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domenica 26 maggio 2024

SAN FILIPPO NERI

SAN FILIPPO NERI


L’amabile figura del “𝙎𝙖𝙣𝙩𝙤 𝙙𝙚𝙡𝙡𝙖 𝙜𝙞𝙤𝙞𝙖” mantiene ancor oggi intatto quell’irresistibile fascino che egli esercitava su quanti a lui s’avvicinavano per imparare a conoscere e sperimentare le autentiche fonti della letizia cristiana.


Ripercorrendo la biografia di san Filippo si resta, in effetti, sorpresi e affascinati dal modo ilare e disteso con cui egli sapeva educare, ponendosi accanto ad ognuno con fraterna condivisione e pazienza. 


Com’è noto, il Santo soleva raccogliere il suo insegnamento in brevi e sapide massime: “State buoni, se potete”; “Scrupoli e malinconia, fuori di casa mia”; “Siate umili e state bassi”; “L’uomo che non prega è un animale senza parola”; e, portando la mano alla fronte, “La santità consiste in tre dita di spazio”. Dietro l’arguzia di questi e di tanti altri “detti” è possibile avvertire l’acuta e realistica conoscenza che egli era andato acquistando della natura umana e della dinamica della grazia. In questi insegnamenti rapidi e concisi egli traduceva l’esperienza della sua lunga vita e la sapienza di un cuore abitato dallo Spirito Santo. Questi aforismi sono diventati, ormai, per la spiritualità cristiana, una sorta di patrimonio sapienziale.


San Filippo si presenta nel panorama del Rinascimento romano come il “profeta della gioia”, che ha saputo porsi alla sequela di Gesù, pur inserendosi attivamente nella civiltà del suo tempo, per tanti aspetti singolarmente vicina a quella di oggi.

L’Umanesimo, tutto concentrato sull’uomo e sulle sue singolari capacità intellettuali e pratiche, proponeva, contro una certa mal intesa cupezza medievale, la riscoperta di una gioiosa freschezza naturalistica, priva di remore e di inibizioni. L’uomo, presentato quasi come un dio pagano, veniva così situato in una posizione di protagonismo assoluto. Si era operata, inoltre, una sorta di revisione della Legge morale allo scopo di ricercare e garantire la felicità.


San Filippo, aperto alle istanze della società del suo tempo, non rifiutò questo anelito alla gioia, ma si impegnò a proporne la vera sorgente, che egli aveva individuato nel messaggio evangelico. È la parola di Cristo a delineare il volto autentico dell’uomo, svelandone i tratti che ne fanno un figlio amato dal Padre, accolto come fratello dal Verbo incarnato, e santificato dallo Spirito Santo. Sono le leggi del Vangelo e i comandi di Cristo che conducono alla gioia e alla felicità: questa è la verità proclamata da san Filippo Neri ai giovani che incontrava nel suo quotidiano lavoro apostolico. 


Era, il suo, un annuncio dettato dall’intima esperienza di Dio fatta soprattutto nell’orazione. La preghiera notturna alle Catacombe di san Sebastiano, ove non di rado si appartava, non era solo una ricerca di solitudine, bensì un voler intrattenersi a colloquio con i testimoni della fede, un volerli interrogare - così come i dotti del Rinascimento tessevano colloqui con i Classici dell’antichità: e dalla conoscenza veniva l’imitazione e poi l’emulazione.

In san Filippo, al quale durante la veglia di Pentecoste del 1544 lo Spirito dette un “𝙘𝙪𝙤𝙧𝙚 𝙙𝙞 𝙛𝙪𝙤𝙘𝙤”, è possibile intravedere l’allegoria delle grandi e divine trasformazioni operate nella preghiera. 


Un fecondo e sicuro programma di formazione alla gioia - insegna il nostro Santo - si alimenta e poggia su una costellazione armoniosa di scelte: la preghiera assidua, l’Eucaristia frequente, la riscoperta e la valorizzazione del sacramento della Riconciliazione, il familiare e quotidiano contatto con la Parola di Dio, l’esercizio fecondo della carità fraterna e del servizio; e poi la devozione alla Madonna, modello e vera causa della nostra letizia. Come dimenticare, in proposito, il suo monito sapiente ed efficace: “Figlioli miei, siate devoti di Maria: so quel che dico! Siate devoti di Maria!”.


Qualificato come il “santo della gioia” per antonomasia, san Filippo dev’essere pure riconosciuto come l’“apostolo di Roma”, anzi come il “riformatore della Città eterna”. Lo divenne quasi per naturale evoluzione e maturazione delle scelte operate sotto l’illuminazione della Grazia. Egli fu veramente la luce e il sale di Roma, secondo la parola del Vangelo (cf. Mt 5, 13-16). Seppe essere “luce” in quella civiltà certamente splendida, ma spesso soltanto per le luci oblique e radenti del paganesimo. 


In tale contesto sociale Filippo rimase ossequiente all’Autorità, devotissimo al deposito della Verità, intrepido nell’annuncio del messaggio cristiano. Così fu sorgente di luce per tutti.


Egli non scelse la vita solitaria; ma, svolgendo il suo ministero fra la gente del popolo, si propose di essere anche “sale” per quanti lo incontravano. Come Gesù, seppe calarsi nella miseria umana ristagnante sia nei palazzi nobiliari che nei vicoli della Roma rinascimentale. Egli era, a volta a volta, cireneo e coscienza critica, consigliere illuminato e maestro sorridente.

Proprio per questo, non fu tanto lui ad adottare Roma, quanto Roma ad adottare lui! 

Per 60 anni visse in questa Città, che si andava intanto popolando di Santi. 


Se nelle vie incontrava l’umanità dolorante per confortarla e sorreggerla con la carità di una parola sapiente e umanissima, preferiva raccogliere la gioventù nell’Oratorio, la sua vera invenzione! Ne fece un luogo d’incontro gioioso, una palestra di formazione, un centro di irradiazione dell’arte.


Fu nell’Oratorio che san Filippo, accanto alla coltivazione della religiosità nelle sue espressioni consuete e nuove, s’impegnò a riformare ed innalzare l’arte, riconducendola al servizio di Dio e della Chiesa. Convinto com’era che il bello conduce al bene, fece rientrare nel suo disegno educativo tutto ciò che avesse un’impronta artistica. E divenne lui stesso mecenate delle diverse espressioni artistiche, promovendo iniziative capaci di portare al vero e al buono.


Incisivo ed esemplare fu il contributo che san Filippo seppe dare alla musica sacra, spingendola ad elevarsi da motivo di fatuo divertimento ad opera ricreatrice dello spirito. Fu dietro suo stimolo che musicisti e compositori iniziarono una riforma che toccherà in Pier Luigi da Palestrina il vertice più alto. ...

... Il cosiddetto “quadrilatero” - umiltà, carità, preghiera e gioia - resta sempre una base solidissima su cui poggiare l’edificio interiore della propria vita spirituale.


(San #GiovanniPaoloII, Lettera ai membri della Confederazione dell’Oratorio, 07/10/1994)

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