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venerdì 31 maggio 2024

Eritritolo

 L'eritritolo è un dolcificante naturale utilizzato come sostituto dello zucchero. Pur avendo il suo stesso aspetto e il suo stesso sapore, è caratterizzato da un apporto calorico, e nutrizionale, pressoché nullo.


Perché usarlo? Quali sono i vantaggi e gli eventuali effetti indesiderati? Ne parliamo con la professoressa Stefania Paolillo, Cardiologa dell’Università Federico II di Napoli.


È utile sostituire lo zucchero con un diverso edulcorante?

È utile sostituire lo zucchero con un diverso edulcorante?

CHE COS’È L’ERITRITOLO?

Dal punto di vista chimico l’eritritolo è un polialcol presente in natura nei prodotti di origine vegetale, come frutta o mais, ed estratto industrialmente proprio a partire da zuccheri vegetali sottoposti a processi intensivi di fermentazione batterica in specifici bioreattori. L’eritritolo è anche comunemente addizionato ad alcuni alimenti e bevande, soprattutto fermentate, in quantità molto maggiori rispetto a quelle che naturalmente sono presenti negli alimenti.

A partire dal 2006, data di approvazione concessa dalla Commissione Europea, l’eritritolo sta assumendo nel territorio europeo e italiano sempre maggior rilevanza tra i dolcificanti, rappresentando una valida alternativa ai classici dolcificanti sintetici e semisintetici.

 

I VANTAGGI

Quali sono i motivi che hanno determinato un uso sempre maggiore di eritritolo come dolcificante? Comunemente indicato in etichetta con la sigla E968, è uno dei dolcificanti naturali preferiti dai consumatori per il suo potere calorico praticamente nullo, pari circa 0,2 Kcal per grammo, nonostante l’elevato potere dolcificante, stimato intorno al 60 - 80% del comune saccarosio. I vantaggi, però, non sono finiti.

«A differenza dello zucchero – spiega la professoressa Paolillo –, oltre a non aggiungere

calorie ulteriori a quello che mangiamo o beviamo, ha un indice sia glicemico sia insulinemico piuttosto irrilevante. Questo significa che, nell'immediato, non causa variazioni di glicemia e di insulinemia, i due parametri strettamente correlati al diabete e alla scarsa tolleranza al glucosio. Inoltre, a differenza di altri dolcificanti come la stevia che ha un retrogusto un po' amaro, simile alla liquirizia, l'eritritolo non ha pressoché nessun retrogusto e, anche visivamente, è molto simile allo zucchero. L'effetto psicologico sulla persona che lo assume, dunque, è da paragonare all’assunzione dello zucchero vero».

Non vanno dimenticate le caratteristiche metaboliche che impediscono all'eritritolo di accumularsi nel lume intestinale, riducendo quindi, a dosi limitate, la comparsa di diarrea e dolori addominali crampiformi, permettendone invece l'assorbimento intestinale e la conseguente eliminazione per via renale.

sono stati tutti selezionati da centri specialistici in cui si erano recati per un follow up cardiologico. Nel 75% dei casi questi soggetti avevano già una malattia coronarica, nel 70% ipertensione e in quasi il 50% si era già verificato un infarto del miocardio. Si tratta quindi di persone che, di per sé, presentano un rischio aumentato di eventi cardiovascolari».


L'intelligenza

"L'intelligenza non è ciò che si sa,

ma ciò che si fa quando non si sa."

Jean Piaget

giovedì 30 maggio 2024

L’UOMO

 L’UOMO.


Amo l’ uomo creato a immagine di Dio. Lo vedo grande, nel vigore della giovinezza  e nella debolezza della vecchiaia. Mi intenerisce quando, ammalato,  chiede aiuto e mi avvilisce quando si fa minuscolo quanto una lenticchia. 


Amo l’uomo fin da quando ha inizio la sua unica, incredibile avventura. Resto stupito nel vederlo formarsi prima che la sua stessa mamma ne sia a conoscenza.  C’è. Esiste. Da questo invisibile puntino  altre vite nasceranno. Accoglierlo, difenderlo, nutrirlo è virtù grande e insuperabile. Restargli accanto, educarlo, amarlo è un dovere cui non ci si può sottrarre.  Così fece con noi chi ci regalò la vita. Incoraggiarlo, assisterlo, curarlo quando le forze gli verranno meno, è il  meglio che può fare la nostra umanità. Così, un giorno, faranno con noi coloro che abbiamo amato. L’uomo più debole e fragile si fa,tanto più merita di stare al centro della società. 


Amo i miei amici. Ne ho tanti e di ottima fattura. Alcuni di vecchia data, altri  che da poco si sono  aggiunti  al mio  cammino. Lascio sempre la porta spalancata per nuove  conoscenze, nuove pagine da scrivere. I miei amici. Buoni come il vino delle migliori annate.  Li ho sentiti accanto in ogni ora della vita. Sulla loro spalla ho pianto, e non una volta sola. Con loro ho passato notti  insonni, quando la disperazione veniva a corteggiarli. Ci siamo fatti compagnia. Insieme siamo corsi  a bere alla fonte dove zampilla  la  speranza.  


Fanno  parte di me. Di loro non potrei fare a meno. Posso chiamarli a qualunque ora del giorno e della notte. Ci sono. 


Ma mi sforzo di amare  anche chi l’ amicizia ha tradito e rinnegato. Chi ha permesso all’invidia di occupare, nel suo cuore, un posto che non le competeva. Chi non ha saputo  gioire quando la vita sorrideva all’ altro e ha spalancato  la porta al  vento gelido della gelosia.  


Non è facile, ma è mio dovere continuare ad amare anche chi ha dato spazio alla violenza. Chi ha cominciato a scendere i gradini sdrucciolevoli di un abisso senza fondo. “ Debbo “ amarlo, perché prima di me  lo ha amato e continua ad amarlo Iddio. Perché so che in ogni momento può intraprendere il cammino inverso, invertire la rotta e  cominciare   – non sarebbe la prima volta – a  risalire la china. E innamorarsi della bellezza e della bontà,  della giustizia e della verità.  


So che i conflitti occorre tenerli a bada. Anche quando al mio egoismo non sembra essere conveniente. Anche quando l’orgoglio, che in me non vuol morire, mi spingerebbe a mortificare chi non mi ha voluto bene. Lo so. La storia me lo insegna. Il vangelo lo comanda. Cristo me lo sussurra all’orecchio dolcemente: “ Ama. Sempre. Anche quando costa. Anche quando  sembra inutile e dannoso. Ama. Ama la persona nella verità. Senza paura. Gratuitamente. Senza pretendere di essere riamato. Ascolta.  Fatti attento al suo parlare. Scendi negli anfratti del suo animo  e scoprirai qualcosa che gli altri non potranno sapere mai …”.   


In fondo, finanche la bramosia di possesso e di piaceri  potrebbe essere la prova dell’ esistenza di Dio. Ci ritroviamo in petto un  cuore grande quanto una galassia e ci illudiamo di riempirlo con le piccole cose della terra. Dio, Dio solo potrà colmarlo fino a farlo traboccare. Aiuta  il prossimo  a comprendere questa immensa verità. Non negargli questa possibilità. Resisti. Non rispondere al male con il male. Schiaccia la testa al serpente antico. Spezza la catena di ogni iniquità.  


Amo la mia generazione, ma anche quella che verrà. Mi affascina il  futuro ma anche il passato. Anche verso gli antenati antichi sento il dovere di usare misericordia e comprensione. Possono non piacermi le loro convinzioni. Il fasto eccessivo del barocco potrebbe infastidirmi. Invece no. Debbo indagare. Scoprire il motivo per cui un uomo povero si tolse dalla bocca il pane pur di  elevare a Dio una casa più bella di quella del re. Quest’uomo merita rispetto,  comprensione,  gratitudine. Debbo sforzarmi di capire. Per evitare di ripetere il male commesso e impegnarmi a realizzare  il bene che non fu fatto. 


Progresso è  parola bella. Vuol dire fare tesoro del passato per costruire un futuro migliore.  Rendere la vita più serena a tutti. Vero progresso vuol dire avere a cuore i giovani e i vecchi, i sani e gli ammalati.  I già nati e chi ancora non ha visto quanto è bello il sole.  Chi,  nel pieno del potere, tiene nelle sue mani il mondo e chi non conta nulla nella scacchiera della geografia. 


Amo. Gli uomini e il creato.  Il creato e il Creatore. Chi ha la pelle diafana e chi ha le mani più nere del carbone. Sento il dovere di essere  custode di ogni mio fratello. Quello che conosco e quello  verrà  quando sarò passato all’ altra riva.  Un giorno ci ritroveremo tutti in Dio. E Dio sarà tutto in noi. 


Credo. Spero. Amo. Sono  gioiosamente “condannato” a farlo, perché Dio da sempre ha voluto farmi erede della sua grandezza. Ha voluto che, come tutti voi, io nascessi “uomo”. Il complimento più bello che puoi fare a un uomo è dirgli che è … un uomo. Maurizio Patriciello.

martedì 28 maggio 2024

non dobbiamo mai scoraggiarci di niente

 "[...] non dobbiamo mai aver paura,

non dobbiamo mai scoraggiarci di

niente.

= tempo e I'esito non è nostro e la

potenza di Dio è più grande di tutta

di tutta la nostra debolezza*

siamo, in qualsiasi caso, anche

quando sbagliamo, sereni, lieti.

Se uno, perché ha sbagliato, non è

lieto, sbaglia lì, perché si affidava a

se stesso.

Invece no, è a Gesù che ci si affida,

E il Signore, che è venuto per

salvarti, lo sa Lui come salvarti!

Perciò anche se sbagli oggi, sbagli

domani, dopodomani, tu sei sicura

che chi ti ha chiamato,,

<<chi ha iniziato in te quest'opera

buona la porterà fino alla fine>>

Ma - tempi non li misuri tu.' "

Luigi Giussani

(cit. in "L'attrattiva Gesù" pag.267

domenica 26 maggio 2024

SAN FILIPPO NERI

SAN FILIPPO NERI


L’amabile figura del “𝙎𝙖𝙣𝙩𝙤 𝙙𝙚𝙡𝙡𝙖 𝙜𝙞𝙤𝙞𝙖” mantiene ancor oggi intatto quell’irresistibile fascino che egli esercitava su quanti a lui s’avvicinavano per imparare a conoscere e sperimentare le autentiche fonti della letizia cristiana.


Ripercorrendo la biografia di san Filippo si resta, in effetti, sorpresi e affascinati dal modo ilare e disteso con cui egli sapeva educare, ponendosi accanto ad ognuno con fraterna condivisione e pazienza. 


Com’è noto, il Santo soleva raccogliere il suo insegnamento in brevi e sapide massime: “State buoni, se potete”; “Scrupoli e malinconia, fuori di casa mia”; “Siate umili e state bassi”; “L’uomo che non prega è un animale senza parola”; e, portando la mano alla fronte, “La santità consiste in tre dita di spazio”. Dietro l’arguzia di questi e di tanti altri “detti” è possibile avvertire l’acuta e realistica conoscenza che egli era andato acquistando della natura umana e della dinamica della grazia. In questi insegnamenti rapidi e concisi egli traduceva l’esperienza della sua lunga vita e la sapienza di un cuore abitato dallo Spirito Santo. Questi aforismi sono diventati, ormai, per la spiritualità cristiana, una sorta di patrimonio sapienziale.


San Filippo si presenta nel panorama del Rinascimento romano come il “profeta della gioia”, che ha saputo porsi alla sequela di Gesù, pur inserendosi attivamente nella civiltà del suo tempo, per tanti aspetti singolarmente vicina a quella di oggi.

L’Umanesimo, tutto concentrato sull’uomo e sulle sue singolari capacità intellettuali e pratiche, proponeva, contro una certa mal intesa cupezza medievale, la riscoperta di una gioiosa freschezza naturalistica, priva di remore e di inibizioni. L’uomo, presentato quasi come un dio pagano, veniva così situato in una posizione di protagonismo assoluto. Si era operata, inoltre, una sorta di revisione della Legge morale allo scopo di ricercare e garantire la felicità.


San Filippo, aperto alle istanze della società del suo tempo, non rifiutò questo anelito alla gioia, ma si impegnò a proporne la vera sorgente, che egli aveva individuato nel messaggio evangelico. È la parola di Cristo a delineare il volto autentico dell’uomo, svelandone i tratti che ne fanno un figlio amato dal Padre, accolto come fratello dal Verbo incarnato, e santificato dallo Spirito Santo. Sono le leggi del Vangelo e i comandi di Cristo che conducono alla gioia e alla felicità: questa è la verità proclamata da san Filippo Neri ai giovani che incontrava nel suo quotidiano lavoro apostolico. 


Era, il suo, un annuncio dettato dall’intima esperienza di Dio fatta soprattutto nell’orazione. La preghiera notturna alle Catacombe di san Sebastiano, ove non di rado si appartava, non era solo una ricerca di solitudine, bensì un voler intrattenersi a colloquio con i testimoni della fede, un volerli interrogare - così come i dotti del Rinascimento tessevano colloqui con i Classici dell’antichità: e dalla conoscenza veniva l’imitazione e poi l’emulazione.

In san Filippo, al quale durante la veglia di Pentecoste del 1544 lo Spirito dette un “𝙘𝙪𝙤𝙧𝙚 𝙙𝙞 𝙛𝙪𝙤𝙘𝙤”, è possibile intravedere l’allegoria delle grandi e divine trasformazioni operate nella preghiera. 


Un fecondo e sicuro programma di formazione alla gioia - insegna il nostro Santo - si alimenta e poggia su una costellazione armoniosa di scelte: la preghiera assidua, l’Eucaristia frequente, la riscoperta e la valorizzazione del sacramento della Riconciliazione, il familiare e quotidiano contatto con la Parola di Dio, l’esercizio fecondo della carità fraterna e del servizio; e poi la devozione alla Madonna, modello e vera causa della nostra letizia. Come dimenticare, in proposito, il suo monito sapiente ed efficace: “Figlioli miei, siate devoti di Maria: so quel che dico! Siate devoti di Maria!”.


Qualificato come il “santo della gioia” per antonomasia, san Filippo dev’essere pure riconosciuto come l’“apostolo di Roma”, anzi come il “riformatore della Città eterna”. Lo divenne quasi per naturale evoluzione e maturazione delle scelte operate sotto l’illuminazione della Grazia. Egli fu veramente la luce e il sale di Roma, secondo la parola del Vangelo (cf. Mt 5, 13-16). Seppe essere “luce” in quella civiltà certamente splendida, ma spesso soltanto per le luci oblique e radenti del paganesimo. 


In tale contesto sociale Filippo rimase ossequiente all’Autorità, devotissimo al deposito della Verità, intrepido nell’annuncio del messaggio cristiano. Così fu sorgente di luce per tutti.


Egli non scelse la vita solitaria; ma, svolgendo il suo ministero fra la gente del popolo, si propose di essere anche “sale” per quanti lo incontravano. Come Gesù, seppe calarsi nella miseria umana ristagnante sia nei palazzi nobiliari che nei vicoli della Roma rinascimentale. Egli era, a volta a volta, cireneo e coscienza critica, consigliere illuminato e maestro sorridente.

Proprio per questo, non fu tanto lui ad adottare Roma, quanto Roma ad adottare lui! 

Per 60 anni visse in questa Città, che si andava intanto popolando di Santi. 


Se nelle vie incontrava l’umanità dolorante per confortarla e sorreggerla con la carità di una parola sapiente e umanissima, preferiva raccogliere la gioventù nell’Oratorio, la sua vera invenzione! Ne fece un luogo d’incontro gioioso, una palestra di formazione, un centro di irradiazione dell’arte.


Fu nell’Oratorio che san Filippo, accanto alla coltivazione della religiosità nelle sue espressioni consuete e nuove, s’impegnò a riformare ed innalzare l’arte, riconducendola al servizio di Dio e della Chiesa. Convinto com’era che il bello conduce al bene, fece rientrare nel suo disegno educativo tutto ciò che avesse un’impronta artistica. E divenne lui stesso mecenate delle diverse espressioni artistiche, promovendo iniziative capaci di portare al vero e al buono.


Incisivo ed esemplare fu il contributo che san Filippo seppe dare alla musica sacra, spingendola ad elevarsi da motivo di fatuo divertimento ad opera ricreatrice dello spirito. Fu dietro suo stimolo che musicisti e compositori iniziarono una riforma che toccherà in Pier Luigi da Palestrina il vertice più alto. ...

... Il cosiddetto “quadrilatero” - umiltà, carità, preghiera e gioia - resta sempre una base solidissima su cui poggiare l’edificio interiore della propria vita spirituale.


(San #GiovanniPaoloII, Lettera ai membri della Confederazione dell’Oratorio, 07/10/1994)

giovedì 23 maggio 2024

l'oppio é la religione dei popoli"

 "Marx diceva che la religione era l'oppio dei popoli. 

Io invece dico che ormai l'oppio é diventato la religione dei popoli".

*Don Oreste Benzi*

MADRE

 Come si coniuga il verbo “madre”? Non è un verbo? Ne siete proprio sicuri? Amare, fare, dare, ascoltare, confortare, gioire, piangere, abbracciare, baciare, accarezzare, sentire, curare, sostenere, proteggere, insegnare, accompagnare, ricordare, studiare, leggere, pulire, cucinare, nutrire, vegliare, urlare, sussurrare, cantare, sorridere, correre, saltare, educare, comprendere, perdonare, subire, angosciarsi, sollevare, soffrire, tacere, parlare…


Avete ragione “madre” non è un verbo solo, ma tutti i verbi di una vita.


Flavia Basile Giacomin

mercoledì 22 maggio 2024

la bella natura, espressione della Volontà Divina

 

la bella natura, espressione della Volontà Divina

SAVOY HOTEL LONDRA, 17 MARZO 1927, MEZZANOTTE


... So quanto ami ed apprezzi la bella natura, espressione della Volontà Divina nella quale si trovano i valori ideali eterni, il Vero, il Bello ed il Buono (tu li hai tutti e tre in te stessa). L'Armonia unificata delle cause e delle leggi forma il Vero; l'Armonia unificata delle linee, dei colori, dei suoni e delle idee forma il Bello; mentre l'Armonia dei sentimenti e della volontà forma il Buono, che come la più alta espressione del Creatore Eterno e supremo, congiunge tutto l'Essere umano e lo spinge alla perfezione finale.

sentiamo bisogno di relazioni solide

 È il paradosso della postmodernità liquida. Più si evitano impegni stabili e duraturi per timore di esserne poi vincolati, più sentiamo bisogno invece di relazioni solide e amici disponibili. Però siamo incapaci di fare il passo. Di fronte al "per sempre" ci troviamo impauriti. Solo che, senza un impegno esclusivo e nel tempo, i nostri legami sono fragili e anche il rapporto d'amore risulta esasperatamente insicuro. Questo crea uno stato di ansietà permanente in cui è sprofondato l'uomo d'oggi. 


Zygmunt Bauman, Avvenire.

Realtà virtuale , bambini

 Uno degli atteggiamenti più dannosi secondo Faggin è mettere un bambino davanti a uno smartphone o un tablet: “Il bambino ha bisogno di un contatto empatico, un contatto da cuore a cuore. La tecnologia non parla mai al cuore, non parla di ‘pancia’, della capacità di agire in maniera coraggiosa, seguendo dei principi etici, a rischio di andare contro l’opinione comune. Perché uno sa che, dentro di sé, deve essere così e segue il suo senso di giustizia e di etica. Ci siamo dimenticati di insegnare queste cose ai giovani. In questo modo, l’informazione perde la sua connessione con il significato e questo accade dai tempi di Shannon che ha definito la quantità di informazione come la probabilità che esistano certi simboli, quindi l’informazione non ha più connessione con il significato. Ma la nostra vita si basa sul significato delle relazioni, sul significato di chi siamo, capire l’universo, connettersi con una realtà più vasta. Se noi buttiamo via questi concetti come fossero fantasie o epifenomeni, ci ritroviamo con i problemi che abbiamo oggi”. (Intervista a Federico Faggin - Pag 170-171  "Intelligenza artificiale" Di Matteo-Zuccarelli 2024)

domenica 19 maggio 2024

IL vero volto del RISORGIMENTO

 

Risorgimento una «guerra di religione» contro la chiesa” di Domenico Bonvegna

Posted by  on Gen 17, 2022

Adesso ho capito perché la storica Angela Pellicciari nei suoi libri sostiene una tesi singolare: il Risorgimento italiano è un movimento politico religioso culturale per distruggere la Chiesa cattolica e cancellare l’identità cattolica del nostro Paese.Una verità che viene confermata leggendo la poderosa opera in 3 tomi, «Memorie per la storia de’ nostri tempi. 1856-1866» del sacerdote giornalista don Giacomo Margotti.

L’opera è stata pubblicata anastaticamente dalla benemerita e gloriosa casa editrice Ares nel 2013 (www.ares.mi.it). La riproduzione è stata calorosamente suggerita da Angela Pellicciari, che è la curatrice dell’intera opera del sacerdote sanremese. Originariamente l’opera di don Margotti è stata pubblicata a Torino dall’Unione tipografico-editrice dal 1863 al 1865. Da qualche settimana sto leggendo il 1° Tomo delle Memorie.Ogni tomo è suddiviso in 2 volumi. Il 1° tomo (384 pag. nel 1Vol e 382 nel 2 Vol.)Le Memorie di don Margotti sono fondamentali per capire la battaglia culturale e politica che si combatté contro la Chiesa italiana. Margotti, direttore del quotidiano «L’Armonia» e poi de «L’Unità cattolica» è stato testimone oculare che ha vissuto in prima persona gli avvenimenti cruciali della guerra della rivoluzione italiana. Egli racconta, «il Risorgimento come lo ha vissuto giorno per giorno, dando dettagliata cronaca di quanto successe in quegli anni 1856-1866; in uno dei decenni, cioé, più arroventati della storia d’Italia […]».Don Margotti nella sua infaticabile attività pubblicistica, utilizzava un giornalismo d’inchiesta, per quei tempi burrascosi, era coraggioso, ebbe una vita avventurosa, scampò miracolosamente a un attentato il 27 gennaio 1856. Tra le sue esperienze, divenne anche deputato, ma la sua elezione fu arbitrariamente invalidata.L’autore si avvale di una grande e infinita quantità di documenti, economici, politici, ideologici, statistici, e militari. Con quest’opera, intende denunciare, la violenza dell’elité risorgimentale, italiana ed estera, perpetrata in nome della libertà e della monarchia costituzionale contro la Chiesa cattolica e il popolo, che in essa si riconosceva. Sono pagine di storia in presa diretta, che costituiscono una «lettura del Risorgimento assolutamente in controtendenza rispetto a tutta la storiografia tradizionale successiva».Del resto come scrive Angela Pellicciari, nell’introduzione, sono sempre i vincitori a scrivere la Storia, cancellando le tracce degli oppositori, che denunciano i soprusi e le ingiustizie.

Naturalmente Giacomo Margotti, oggi è quasi del tutto sconosciuto, benché in vita abbia goduto di tanta visibilità, ammirato ma anche temuto (dai suoi avversari) per le sue analisi e idee. Identico destino è toccato anche alle sue Memorie per la storia de nostri tempi. Dobbiamo ringraziare le edizioni Ares per aver colmato questa lacuna.Addentrandosi nello studio dell’opera del sacerdote ligure trapiantato a Torino, le prime pagine sono dedicate al Congresso di Parigi del 1856, dove i diplomatici di Francia, Inghilterra e del Piemonte, intervengono sulla situazione politica degli Stati  della penisola italiana. Questo congresso diventa un punto di riferimento per tutti, perché qui secondo Margotti si proiettano tre strade future per i Paesi europei: l’intervento diplomatico, rivoluzionario e quello armato. Tutto questo secondo il principio del non intervento. Nei tre tomi don Margotti ripropone articoli, già pubblicati nel suo giornale L’Armonia. Vengono fuori delle schede illuminanti. Già in «Tribolazioni della Chiesa in Piemonte», Margotti, dà una rapida occhiata alle condizioni della Chiesa in Piemonte, a partire dal 1847. Scrive il sacerdote, «Si concede la libertà della stampa a tutti, fuorché ai Vescovi», e tutto questo il Governo lo giustifica tra sofismi gemiti. Poi anno dopo anno si riporta le varie fasi della «guerra» dei liberali alla Chiesa. A cominciare dall’aggressione nei confronti del vescovo di Nizza e del suo palazzo arcivescovile. Marzo 1848, invasione dei conventi e soppressione dei Gesuiti, seguita dalla soppressione degli Oblati, poi le Dame del Sacro Cuore.

A novembre, il ministro dell’istruzione Bon-Compagni emette direttive contro l’insegnamento religioso. Seguono calunnie dei giornali nei confronti della Chiesa e del clero tutto. 

. 1850, approvazione della Legge Siccardi; l’arcivescovo di Torino viene imprigionato, stesso trattamento per l’arcivescovo di Sassari.Marzo 1851, alla Camera dei Deputati si discute un disegno di legge contro i voti religiosi, Brofferio esclama: «Sopprimiamo i conventi, e tutto sia terminato]…] sia snudata la spada contro i preti fino all’ultimo sangue». Il 28 giugno durante una pesante perquisizione del convento dei francescani di Alghero, fu sfasciato tutto, perfino nelle tombe si cercava chissà che cosa. I vescovi protestano contro le varie circolari emanate dal governo che continua a perseguitare e minacciare. Nello stesso tempo i giornali bestemmiano contro PioIX. Viene rubata perfino la statua della Beata Vergine Consolatrice, dono di Carlo Felice e Maria Cristina.Il 30 marzo1854, i Vescovi delle tre provincie ecclesiastiche di Torino, Genova e Vercelli ricorrono al Senato perché rigetti la legge contro il Clero: «Questo progetto di legge tenda ad opprimere la libertà di parola del ministro di Dio».C’è un lungo elenco di fatti avvenimenti dove si constata una vera persecuzione della Religione. Religiosi, monaci, cacciati dai conventi: i padri della Certosa di Collegno, le Canonichesse Lateranensi di S. Croce, sono cacciate con viva forza dal monastero a Torino, rompendo la loro clausura. Il 22 agosto del 1854, nella notte mediante la rottura del muro, le forze armate, s’introducono nel monastero delle monache Cappuccine di Torino e vengono espulse. Stessa sorte capita ai Padri Domenicani e agli Oblati di Torino.Il 20 luglio 1855, gli agenti del governo, sfondano le porte a colpi di scure del convento dei Cappuccini di Ciamberì.

Non si contano le circolari del governo indirizzate ai sindaci per vigilare sulla buona condotta del clero, controllare le omelie dei parroci, in particolare se dicono l’Oremus pro Rege; se in pubblico o in privato sparlino delle libere istituzioni, delle leggi e del governo; se il parroco sia amato o detestato dai suoi parrocchiani. Tra i centri religiosi soppressi, don Margotti approfondisce il caso del Monastero della Novalesa, in val di Susa, che era stato invaso dai saraceni, depredati da quei barbari di tutti i beni sacri e profani presenti nel monastero. Ora scrive Margotti, usciamo dal Medioevo ed entriamo nell’evo della libertà, del progresso, delle Costituzioni, dei principi dell’89, il monastero della Novalese, viene di nuovo conquistato e vengono dispersi i monaci. «Ma i conquistatori non sono più forestieri, non Saraceni, non barbari; sono italiani, sono Piemontesi, sono liberali che violano il domicilio altrui, che cacciano i padroni dalla casa propria: italiani e piemontesi che distruggono le loro glorie, e cancellano le nobili memorie che illustrano la propria storia».In pratica secondo le statistiche pubblicate dal governo risulta che dietro la legge del 29 maggio 1855 contro gli ordini religiosi risulta che vennero «conquistati a viva forza 112 conventi in terraferma di possidenti, e 40 in Sardegna; e 65 collegiate, 1700 beneficii semplici. Le vittime furono 7850!». Peraltro, il libro a pagina 187 pubblica i dati statistici degli Ordini Religiosi presenti nel Regno di Sardegna prima della Legge di soppressione.Un ruolo predominante in tutto il Risorgimento lo hanno avuto le Società Segrete, don Margotti a pagina 77 dà conto del loro lavoro cospirativo. In Francia, «le società segrete e il governo francese s’accordano nel desiderare in silenzio», scrive don Margotti. Un silenzio è rotto il conte Walewsky, ministro degli affari esteri del governo imperiale di Francia, al Congresso di Parigi, dove rimprovera fortemente il Belgio, perchè i suoi giornali flirtano con la società massonica detta La Marianna. Ma è Londra, il cuore della Rivoluzione, lo spirito delle società segrete. In una corrispondenza della Gazzetta Universale, si poteva leggere: «il comitato centrale della Marianna risiede a Londra, sotto il nome di Comune rivoluzionario. Sua cura è, che ogni spartimento della Francia s’istituiscono comitati figli, sotto nomi diversi […]. Se venisse a scoppiare una rivoluzione, questi comitati debbono costituirsi come altrettante convenzioni dipartimentali rivoluzionarie[…] Ogni comitato figlio deve mandare ogni mese al comitato residente a Londra una relazione sopra certi fatti e particolarità, e uno stato del numero delle truppe, dè gendarmi, dè depositi d’armi, delle casse pubbliche, informazioni sui presunti nemici della rivoluzione, ecc.».Margotti riporta il 5° capitolo del programma della Marianna«La Chiesa, questa tirannia dell’umanità, sarà abolita, e tutti sacerdoti del paese saranno espulsi». Nota Margotti, qual è la differenza con Cavour moderato, lui vuole espellere i sacerdoti dalle Legazioni del governo pontificio, mentre i libertini, vorrebbero espellerli da tutto il mondo. «Lo scopo finale è il medesimo; e raggiunto in una parte dello Stato Pontificio, si cercherà di raggiungerlo anche nelle altre parti e negli altri Stati».Tuttavia per Margotti la sede della Rivoluzione in Italia «non è che il Piemonte, e solo dal Piemonte partono gli eccitamenti alla rivolta».Dalla pagina 143, il libro tratta della «Questione Napoletana», Margotti descrive il «contegno fermo e dignitoso del Re di Napoli. Egli si trovò a’ fianchi due colossi, Francia e Inghilterra, che nulla risparmiarono per intimorirlo, né note, né minaccie, né apparecchi di guerra. Eppure non indietreggiò d’un sol punto. Forte del suo diritto, rispose note alle note, proteste alle proteste, pronto a rispondere guerra alla guerra». Più avanti Margotti ripropone l’articolo, «L’Inghilterra e la Sicilia», pubblicato anche questo ne L’Armonia, n. 245, 21 ottobre 1856, dove fa riferimento al Times che espone l’accanimento inglese contro il Re di Napoli. Austria e Francia secondo questo giornale, ma anche l’Inghilterra, hanno un piede in Italia. «Ecco tutta l’umanità, tutto il liberalismo della Gran Bretagna; mettere un piede in Italia, ossia conquistare o prepararsi alla conquista della Sicilia».

La Sicilia è il punto più strategico, è la porta dell’Italia; l’Inghilterra ha sempre avuto gli occhi addosso sull’isola.Rimanendo alla Sicilia, in un intervento del 4 dicembre 1856, si fa riferimento al tentativo di rivolta di un certo Bentivegna, nel comune di Mezzojuso a 24 miglia da Palermo, inalberano il vessillo tricolore, gridando: Viva la Costituzione, via la libertà, viva l’indipendenza della Sicilia. Sono più di sei anni che il giornalismo libertino, che ha il monopolio della pubblica opinione, predica giorno e notte ai Napolitani: Ribellatevi«Sono più di sei mesi che la diplomazia, con iscandalo inaudito, osò nel Congresso di Parigi condannare il Re di Napoli come reo di lesa umanità, e pigliare sfacciatamente il patrocinio di qualche decina di ribelli, i quali, assumendo il compito di rappresentare il paese delle Due Sicilie, vanno gridando dapertutto contro la tirannia, la crudeltà, la ferocia del loro sovrano[…]”.La sollevazione scrive don Margotti, non trovò presa, che in un villaggio della Sicilia, il popolo napoletano non ne vuole sapere di ribellarsi. Le navi inglesi sono pronte per sostenere l’eventuale ribellione, ma il popolo napoletano «se ne sta così tranquillo come godesse le beatitudine dell’Eden».Il popolo napoletano nonostante ha dalla sua parte tutta l’opinione pubblica, tutta la stampa, le due maggiori Potenze del mondo, «un popolo che da tutti questi mezzi incendiari è eccitato alla rivolta contro il suo sovrano, non solo non si ribella contro di lui, ma è preso da indignazione contro un branco di sconsigliati, che alzano l’insegna della rivolta, e, non che aiutarli nella loro sollevazione, piglia le parti del suo sovrano!»E se tutto questo gran fracasso per far sollevare il popolo, veniva fatto contro il Piemonte? Si domanda Margotti.Il popolo non si ribella, ma si trova sempre qualche pazzo, qualche fanatico pronto all’assassinio. Eccolo, l’8 dicembre 1856, un giovane soldato napoletano, Agesilao Milano, cercò di uccidere il re Ferdinando II mentre passava in rassegna la truppa. Il soldato viene arrestato e la sfilata continua, mentre il popolo inneggiava al suo sovrano. Scrive Margotti: «L’attentato d’assassinio contro il Re di Napoli è la più solenne e la più incontestabile condanna di tutta quella orda rivoluzionaria che da parecchi anni spira fuoco e fiamme contro quel monarca. Esso mette il suggello all’infamia, di cui si coprirono què plenipotenziarii del Congresso di Parigi, i quali si avvilirono al segno di farsi eco degli schiamazzi della piazza e del trivio. Quell’attentato dà una mentita a tutte le calunnie della stampa inglese, francese e piemontese, ed alle asserzioni che tutto il popolo del regno delle Due Sicilie odia e detesta in modo orrendo la tirannia del suo sovrano».Comunque sia per il direttore de L’Armonia,  «il dispotismo napoletano non esista che nel cervello dei Francesi, che vorrebbero sostituire Murat a Ferdinando II, e degli Inglesi, che agognano alla Sicilia».Da pagina 256 le Memorie di don Margotti pubblicano una serie di Circolari contro il Clero Cattolico, da parte del governo piemontese. Dove tra il politichese freddo dei vari ministri sardi si cerca di togliere il più possibile la libertà di pensiero e di azione della Chiesa italiana. Il ministero del signor Peruzzi e del signor Pisanelli è forse il più fecondo in circolari contro la Chiesa ed il Clero.«In tutti questi documenti (ben 40 Circolari), precisa don Giacomo Margotti, non senza grave fatica, abbiamo raccolti nel presente quaderno, e ci pare che essi riescano a provare vittoriosamente, tre fatti: 1° l’odio che la rivoluzione porta alla religione ed al Clero, e come adoperi ogni arte per iscreditare e incatenare la Chiesa ed il sacerdozio; 2° la pazienza, la lunganimità, il generoso e nobile contegno dei Vescovi e de’ preti, che si difendono bensì, ma non si ribellano, e circondati di spie e di sgherri non possono mai venir appuntati di fellonia; 3° le contraddizioni de’ ministri che colle loro circolari contro il Clero condannano se medesimi, di guisa che ben sovente una circolare serve per confutare la circolare anteriore[…]». E riferendosi ai vari Siccardi, Cavour, che si spacciano per liberatori, che hanno formulato, la ridicola sentenza: «libera Chiesa in libero Stato! A costoro – scrive Margotti – non conviene rispondere coi discorsi, ma bisogna svergognarli co’ fatti e co’ documenti[…] in questa filatessa di circolari[…]si hanno le prove degli arbitrii libertini, giacchè le circolari non vengono giustificate da nessuno delitto né anteriore, né posteriore; qui vedesi come i rivoluzionari frequentemente insultassero ad una classe, che é la più ragguardevole della società[…]come cercassero ogni mezzo per aizzare le popolazioni contro il cattolico sacerdozio».

Tuttavia di fronte a tante ingiurie, e a tante provocazioni, nota Margotti, il Clero non insorge mai, si difende come Gesù, nel tribunale di Caifa. Qualunque altra classe, medici, avvocati, militari, si sarebbero ribellati. Per Margotti si può accenno un vero spettacolo di pazienza.Tra le tante circolari merita un accenno quella «ipocrita circolare al Clero per ottenere gli aiuti contro i così detti briganti». Il signor Peruzzi, ministro dell’interno, «non sapendo più a che santo raccomandarsi per la distruzione del brigantaggio, ha ordinato ai prefetti di pigliare alle buone il Clero».Dalla pagina 325 in poi il direttore de l’Armonia, pubblica un minuzioso resoconto dei Quattro viaggi di Pio IX. Il 1° è quello dell’esilio di Pio IX Gaeta nel 1848. Quando il Papa dovette precipitosamente abbandonare Roma, perché i rivoluzionari avevano «appuntato i cannoni contro il suo palazzo». Queste pagine sono ricche di particolari abbastanza significativi, dove soprattutto si può costatare il grande attaccamento delle popolazioni dei territori italiani al Santo Padre. In particolare nel suo esilio a Napoli. «Parecchie volte andò a Napoli; il 6 settembre 1849 vi celebrava la santa Messa, il 9 fu al palazzo reale e benedisse solennemente le truppe, il 16 benedisse il popolo, e ben cinquantamila persone stavano genuflesse nella vasta piazza». Questo primo viaggio per Margotti si dimostra che il Papa deve avere un dominio temporale, per avere soprattutto la sua indipendenza spirituale.Dopo 16 mesi il Papa ritorna a Roma, un viaggio trionfale, dove ogni grande o piccolo borgo della pianura romana rende omaggio al suo Re, al suo Pontefice, al suo Padre.Don Margotti non tralascia neanche un particolare della grande festa attribuitagli dal suo popolo al Papa che ritorna trionfante a regnare.

E’ un continuo citare città, dove l’illustre personaggio attraversa: Frosinone, Alatri, Anagni. C’è una specie di gare tra le varie popolazioni, non mancano quasi mai gli archi trionfali e le luci che illuminano la notte. Riferendosi al 2° viaggio, del 1857, nell’Italia centrale, Margotti, scrive: «Sarebbe troppo lungo il solo enumerare le città visitate dal Pontefice, e dall’altra parte la storia di questo viaggio fu già stampata a Roma in due grossi volumi». Naturalmente l’autore delle Memorie, intende rimarcare il grande attaccamento del popolo italiano al suo Pontefice. Anche qui si snocciola un lungo elenco di città visitate e dovunque, folle immense ad inneggiare il Santo Padre. Addirittura Margotti, pubblica alcune iscrizioni, apparse nelle piazze, davanti ai palazzi, nelle chiese, in occasione del viaggio della santità del nostro Signore Pio IX nell’Italia centrale.Un testimone oculare, inglese, a proposito dei viaggi del Papa, scrive: «Io seguii il Papa, come semplice curioso, a Velletri, a Frosinone, a Casamari, a Ceprano, e debbo dire che quantunque in mia vita abbia assistito a molte feste popolari, non vidi mai un entusiasmo così spontaneo. I fanatici dell’unità italiana possono dire ciò che vogliono; ma il fatto è che Pio IX è uno degli uomini la cui presenza opera nella moltitudine con una irresistibile attrazione».Per ora mi fermo nelle prossime occasioni presenterò gli altri volumi della monumentale opera di don Giacomo Margotti

sabato 18 maggio 2024

San Giovanni Paolo I

 San Giovanni Paolo II ❤️


“Lei deve abortire signora. Non ha nessuna alternativa purtroppo. È malata ai reni e il suo cuore è appeso a un filo. Rischiate di morire entrambi. Nelle sue condizioni non riuscirà a portare a termine la gravidanza, il suo bambino, per il quale vuole sacrificare la vita, morirà."


Ma quella giovane mamma non cedette e il suo bimbo nacque il 18 Maggio 1920.

Quel bambino era Karol, Karol Wojtyla, un gigante che cambiò la storia del mondo.

Battiato

 Vede, ho sessant’anni ma non mi sento invecchiato di una virgola. Sto bene con me stesso. Vivo in questo posto meraviglioso sulle pendici del Mongibello. Dalla veranda del mio giardino osservo il cielo, il mare, i fumi dell’Etna, le nuvole, gli uccelli, i gelsomini, due grandi palme, un pozzo antico. Un’oasi. Poi purtroppo rientro nello studio e accendo la tv: ogni volta è un trauma. Ho un chip elettronico interiore che va in tilt per le ingiustizie e le menzogne. 


Alla vista di certi personaggi, mi vien voglia di impugnare la croce e l’aglio per esorcizzarli. C’è un mutamento antropologico, sembrano uomini, ma non appartengono al genere umano, almeno come lo intendiamo noi: corpo, ragione e anima.[...] C’è una gran quantità di personaggi che sento estranei a me: non li stimo, non li rispetto per quel che dicono e sono. E siccome faccio il cantante, uso il mio strumento per dire ciò che sento. 

E questo mi ha mantenuto giovane: gli anni te li senti addosso soltanto quando non si ama la vita, quando non si vuol più fare qualcosa di nuovo. Ma se coltivi la bellezza dell'amicizia, dell'amore, della musica, del mare e della poesia, la vita ti regala sempre delle sorprese. 


Franco Battiato

giovedì 16 maggio 2024

per arrivare a Dio bisogna scendere

 Io pensavo

che per arrivare a dio

fosse necessario salire, salire

e invece,

leggendo il vangelo,

ho capito

che per arrivare a Dio

bisogna scendere,

scendere, scendere.

Perché tutto il mistero

di Gesù Cristo

non è altro che una discesa:

è disceso per farsi uomo,

è disceso

nascendo a Betlemme

nella povertà

è disceso

vivendo a Nazareth

nelľ'umiltà,

è disceso

soprattutto

nel mistero della croce.

Charles de Foucauld

I vecchi

 Ma i vecchi, che odorano di urina, che sono malfermi sulle gambe, temono di essere scherniti e non più necessari a questa tremenda delazione

della cattiveria.

I vecchi, che si mettono sul cuscino ad ascoltare le parole della loro giovinezza, vedono miriadi di angeli che salgono dalla terra al cielo, e senza leggere più, perché sono ciechi, odono parole superbe.


@(Alda Merini--dal La Carne degli Angeli) pag 90

mercoledì 15 maggio 2024

mostrati Signore

 A tutti i cercatori del tuo volto

mostrati, Signore;

a tutti i pellegrini dell’assoluto,

mostrati, Signore;

con quanti si mettono in cammino

e non sanno dove andare

cammina, Signore;

affiancati e cammina con tutti i disperati

sulle strade di Emmaus;

e non offenderti se essi non sanno

che sei tu ad andare con loro,

tu che li rendi inquieti

e incendi i loro cuori;

non sanno che ti portano dentro;

con loro fermati poichè si fa sera

e la notte è buia e lunga, Signore.


David Maria Turoldo


domenica 12 maggio 2024

L’amore

 L’amore

"L’amore non è soltanto una relazione con una particolare persona: è un’attitudine, un orientamento di carattere che determina i rapporti di una persona col mondo, non verso un «oggetto» d’amore.

Se una persona ama solo un’altra persona ed è indifferente nei confronti dei suoi simili, il suo non è amore, ma un attaccamento simbiotico, o un egotismo portato all’eccesso.


Eppure la maggior parte della gente crede che l’amore sia costituito dall’oggetto, non dalla facoltà d’amare.

Infatti, essi credono perfino che sia prova della intensità del loro amore il fatto di non amare nessuno tranne la persona "amata".

Questo è un errore. Poiché non si vede che l’amore è un’attività, un potere dell’anima, si ritiene che basti trovare l’oggetto necessario e che, dopo ciò, tutto vada da sé.

Questa teoria può essere paragonata a quella dell’uomo che vuole dipingere ma che, anziché imparare l’arte, sostiene che deve solo aspettare l’oggetto adatto, e che dipingerà meravigliosamente non appena lo avrà trovato.


Se amassi veramente una persona, amerei il mondo intero, amerei la vita.

Se posso dire a un altro "ti amo", devo essere in grado di dire "amo tutti in te, amo il mondo attraverso te, amo in te anche me stesso".


 ~ Erich Fromm  "L’arte di amare"❤️

Nostra Mamma Maria

 Nostra Mamma Maria 


“ La mia più bella invenzione, dice Dio, è Mia Madre.

Mi mancava una Mamma e l'ho fatta.

Ho fatto Mia Madre prima che Ella facesse Me. Era più sicuro.

Ora sono veramente un Uomo come tutti gli altri uomini.

Non ho più nulla da invidiar loro, poiché ho una Mamma.

Una vera.. Mi mancava


Mia Madre si chiama Maria, dice Dio.

La sua anima è assolutamente pura e piena di Grazia.

Il suo corpo è vergine e pervaso da una luce tale che sulla terra

mai Mi sono stancato di guardala, di ascoltarla, di ammirarla.

E' bella Mia Madre, tanto che lasciando gli splendori del Cielo,

Non Mi sono trovato sperduto vicino a Lei.


Eppure so bene, dice Dio, che sia l'essere portato dagli Angeli;

beh, non vale le braccia d'una Mamma, credetemi...


Maria Mia Madre è morta, dice Dio.

Dopo che io ero risalito verso il Cielo,

Ella Mi mancava, Io le mancavo.

Ella Mi ha raggiunto, con la sua anima,

con il suo corpo, direttamente.


Le dita che hanno toccato Dio non potevano immobilizzarsi.

Gli occhi che hanno contemplato Dio non potevano irrigidirsi.

Quel corpo purissimo che aveva dato un corpo a Dio

non poteva marcire mescolato alla terra.


Gli uomini ora in cielo hanno una Mamma

che li segue con gli occhi, con i suoi occhi di carne.

In Cielo hanno una Mamma che li ama con tutto il cuore,

con il suo cuore di carne.

La Mia più bella invenzione è Mia Madre.”


(Michel Quoist)

giovedì 9 maggio 2024

L'amore

 Credo che il senso della vita sia nell'amore, nell'amore per gli altri, nell'amore per la natura, nell'amore per la bellezza, nell'amore per la verità. Credo che l'amore sia la forza più grande che ci sia, la forza che ci fa andare avanti, che ci fa sperare, che ci fa credere che la vita ha un senso.


Etty Hillesum (1914-1943), Lettere e scritti dal campo di concentramento, 1942-1943

martedì 7 maggio 2024

Per vivere

 UNA CERTEZZA E UNA SPERANZA: Per scampare da una vita impossibile l’uomo, an­che quando non se ne avvede o addirittura lo nega, ha sem­pre bisogno di tre sussidi primari: un patrimonio di certez­ze, una qualche speranza affidabile, un’appartenenza. Quando vengono meno, si profila nell’animo la tentazione orrenda del suicidio.

Senza certezze non solo non si può agire, ma neppure si può pensare o parlare. Nel momento che pongo un at­to qualsivoglia o proferisco una parola, per ciò stesso mi appoggio a una persuasione. Anzi, senza che si abbiano le idee chiare su come stanno le cose, non ci sarebbe le­gittimamente concesso di fare un solo passo avanti nell’e­sistenza,

Tanto è vero che, in mancanza di certezze autentiche, gli uomini sono costretti ad avvalersi di sicurezze puramen­te funzionali; che sono inconsistenti in sé, ma che vengono deputate a surrogare il compito proprio della verità. Così fioriscono le varie ideologie: tutte si fondano su assiomi che, senza giustificarsi razionalmente e senza darsi nemme­no la briga di millantare un’origine da una divina rivelazio­ne, cercano di imporsi come indiscutibili finché da sole dis­seccano al vento della storia.

C’è perfino – la più patetica forse di tutte – l’ideologia dello scetticismo, del dubbio sublimato a valore, della com­piaciuta impossibilità di asseverare qualcosa; ed è quella di solito difesa e propagandata con più indubitabile convinzio­ne e più dogmatica intransigenza,

È fatale che tutti si diano, più o meno arbitrariamente, dei punti fermi. Chi colpevolizza le certezze, si riferisce sempre, anche se non se ne accorge, alle certezze altrui.

Ma per vivere ci vuole anche un traguardo, un futuro auspicato migliore verso cui tendere, una finalizzazione del proprio agire.

Sia un ideale «imperiale» di dominio politico, sia il «so­le» di una società di perfetta giustizia, sia un assetto econo­mico di inesauribile prosperità, gli uomini si sono sempre inventati qualcosa verso cui guardare. Non si può vivere senza una speranza, che però miseramente non cada «al­l’apparir del vero».

Infine è indispensabile che ci sia dato il conforto di qualche appartenenza, perché siamo stati creati per essere membra di un organismo vivo e ci sentiamo persi se restia­mo soli. In mancanza di questo organismo vivo, che è stato pensato per noi nel disegno del Padre, si impongono i suc­cedanei più diversi: una loggia che assicuri solidarietà, un partito-chiesa, un club tra persone socialmente affini, una squadra di calcio che diventa una ragione di vita, ecc.

L’avvenimento cristiano offre tutti e tre questi necessari aiuti all’esistere nella loro forma più alta, che è anche l’uni­ca vera perché corrisponde all’eterno progetto divino: una Rivelazione che illumina tutto dall’alto, una speranza che non appassisce, una vita di comunione nella famiglia di Dio.

Se ne ricava che una proposta del Vangelo che evita di porre in risalto le verità della fede e, come vergognandose­ne, le annebbia privilegiando la presentazione dei valori umanitari e sociali; che quasi non parla più della «vita eter­na» e del «mondo che verrà»; che non canta la gioia e la fie­rezza dell’appartenenza ecclesiale, e anzi pare che se ne senta imbarazzata, non corrisponde alle richieste più intime e sostanziali dell’uomo di tutti i tempi. (Guai a me)

Il soffio

Il soffio

 «Il mio supplizio/ è quando/ non mi credo/ in armonia». Parole di Giuseppe Ungaretti nei Fiumi, poesia in cui tratteggia, nello scenario bellico della Prima guerra mondiale a cui partecipò, un rarissimo momento di felicità trovato immergendosi nelle acque di un fiume per lavarsi dalla sporcizia e dalle tenebre in cui era precipitato. Le vorrei usare per ringraziare della fortuna di aver festeggiato un nuovo compleanno e le 200 puntate di questa rubrica. 

Il supplizio di cui parla il poeta ci tocca tutti: siamo infelici in misura di quanto siamo dis-armonici e dis-integrati, cioè mancanti di sintonia e unione nelle tre direzioni fondamentali dell'eros: con noi stessi (il supplizio è la distanza tra chi siamo e chi siamo chiamati a essere: in-autenticità), con il mondo (il supplizio è l'isolamento dalle cose, in-differenza, e dagli altri, in-appartenenza), con dio, con la minuscola a indicare la ricerca di senso (il supplizio è la paura che l'esistenza non ne abbia, in-sensatezza). Per un essere fatto di, nelle e per le relazioni le ferite di queste dimensioni sono il supplizio: l'eros, energia attraverso cui cresciamo e gioiamo, si spegne e noi con lui. Come fare a (ri-)trovare l'armonia e vivere la felicità del poeta purificato dalle acque del fiume? Perché e con chi siamo in guerra?

Il poeta soldato dice di soffrire non perché «non è» ma perché «non si crede» in armonia, differenza abissale: l'armonia non è un traguardo da raggiungere ma uno stato che perdiamo o dimentichiamo. Se dico ai miei studenti: «Adesso prestate molta attenzione», si mettono in tensione, quando invece dovrebbero chiudere gli occhi e rilassarsi, come nell'abbandono alle acque che fanno sentire il poeta «una docile fibra dell'universo», unito nelle tre direzioni, personale, relazionale e trascendente. Se il nostro corpo è arrivato a credere che l'armonia sia allerta e non abbandono, è perché siamo permeati dalla spossante convinzione che la felicità sia una performance, qualcosa da ottenere, raggiungere, afferrare, e non semplicemente da ricevere, coltivare, liberare. Mi ha spesso guarito da questa idea tossica la doppia (è rivolta alle due categorie sociali degli ascoltatori) parabola che Cristo usa nel vangelo per descrivere non una religione ma la vita: «Il regno dei cieli è simile a un tesoro nascosto in un campo; un uomo lo trova e lo nasconde di nuovo, poi va, pieno di gioia, e vende tutti i suoi averi e compra quel campo. Il regno dei cieli è simile a un mercante che va in cerca di perle preziose; trovata una perla di grande valore, va, vende tutti i suoi averi e la compra» (Mt 13). 
Il regno dei cieli o regno di Dio nel vangelo non è un posto sulle nuvole o da raggiungere dopo la morte, ma una metafora per indicare dove Dio regna cioè dove la vita trabocca, una vita viva da subito: la gioia qui, ora e sempre, anche nelle burrasche. E come si legge non è qualcosa da raggiungere ma che ci raggiunge dove siamo, una grazia, un dono. Di fronte a questa «fortuna», si vende tutto, come quando ti innamori e tutto il resto passa in secondo piano. Credenti o no, qui ci si libera dalla felicità-traguardo e ci si apre a una possibilità diversa: la vita ti trova lei, tu lo senti dove e quando sei vivo, fai esperienza di ciò che ti fa crescere, e a quel punto non puoi perder tempo con il resto, perché hai l'essenziale e in abbondanza. Nel compleanno mi sono chiesto a che punto sono con questo essenziale nelle tre dimensioni dell'eros: me stesso, il mondo (cose e persone), dio. A che punto sono con l'esser vivo in ogni circostanza, anche nella tempesta? Lo psichiatra Viktor Frankl, pochi mesi dopo la liberazione dal campo di concentramento, tenne tre affollate conferenze all'Università popolare di Vienna, nella prima delle quali descrisse l'esperienza della prigionia da una prospettiva insolita: «Ciò che rimane è l’essere umano, il mero essere umano. Tutto lo aveva abbandonato: denaro, fama, potere; non c’era più niente di sicuro: non la vita, non la salute, non la felicità; tutto era stato messo in discussione: vanità, ambizione, relazioni. Tutto si era ridotto alla nuda esistenza. Reso incandescente dal dolore, tutto l’inessenziale si era fuso riducendo l’essere umano a ciò che, in ultima analisi, era: o uno qualunque nella massa, cioè nessuno di reale, cioè l’anonimo, nient’altro che il numero di matricola di un prigioniero; oppure riducendolo al suo sé». Se ci tolgono ogni cosa che resta di noi? Nulla o il sé autentico? Il discrimine tra la prima o la seconda opzione per Frankl dipende da «qualcosa di simile a una decisione... perché l’esistenza, alla cui nudità e inermità l’uomo era stato ricondotto, non è altro che questo: decisione». Che cosa intende lo psichiatra viennese per “decisione”? «Compiere un rovesciamento di 180° attraverso cui la domanda non è più “Cosa devo aspettarmi dalla vita?”, bensì “Cosa si aspetta la vita da me?”. Quale compito mi aspetta nella vita? Adesso comprendiamo quanto sia mal posta la domanda sul significato della vita, se la poniamo come si fa di solito: non siamo noi a poter fare domande sul senso della vita, ma è la vita stessa che le rivolge a noi, è lei a interrogarci! E siamo noi quelli tenuti a rispondere. La vita è un essere-interrogati, tutto il nostro essere è un rispondere alla, o della, vita, un esserne responsabili. Assumendo una posizione del genere più nulla può spaventarci, nessun futuro, nessuna apparente mancanza di futuro. Ora, infatti, il presente è tutto, poiché racchiude l’interrogativo eternamente nuovo che la vita ci rivolge. Quello che ci riserva il futuro, invece, non abbiamo bisogno di saperlo» (Sul senso della vita). 
Parole a cui sono tornato spegnendo le candeline: quante altre ne avrò? In questa prospettiva la domanda è mal posta e senza risposta. Il punto è invece sgombrare il presente, il più grande serbatoio di sorprese, nel bene e nel male, dal rumore, la paura, le illusioni che gli impediscono di farmi la domanda su cosa si aspetta da me. Che cosa mi chiede la vita ora? Che cosa mi rende vivo nei tre spazi del fiorire: me stesso, il mondo, dio? Mi sono allora chiesto quali siano i tesori nascosti trovati sino ad ora in ognuno di questi ambiti, per vendere tutto ciò che è nulla al confronto. Mi è tornato allora in mente che trent'anni fa, il 1 maggio, nel Gran Premio di Imola moriva il più forte pilota della storia: Ayrton Senna. Allora seguivo con passione la Formula Uno con mio padre. Vidi in diretta l'incidente, ricordo tutto. Avrei compiuto 17 anni l'indomani, e sentii il morso di quella fine incombere sul mio inizio da rinnovare. Volevo sapere tutto dell'incidente: se anche Senna muore, figurati io... Lessi che nella tuta che indossava in gara era stato trovato un biglietto con scritto: «Nessuno mi può togliere l’amore che Dio ha per me». Quello era tutto il suo presente, il tesoro nascosto. Più cresco più mi sembra che la vita non abbia un traguardo da raggiungere ma che il traguardo siamo noi se ci lasciamo raggiungere, qui e ora, dalla grazia di essere nati per poi, forti di questo eros, far nascere il presente. Solo quando trovo in me ciò che non può essermi più strappato riesco a vedere nelle candeline non quanti anni di vita compio, ma quanta vita si compie negli anni. E soffio.


Alessandro D'Avenia

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