mondo circostante.
Sono molte le cliniche ildegardiane oggi disseminate specie in Germania, in Francia e in Svizzera, che si occupano della terapia di diverse patologie, nello spirito di riscoprire misura e costanza nella propria vita, per mantenersi in salute e in buon umore.
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