Kundera, l’incontemporaneo che ci aiuta a giudicare
L’apologia del pudore, l’atto di fede nella fedeltà e solidità umana, il senso delle cose, il messaggio all’Europa. Quattro idee del letterato che hanno sfidato e sfidano il mainstream
Mi manca la competenza per scrivere del Milan Kundera letterato e romanziere: non sono un critico letterario e non ho letto estesamente l’autore franco-ceco. Delle pagine più riuscite di uno scrittore si dice “mi sono rimaste impresse”, ma nel mio caso bisognerebbe dire “mi hanno impresso”: la forza icastica di alcune sue poche righe hanno illuminato l’intelletto e di conseguenza generato giudizi certi sull’epoca contemporanea e sulla condizione umana dentro di essa. Lui che può essere definito, come Alain Finkielkraut definisce Charles Péguy, un “incontemporaneo”.
Incontemporaneo perché è tutto il contrario dell’apparenza, del narcisismo, del consumo, della fretta, del presentismo, dell’emotivismo, della spudoratezza, della tolleranza intollerante, della sguaiatezza e del moralismo, i due opposti che rendono impossibile l’ironia, del sentimentalismo che è contraffazione della sensibilità, del politicamente corretto che lo ha condannato ad essere considerato sessista e quindi non premiabile da parte dei parrucconi deficienti di Stoccolma: la sua prosa e le sue storie sono il contrario dei modi dominanti del mondo contemporaneo.
Kundera e l’apologia del pudore
Kundera uomo di idee meditate ci ha lasciato un patrimonio al quale si potrà sempre attingere. Per curare se stessi e per giudicare quello che succede nella società. Mi limito a ricordare e commentare solo quattro di quelle idee.
La prima. La più persuasiva apologia del pudore che abbia mai letto si trova nell’Insostenibile leggerezza dell’essere, nel brano che spiega la rottura fra i due amanti Sabina e Franz:
«Per Sabina vivere nella verità, non mentire a se stessi né agli altri, è possibile soltanto a condizione di vivere senza pubblico. Nell’istante in cui qualcuno assiste alle nostre azioni, volenti o nolenti ci adattiamo agli occhi che ci osservano, e nulla di ciò che facciamo ha più verità. Avere un pubblico, pensare a un pubblico significa vivere nella menzogna. Sabina disprezza la letteratura nella quale gli autori rivelano ogni piega intima di se stessi e dei loro amici. L’uomo che perde la propria intimità perde tutto, pensa tra sé Sabina. E l’uomo che se ne sbarazza di sua spontanea volontà è un mostro. Per questo Sabina non soffre per nulla di tener nascosto il proprio amore. Al contrario, solo in quel modo può vivere nella verità».
Perciò sono menzogna e accolite di mostri i reality televisivi, il vasto spettro dei social, i Gay Pride, i coming out, la pornografia sentimentale dei talk show alla Uomini e donne (notate che tutto ciò che implica ostentazione dell’intimità è connotato da parole in lingua inglese); e sono mostri gli influencer e le influencer, ovviamente i pornodivi e le pornodive, i vip che rilasciano interviste a cuore aperto, gli ospiti dei dibattiti televisivi e dei talk show di qualunque tipo e natura, le rockstar che hanno perso l’innocenza, i guru che affollano i social, i leader mondiali sempre sorridenti e in particolare quelli delle pantomime al G8, al G20 e al Consiglio europeo. La verità cercatela fra le monache e fra i monaci, purché privi di accesso a internet, nelle case dove nessuno viene mai intervistato, nelle strade dove chi era presente al fatto rifiuta l’intervista, fra i parenti e amici del defunto che allontanano le telecamere, sulle tracce dei compagni di scuola e di università che nessuno ha più visto, fra i divorziati, i vedovi e le vedove, gli omosessuali, i coniugi traditi che non sfruttano la propria condizione per campare sul vittimismo.
L’atto di fede nella fedeltà e solidità umana
La seconda lezione è l’atto di fede nella fedeltà, nell’infrangibilità dei rapporti, nella solidità dell’umano che mai nessuna liquidità, nessuna fluidità potrà cancellare completamente. Ci sarà sempre un amore che dura, un’amicizia che persiste, una devozione filiale che non si spegne; almeno una storia su cento, ci sarà sempre. Yuval Harari sostiene che nel mondo del futuro, dove tanti potranno vivere 125-150 anni come adesso se ne vivono 80-90, la monogamia e la promessa di eterno amore non avranno più alcun senso, perché nessuno potrà mantenere fino alla fine una promessa affettiva fatta a 20 anni. Risponde Kundera per bocca di Tamina la vedova nel Libro del riso e dell’oblio:
«È così semplice: un morto che io amo non sarà mai morto per me. Non posso nemmeno dire: “L’ho amato”. No: io lo amo. E se mi rifiuto di parlare di lui usando un tempo al passato, ciò significa che colui che è morto, è».
E in questo lo scrittore ateo vedeva consistere l’immodificabile natura religiosa dell’essere umano. Non la vede solo chi non la vuole vedere, perché nessuno fra noi è così sfortunato da non conoscere almeno un vero innamorato di una defunta o una vera innamorata di un defunto che sono più vivi di tanti vivi di questo mondo. “Finché morte non ci separi” è per loro espressione falsissima, che di fatti si sente pronunciare solo nei filmetti e nelle fiction televisive: la morte non ha separato un bel niente. Esistono veramente, non sono mere finzioni cinematografiche, le Elisa come quella della Grande bellezza, la donna che continua ad amare segretamente Jep Gambardella per una vita intera, pur essendo serenamente sposata a un altro. Esisti tu, amico lettore, che ben conosci il luogo del tuo cuore dove abita la compagna di liceo alla quale non riuscisti a dichiarare il tuo amore, colei che ti farà compagnia fino alla fine, nella dolcezza e nel rimpianto.
Il senso delle cose
La terza lezione riguarda il senso delle cose, che si offre solo a chi dà più importanza e dedica più attenzione all’ascolto e alla contemplazione della realtà che alla realizzazione del progetto che ha programmato. La differenza fra i due atteggiamenti è la stessa che identifica le rispettive nature della strada e dell’autostrada, due possibilità di mobilità radicalmente differenti. Come spiega Kundera nel romanzo L’immortalità:
«Un’autostrada è differente da una strada non solo perché è destinata esclusivamente a veicoli, ma anche perché è soltanto una linea che collega un punto con un altro punto. Un’autostrada non ha nessun significato in se stessa: il suo significato deriva interamente dai due punti che collega. Un’autostrada rappresenta la svalutazione trionfante dello spazio, che grazie ad essa è ridotto a mero ostacolo al movimento umano e a perdita di tempo […]. Una strada, invece, è un tributo allo spazio: ogni tratto di strada ha un significato in se stesso e ci invita a fermarci».
Il senso del viaggio è ciò che durante il viaggio accade, è ciò che durante il cammino si incontra. Un viaggio senza fermate e senza sorprese non è un viaggio: è un trasferimento. Che è quello a cui le vite metropolitane sono ridotte: spostamenti da casa al posto di lavoro, al centro commerciale, al locale notturno col mezzo di trasporto più veloce e più pratico possibile, lamentandoci sempre dei mezzi pubblici in ritardo o sovraffollati o del parcheggio che non si trova. Quella ripetitività che vuole convincerti che la vita è semplicemente l’autostrada che collega la nascita con la morte, senza uscite intermedie, senza stazioni di servizio o autogrill.
Il messaggio all’Europa
Infine il messaggio del Kundera saggista che riguarda l’Europa, che nella sua componente che ha dato vita all’Unione Europea dovrebbe evitare il paternalismo e il moralismo nei confronti dei paesi ex comunisti dell’Est. I quali sono culturalmente “occidentali” come lei (infatti il saggio che raccoglie i suoi interventi sull’argomento s’intitola Un Occidente prigioniero), ma non portano il fardello della colpa del colonialismo e dell’imperialismo, e al contrario sono stati colonizzati dall’Unione Sovietica.
Nell’Unione Europea questi paesi non cercano il lavacro purificatore delle colpe della storia e il crogiolo dove saranno fusi in un’unica lega liscia e anonima (gli europeisti alla manifesto di Ventotene), ma il riparo che permetta loro di coltivare senza paura e senza imposizioni l’identità nazionale prodotto della loro tormentata storia. Perché non possono dare per scontata la propria esistenza indipendente e originale. Scriveva infatti Kundera nel 1968, l’anno dei carri armati del Patto di Varsavia a Praga:
«Una grande nazione non si tormenta con l’interrogativo di trovare un motivo e una giustificazione alla propria esistenza, ma semplicemente esiste e continua a farlo con evidenza schiacciante. […] Una piccola nazione, invece, se ha una certa importanza nel mondo, deve ricrearla di giorno in giorno, senza mai fermarsi. Nel momento in cui cesserà di creare dei valori, perderà la sua motivazione di esistenza e alla fine forse cesserà pure di esistere perché è fragile e distruttibile. […] Credo nella grande missione storica delle piccole nazioni nel mondo attuale, lasciato in balìa delle superpotenze che desiderano adeguarlo e livellarlo alla loro misura. Le piccole nazioni, nel loro costante tentativo di cercare e creare la propria fisionomia, e nella lotta per la propria individualità, diventano al contempo protettrici di quel globo minacciato da terribili spinte uniformatrici, consentendo così di brillare a tutta una lunga serie di diversità di tradizioni e di stili di vita, permettendo così che individualità, prodigiosità e peculiarità umana siano di casa entro i propri confini».
In questo testo c’è un contenuto che va esteso a ogni stato europeo, grande o piccolo, antico o recente: scrive Kundera che l’esistenza delle piccole nazioni come entità indipendenti si giustifica solo se continuano a creare cultura in modo originale. Questo è verissimo anche per l’Europa occidentale: se attraverso l’Unione Europea gli stati nazionali devono diventare delle scimmiottature delle nevrosi dissolutorie anglosassoni o il prototipo di un’unificazione politica mondiale che tutto omologa, tanto vale che cessino di esistere. Significherebbe che non hanno prestato orecchio al monito di Kundera:
«Nel mondo moderno, dove il potere tende a concentrarsi sempre di più nelle mani di pochi grandi, tutte le nazioni europee rischiano infatti di diventare ben presto piccole nazioni e di subirne la sorte. In questo senso, il destino dell’Europa centrale appare come un’anticipazione del destino europeo in generale, e la sua cultura acquista di colpo un’estrema attualità».
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