Testori amava i ciellini perché «non si scandalizzano di me»
giugno 1, 2012
Renato Farina
«Sono vicino a quelli di Cl
perché se io dicessi loro tutte le porcate che ho fatto, direbbero:
“Solo questo?”. L’uomo può compiere qualunque cosa, ma è prima di tutto
figlio di Dio»
Pubblichiamo l’articolo di Boris Godunov, alias Renato Farina, che appare sul numero di Tempi in edicola.
Improvvisamente, è tornato forte e dolce Giovanni Testori, drammaturgo, poeta, scrittore, storico dell’arte, pittore, una meraviglia d’uomo. C’è sempre stato tra noi, Testori, a 19 anni dalla sua morte. Grazie al lavoro geniale di Giuseppe Frangi, infatti, la sua memoria è un torrente d’amore-dolore incessante. Ma stavolta Testori è proprio apparso a Boris Godunov, e ha parlato dell’esperienza da lui vissuta in Cl. Non trionfalismo, ma un richiamo di possente umiltà. Disse con la sua voce nebbiosa: «Io sono sempre stato un cattivo cristiano, in certi momenti financo disperato. Però sono nato in una famiglia cristiana… Mia madre, morendo ridiede peso, grembo, latte a questo mio povero modo di essere cristiano. Quando scrissi quegli articoli (sul Corriere, nel 1978, ndB), nessun vescovo, cardinale, uomo politico Dc mi contattò. Mi telefonarono invece, caro Godunov, quattro ragazzi: “Siamo di Comunione e Liberazione. Vorremmo parlarle”. E sono venuti nel mio studio. La cosa che mi ha stupito è che non erano nulla di tutto ciò che si dice che siano. Non mi hanno mai chiesto niente: né come fosse la mia povera vita, né quali fossero i miei errori. Ma mi hanno accolto – e io credo di averli accolti – come amici. Io non sono di Cl, ma sono vicino a Cl per una cosa: perché hanno questo senso dell’amicizia, questo senso dell’umanità, dell’integrità della fede. Questi ragazzi sono tutti d’un pezzo. Poi fanno anche loro degli errori, per fortuna, ma hanno questa rocciosità per quel che riguarda l’uomo, l’altro, il fratello, di qualunque idea egli sia, di qualunque stortura – Dio solo sa le storture che avevo e ho io. Loro non chiedono niente, non domandano conto di niente».
Testori, tenendosi con le mani la grande crapa dove brillano azzurrissimi gli occhi, continuò: «Vorrei ricordare qui che don Giussani mi raccontava in segreto il momento in cui ha scoperto il senso più abissale della sua posizione di prete e di uomo. Poco dopo essere stato ordinato, in una delle prime confessioni, si trovò di fronte a un giovane che non riusciva a parlare. Don Giussani lo esortava: “Non c’è niente che tu abbia fatto che non possa essere perdonato”. Ma l’altro faceva fatica, e don Giussani, con le parole che riesce a tirare fuori dalla sua fede e dalla sua umanità, lo invitava fraternamente. A un certo punto sentì questo giovane dire: “Ho ucciso un uomo”. Don Giussani stette lì un attimo, un’eternità, e poi rispose: “Solo uno?”. Mi raccontava quindi che lì capì che cosa siano la carità, la fraternità, l’amore, che cosa sia il perdono. Il ragazzo scoppiò a piangere. Da allora divennero, credo, amici; il ragazzo andò a confessare alle autorità il suo gesto e divennero amici».
Testori, preparandosi a risprofondare in cielo, finì: «Ora, io sono diventato amico di quelli di Cl perché se io dicessi loro tutte le porcate che ho fatto, risponderebbero: “Solo questo?”. Perdete tutto, ma non perdete questo senso “oltre tutto”, questa umanità che non si scandalizza di niente, questo sapere che l’uomo può compiere qualunque gesto, essere di qualunque parte, ma è prima di tutto uomo, figlio di Dio, creatura redenta da Dio diventato uomo. Se perdiamo questo, perdiamo il senso dell’Incarnazione: il senso totale del nostro essere cristiani. Come mi diceva don Giussani, l’integrità, la solidità, la fede, sono niente senza carità, senza amore. Devo ringraziare questi ragazzi di questa capacità di amore e umanità, perché arriverà il momento in cui la leggeranno anche quelli che oggi non la sanno leggere. Ma se anche non la leggeranno, non importa: l’importante è offrire». (Boris ha ritrovato queste parole in Dove la domanda si accende, Itaca). Ciao Testori, torna presto!
Improvvisamente, è tornato forte e dolce Giovanni Testori, drammaturgo, poeta, scrittore, storico dell’arte, pittore, una meraviglia d’uomo. C’è sempre stato tra noi, Testori, a 19 anni dalla sua morte. Grazie al lavoro geniale di Giuseppe Frangi, infatti, la sua memoria è un torrente d’amore-dolore incessante. Ma stavolta Testori è proprio apparso a Boris Godunov, e ha parlato dell’esperienza da lui vissuta in Cl. Non trionfalismo, ma un richiamo di possente umiltà. Disse con la sua voce nebbiosa: «Io sono sempre stato un cattivo cristiano, in certi momenti financo disperato. Però sono nato in una famiglia cristiana… Mia madre, morendo ridiede peso, grembo, latte a questo mio povero modo di essere cristiano. Quando scrissi quegli articoli (sul Corriere, nel 1978, ndB), nessun vescovo, cardinale, uomo politico Dc mi contattò. Mi telefonarono invece, caro Godunov, quattro ragazzi: “Siamo di Comunione e Liberazione. Vorremmo parlarle”. E sono venuti nel mio studio. La cosa che mi ha stupito è che non erano nulla di tutto ciò che si dice che siano. Non mi hanno mai chiesto niente: né come fosse la mia povera vita, né quali fossero i miei errori. Ma mi hanno accolto – e io credo di averli accolti – come amici. Io non sono di Cl, ma sono vicino a Cl per una cosa: perché hanno questo senso dell’amicizia, questo senso dell’umanità, dell’integrità della fede. Questi ragazzi sono tutti d’un pezzo. Poi fanno anche loro degli errori, per fortuna, ma hanno questa rocciosità per quel che riguarda l’uomo, l’altro, il fratello, di qualunque idea egli sia, di qualunque stortura – Dio solo sa le storture che avevo e ho io. Loro non chiedono niente, non domandano conto di niente».
Testori, tenendosi con le mani la grande crapa dove brillano azzurrissimi gli occhi, continuò: «Vorrei ricordare qui che don Giussani mi raccontava in segreto il momento in cui ha scoperto il senso più abissale della sua posizione di prete e di uomo. Poco dopo essere stato ordinato, in una delle prime confessioni, si trovò di fronte a un giovane che non riusciva a parlare. Don Giussani lo esortava: “Non c’è niente che tu abbia fatto che non possa essere perdonato”. Ma l’altro faceva fatica, e don Giussani, con le parole che riesce a tirare fuori dalla sua fede e dalla sua umanità, lo invitava fraternamente. A un certo punto sentì questo giovane dire: “Ho ucciso un uomo”. Don Giussani stette lì un attimo, un’eternità, e poi rispose: “Solo uno?”. Mi raccontava quindi che lì capì che cosa siano la carità, la fraternità, l’amore, che cosa sia il perdono. Il ragazzo scoppiò a piangere. Da allora divennero, credo, amici; il ragazzo andò a confessare alle autorità il suo gesto e divennero amici».
Testori, preparandosi a risprofondare in cielo, finì: «Ora, io sono diventato amico di quelli di Cl perché se io dicessi loro tutte le porcate che ho fatto, risponderebbero: “Solo questo?”. Perdete tutto, ma non perdete questo senso “oltre tutto”, questa umanità che non si scandalizza di niente, questo sapere che l’uomo può compiere qualunque gesto, essere di qualunque parte, ma è prima di tutto uomo, figlio di Dio, creatura redenta da Dio diventato uomo. Se perdiamo questo, perdiamo il senso dell’Incarnazione: il senso totale del nostro essere cristiani. Come mi diceva don Giussani, l’integrità, la solidità, la fede, sono niente senza carità, senza amore. Devo ringraziare questi ragazzi di questa capacità di amore e umanità, perché arriverà il momento in cui la leggeranno anche quelli che oggi non la sanno leggere. Ma se anche non la leggeranno, non importa: l’importante è offrire». (Boris ha ritrovato queste parole in Dove la domanda si accende, Itaca). Ciao Testori, torna presto!
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