Risorgimento una «guerra di religione» contro la chiesa” di Domenico Bonvegna
Adesso ho capito perché la storica Angela Pellicciari nei suoi libri sostiene una tesi singolare: il Risorgimento italiano è un movimento politico religioso culturale per distruggere la Chiesa cattolica e cancellare l’identità cattolica del nostro Paese.Una verità che viene confermata leggendo la poderosa opera in 3 tomi, «Memorie per la storia de’ nostri tempi. 1856-1866» del sacerdote giornalista don Giacomo Margotti.
L’opera è stata pubblicata anastaticamente dalla benemerita e gloriosa casa editrice Ares nel 2013 (www.ares.mi.it). La riproduzione è stata calorosamente suggerita da Angela Pellicciari, che è la curatrice dell’intera opera del sacerdote sanremese. Originariamente l’opera di don Margotti è stata pubblicata a Torino dall’Unione tipografico-editrice dal 1863 al 1865. Da qualche settimana sto leggendo il 1° Tomo delle Memorie.Ogni tomo è suddiviso in 2 volumi. Il 1° tomo (384 pag. nel 1Vol e 382 nel 2 Vol.)Le Memorie di don Margotti sono fondamentali per capire la battaglia culturale e politica che si combatté contro la Chiesa italiana. Margotti, direttore del quotidiano «L’Armonia» e poi de «L’Unità cattolica» è stato testimone oculare che ha vissuto in prima persona gli avvenimenti cruciali della guerra della rivoluzione italiana. Egli racconta, «il Risorgimento come lo ha vissuto giorno per giorno, dando dettagliata cronaca di quanto successe in quegli anni 1856-1866; in uno dei decenni, cioé, più arroventati della storia d’Italia […]».Don Margotti nella sua infaticabile attività pubblicistica, utilizzava un giornalismo d’inchiesta, per quei tempi burrascosi, era coraggioso, ebbe una vita avventurosa, scampò miracolosamente a un attentato il 27 gennaio 1856. Tra le sue esperienze, divenne anche deputato, ma la sua elezione fu arbitrariamente invalidata.L’autore si avvale di una grande e infinita quantità di documenti, economici, politici, ideologici, statistici, e militari. Con quest’opera, intende denunciare, la violenza dell’elité risorgimentale, italiana ed estera, perpetrata in nome della libertà e della monarchia costituzionale contro la Chiesa cattolica e il popolo, che in essa si riconosceva. Sono pagine di storia in presa diretta, che costituiscono una «lettura del Risorgimento assolutamente in controtendenza rispetto a tutta la storiografia tradizionale successiva».Del resto come scrive Angela Pellicciari, nell’introduzione, sono sempre i vincitori a scrivere la Storia, cancellando le tracce degli oppositori, che denunciano i soprusi e le ingiustizie.
Naturalmente Giacomo Margotti, oggi è quasi del tutto sconosciuto, benché in vita abbia goduto di tanta visibilità, ammirato ma anche temuto (dai suoi avversari) per le sue analisi e idee. Identico destino è toccato anche alle sue Memorie per la storia de nostri tempi. Dobbiamo ringraziare le edizioni Ares per aver colmato questa lacuna.Addentrandosi nello studio dell’opera del sacerdote ligure trapiantato a Torino, le prime pagine sono dedicate al Congresso di Parigi del 1856, dove i diplomatici di Francia, Inghilterra e del Piemonte, intervengono sulla situazione politica degli Stati della penisola italiana. Questo congresso diventa un punto di riferimento per tutti, perché qui secondo Margotti si proiettano tre strade future per i Paesi europei: l’intervento diplomatico, rivoluzionario e quello armato. Tutto questo secondo il principio del non intervento. Nei tre tomi don Margotti ripropone articoli, già pubblicati nel suo giornale L’Armonia. Vengono fuori delle schede illuminanti. Già in «Tribolazioni della Chiesa in Piemonte», Margotti, dà una rapida occhiata alle condizioni della Chiesa in Piemonte, a partire dal 1847. Scrive il sacerdote, «Si concede la libertà della stampa a tutti, fuorché ai Vescovi», e tutto questo il Governo lo giustifica tra sofismi e gemiti. Poi anno dopo anno si riporta le varie fasi della «guerra» dei liberali alla Chiesa. A cominciare dall’aggressione nei confronti del vescovo di Nizza e del suo palazzo arcivescovile. Marzo 1848, invasione dei conventi e soppressione dei Gesuiti, seguita dalla soppressione degli Oblati, poi le Dame del Sacro Cuore.
A novembre, il ministro dell’istruzione Bon-Compagni emette direttive contro l’insegnamento religioso. Seguono calunnie dei giornali nei confronti della Chiesa e del clero tutto.
. 1850, approvazione della Legge Siccardi; l’arcivescovo di Torino viene imprigionato, stesso trattamento per l’arcivescovo di Sassari.Marzo 1851, alla Camera dei Deputati si discute un disegno di legge contro i voti religiosi, Brofferio esclama: «Sopprimiamo i conventi, e tutto sia terminato]…] sia snudata la spada contro i preti fino all’ultimo sangue». Il 28 giugno durante una pesante perquisizione del convento dei francescani di Alghero, fu sfasciato tutto, perfino nelle tombe si cercava chissà che cosa. I vescovi protestano contro le varie circolari emanate dal governo che continua a perseguitare e minacciare. Nello stesso tempo i giornali bestemmiano contro PioIX. Viene rubata perfino la statua della Beata Vergine Consolatrice, dono di Carlo Felice e Maria Cristina.Il 30 marzo1854, i Vescovi delle tre provincie ecclesiastiche di Torino, Genova e Vercelli ricorrono al Senato perché rigetti la legge contro il Clero: «Questo progetto di legge tenda ad opprimere la libertà di parola del ministro di Dio».C’è un lungo elenco di fatti avvenimenti dove si constata una vera persecuzione della Religione. Religiosi, monaci, cacciati dai conventi: i padri della Certosa di Collegno, le Canonichesse Lateranensi di S. Croce, sono cacciate con viva forza dal monastero a Torino, rompendo la loro clausura. Il 22 agosto del 1854, nella notte mediante la rottura del muro, le forze armate, s’introducono nel monastero delle monache Cappuccine di Torino e vengono espulse. Stessa sorte capita ai Padri Domenicani e agli Oblati di Torino.Il 20 luglio 1855, gli agenti del governo, sfondano le porte a colpi di scure del convento dei Cappuccini di Ciamberì.
Non si contano le circolari del governo indirizzate ai sindaci per vigilare sulla buona condotta del clero, controllare le omelie dei parroci, in particolare se dicono l’Oremus pro Rege; se in pubblico o in privato sparlino delle libere istituzioni, delle leggi e del governo; se il parroco sia amato o detestato dai suoi parrocchiani. Tra i centri religiosi soppressi, don Margotti approfondisce il caso del Monastero della Novalesa, in val di Susa, che era stato invaso dai saraceni, depredati da quei barbari di tutti i beni sacri e profani presenti nel monastero. Ora scrive Margotti, usciamo dal Medioevo ed entriamo nell’evo della libertà, del progresso, delle Costituzioni, dei principi dell’89, il monastero della Novalese, viene di nuovo conquistato e vengono dispersi i monaci. «Ma i conquistatori non sono più forestieri, non Saraceni, non barbari; sono italiani, sono Piemontesi, sono liberali che violano il domicilio altrui, che cacciano i padroni dalla casa propria: italiani e piemontesi che distruggono le loro glorie, e cancellano le nobili memorie che illustrano la propria storia».In pratica secondo le statistiche pubblicate dal governo risulta che dietro la legge del 29 maggio 1855 contro gli ordini religiosi risulta che vennero «conquistati a viva forza 112 conventi in terraferma di possidenti, e 40 in Sardegna; e 65 collegiate, 1700 beneficii semplici. Le vittime furono 7850!». Peraltro, il libro a pagina 187 pubblica i dati statistici degli Ordini Religiosi presenti nel Regno di Sardegna prima della Legge di soppressione.Un ruolo predominante in tutto il Risorgimento lo hanno avuto le Società Segrete, don Margotti a pagina 77 dà conto del loro lavoro cospirativo. In Francia, «le società segrete e il governo francese s’accordano nel desiderare in silenzio», scrive don Margotti. Un silenzio è rotto il conte Walewsky, ministro degli affari esteri del governo imperiale di Francia, al Congresso di Parigi, dove rimprovera fortemente il Belgio, perchè i suoi giornali flirtano con la società massonica detta La Marianna. Ma è Londra, il cuore della Rivoluzione, lo spirito delle società segrete. In una corrispondenza della Gazzetta Universale, si poteva leggere: «il comitato centrale della Marianna risiede a Londra, sotto il nome di Comune rivoluzionario. Sua cura è, che ogni spartimento della Francia s’istituiscono comitati figli, sotto nomi diversi […]. Se venisse a scoppiare una rivoluzione, questi comitati debbono costituirsi come altrettante convenzioni dipartimentali rivoluzionarie[…] Ogni comitato figlio deve mandare ogni mese al comitato residente a Londra una relazione sopra certi fatti e particolarità, e uno stato del numero delle truppe, dè gendarmi, dè depositi d’armi, delle casse pubbliche, informazioni sui presunti nemici della rivoluzione, ecc.».Margotti riporta il 5° capitolo del programma della Marianna: «La Chiesa, questa tirannia dell’umanità, sarà abolita, e tutti sacerdoti del paese saranno espulsi». Nota Margotti, qual è la differenza con Cavour moderato, lui vuole espellere i sacerdoti dalle Legazioni del governo pontificio, mentre i libertini, vorrebbero espellerli da tutto il mondo. «Lo scopo finale è il medesimo; e raggiunto in una parte dello Stato Pontificio, si cercherà di raggiungerlo anche nelle altre parti e negli altri Stati».Tuttavia per Margotti la sede della Rivoluzione in Italia «non è che il Piemonte, e solo dal Piemonte partono gli eccitamenti alla rivolta».Dalla pagina 143, il libro tratta della «Questione Napoletana», Margotti descrive il «contegno fermo e dignitoso del Re di Napoli. Egli si trovò a’ fianchi due colossi, Francia e Inghilterra, che nulla risparmiarono per intimorirlo, né note, né minaccie, né apparecchi di guerra. Eppure non indietreggiò d’un sol punto. Forte del suo diritto, rispose note alle note, proteste alle proteste, pronto a rispondere guerra alla guerra». Più avanti Margotti ripropone l’articolo, «L’Inghilterra e la Sicilia», pubblicato anche questo ne L’Armonia, n. 245, 21 ottobre 1856, dove fa riferimento al Times che espone l’accanimento inglese contro il Re di Napoli. Austria e Francia secondo questo giornale, ma anche l’Inghilterra, hanno un piede in Italia. «Ecco tutta l’umanità, tutto il liberalismo della Gran Bretagna; mettere un piede in Italia, ossia conquistare o prepararsi alla conquista della Sicilia».
La Sicilia è il punto più strategico, è la porta dell’Italia; l’Inghilterra ha sempre avuto gli occhi addosso sull’isola.Rimanendo alla Sicilia, in un intervento del 4 dicembre 1856, si fa riferimento al tentativo di rivolta di un certo Bentivegna, nel comune di Mezzojuso a 24 miglia da Palermo, inalberano il vessillo tricolore, gridando: Viva la Costituzione, via la libertà, viva l’indipendenza della Sicilia. Sono più di sei anni che il giornalismo libertino, che ha il monopolio della pubblica opinione, predica giorno e notte ai Napolitani: Ribellatevi. «Sono più di sei mesi che la diplomazia, con iscandalo inaudito, osò nel Congresso di Parigi condannare il Re di Napoli come reo di lesa umanità, e pigliare sfacciatamente il patrocinio di qualche decina di ribelli, i quali, assumendo il compito di rappresentare il paese delle Due Sicilie, vanno gridando dapertutto contro la tirannia, la crudeltà, la ferocia del loro sovrano[…]”.La sollevazione scrive don Margotti, non trovò presa, che in un villaggio della Sicilia, il popolo napoletano non ne vuole sapere di ribellarsi. Le navi inglesi sono pronte per sostenere l’eventuale ribellione, ma il popolo napoletano «se ne sta così tranquillo come godesse le beatitudine dell’Eden».Il popolo napoletano nonostante ha dalla sua parte tutta l’opinione pubblica, tutta la stampa, le due maggiori Potenze del mondo, «un popolo che da tutti questi mezzi incendiari è eccitato alla rivolta contro il suo sovrano, non solo non si ribella contro di lui, ma è preso da indignazione contro un branco di sconsigliati, che alzano l’insegna della rivolta, e, non che aiutarli nella loro sollevazione, piglia le parti del suo sovrano!»E se tutto questo gran fracasso per far sollevare il popolo, veniva fatto contro il Piemonte? Si domanda Margotti.Il popolo non si ribella, ma si trova sempre qualche pazzo, qualche fanatico pronto all’assassinio. Eccolo, l’8 dicembre 1856, un giovane soldato napoletano, Agesilao Milano, cercò di uccidere il re Ferdinando II mentre passava in rassegna la truppa. Il soldato viene arrestato e la sfilata continua, mentre il popolo inneggiava al suo sovrano. Scrive Margotti: «L’attentato d’assassinio contro il Re di Napoli è la più solenne e la più incontestabile condanna di tutta quella orda rivoluzionaria che da parecchi anni spira fuoco e fiamme contro quel monarca. Esso mette il suggello all’infamia, di cui si coprirono què plenipotenziarii del Congresso di Parigi, i quali si avvilirono al segno di farsi eco degli schiamazzi della piazza e del trivio. Quell’attentato dà una mentita a tutte le calunnie della stampa inglese, francese e piemontese, ed alle asserzioni che tutto il popolo del regno delle Due Sicilie odia e detesta in modo orrendo la tirannia del suo sovrano».Comunque sia per il direttore de L’Armonia, «il dispotismo napoletano non esista che nel cervello dei Francesi, che vorrebbero sostituire Murat a Ferdinando II, e degli Inglesi, che agognano alla Sicilia».Da pagina 256 le Memorie di don Margotti pubblicano una serie di Circolari contro il Clero Cattolico, da parte del governo piemontese. Dove tra il politichese freddo dei vari ministri sardi si cerca di togliere il più possibile la libertà di pensiero e di azione della Chiesa italiana. Il ministero del signor Peruzzi e del signor Pisanelli è forse il più fecondo in circolari contro la Chiesa ed il Clero.«In tutti questi documenti (ben 40 Circolari), precisa don Giacomo Margotti, non senza grave fatica, abbiamo raccolti nel presente quaderno, e ci pare che essi riescano a provare vittoriosamente, tre fatti: 1° l’odio che la rivoluzione porta alla religione ed al Clero, e come adoperi ogni arte per iscreditare e incatenare la Chiesa ed il sacerdozio; 2° la pazienza, la lunganimità, il generoso e nobile contegno dei Vescovi e de’ preti, che si difendono bensì, ma non si ribellano, e circondati di spie e di sgherri non possono mai venir appuntati di fellonia; 3° le contraddizioni de’ ministri che colle loro circolari contro il Clero condannano se medesimi, di guisa che ben sovente una circolare serve per confutare la circolare anteriore[…]». E riferendosi ai vari Siccardi, Cavour, che si spacciano per liberatori, che hanno formulato, la ridicola sentenza: «libera Chiesa in libero Stato! A costoro – scrive Margotti – non conviene rispondere coi discorsi, ma bisogna svergognarli co’ fatti e co’ documenti[…] in questa filatessa di circolari[…]si hanno le prove degli arbitrii libertini, giacchè le circolari non vengono giustificate da nessuno delitto né anteriore, né posteriore; qui vedesi come i rivoluzionari frequentemente insultassero ad una classe, che é la più ragguardevole della società[…]come cercassero ogni mezzo per aizzare le popolazioni contro il cattolico sacerdozio».
Tuttavia di fronte a tante ingiurie, e a tante provocazioni, nota Margotti, il Clero non insorge mai, si difende come Gesù, nel tribunale di Caifa. Qualunque altra classe, medici, avvocati, militari, si sarebbero ribellati. Per Margotti si può accenno un vero spettacolo di pazienza.Tra le tante circolari merita un accenno quella «ipocrita circolare al Clero per ottenere gli aiuti contro i così detti briganti». Il signor Peruzzi, ministro dell’interno, «non sapendo più a che santo raccomandarsi per la distruzione del brigantaggio, ha ordinato ai prefetti di pigliare alle buone il Clero».Dalla pagina 325 in poi il direttore de l’Armonia, pubblica un minuzioso resoconto dei Quattro viaggi di Pio IX. Il 1° è quello dell’esilio di Pio IX Gaeta nel 1848. Quando il Papa dovette precipitosamente abbandonare Roma, perché i rivoluzionari avevano «appuntato i cannoni contro il suo palazzo». Queste pagine sono ricche di particolari abbastanza significativi, dove soprattutto si può costatare il grande attaccamento delle popolazioni dei territori italiani al Santo Padre. In particolare nel suo esilio a Napoli. «Parecchie volte andò a Napoli; il 6 settembre 1849 vi celebrava la santa Messa, il 9 fu al palazzo reale e benedisse solennemente le truppe, il 16 benedisse il popolo, e ben cinquantamila persone stavano genuflesse nella vasta piazza». Questo primo viaggio per Margotti si dimostra che il Papa deve avere un dominio temporale, per avere soprattutto la sua indipendenza spirituale.Dopo 16 mesi il Papa ritorna a Roma, un viaggio trionfale, dove ogni grande o piccolo borgo della pianura romana rende omaggio al suo Re, al suo Pontefice, al suo Padre.Don Margotti non tralascia neanche un particolare della grande festa attribuitagli dal suo popolo al Papa che ritorna trionfante a regnare.
E’ un continuo citare città, dove l’illustre personaggio attraversa: Frosinone, Alatri, Anagni. C’è una specie di gare tra le varie popolazioni, non mancano quasi mai gli archi trionfali e le luci che illuminano la notte. Riferendosi al 2° viaggio, del 1857, nell’Italia centrale, Margotti, scrive: «Sarebbe troppo lungo il solo enumerare le città visitate dal Pontefice, e dall’altra parte la storia di questo viaggio fu già stampata a Roma in due grossi volumi». Naturalmente l’autore delle Memorie, intende rimarcare il grande attaccamento del popolo italiano al suo Pontefice. Anche qui si snocciola un lungo elenco di città visitate e dovunque, folle immense ad inneggiare il Santo Padre. Addirittura Margotti, pubblica alcune iscrizioni, apparse nelle piazze, davanti ai palazzi, nelle chiese, in occasione del viaggio della santità del nostro Signore Pio IX nell’Italia centrale.Un testimone oculare, inglese, a proposito dei viaggi del Papa, scrive: «Io seguii il Papa, come semplice curioso, a Velletri, a Frosinone, a Casamari, a Ceprano, e debbo dire che quantunque in mia vita abbia assistito a molte feste popolari, non vidi mai un entusiasmo così spontaneo. I fanatici dell’unità italiana possono dire ciò che vogliono; ma il fatto è che Pio IX è uno degli uomini la cui presenza opera nella moltitudine con una irresistibile attrazione».Per ora mi fermo nelle prossime occasioni presenterò gli altri volumi della monumentale opera di don Giacomo Margotti
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