Curare, educare, governare
"Kum" è una parola forte e antica. Rinvia alle tante dimensioni del curare e del prendersi cura. È l’esortazione che Gesù rivolge in aramaico alla fanciulla che ha appena risanato. “Alzati, fanciulla!”, le dice. “Talithà, kum!”. Gesto che restituisce alla vita, invito a ritornare nel mondo, parola che dischiude orizzonti. Il sottotitolo, “Curare, educare, governare”, allarga il campo della riflessione. Ogni giorno, in ogni istante ci prendiamo cura dell’altro, incontriamo un altro che si prende cura di noi. Un amico, un familiare, uno straniero, un paziente. Tra le mura di casa, nello spazio della città. Ma quel sottotitolo, “Curare, educare, governare”, allude anche alla difficoltà, all’ambiguità del curare e del prendersi cura. Quei tre verbi vengono pronunciati da Sigmund Freud nell'autunno della sua vita, in un passo famoso di "Analisi terminabile e interminabile". Il padre della psicoanalisi li usa per indicare i tre mestieri impossibili che da sempre accompagnano l’uomo. Come fare il bene dell’altro senza sostituirsi a lui? Come accogliere quel gesto senza che esso si traduca in ordine, ingiunzione, comandamento? Come evitare che la strada che indichiamo o che ci viene indicata sia segnata una volta per tutte, marchiata dal gesto di chi l’ha inaugurata anziché dall’impronta singolare di chi la percorrerà? Curare, educare, governare, ci dice Freud, sono i tre possibili che ogni giorno rischiano di precipitare nell'impossibile. E i tre impossibili che ogni giorno siamo chiamati a rendere ancora una volta possibili.
Questa la riflessione che, nel 2016, presentava l'edizione zero del KUM Festival. Dal 2016, Kum!Festival si è svolto ogni anno, presso la Mole Vanvitelliana di Ancona.
SC
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