La cultura dello “scarto”
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Così come il comandamento “non uccidere” pone un limite chiaro per
assicurare il valore della vita umana, oggi dobbiamo dire “no a
un’economia dell’esclusione e della inequità”. Questa economia uccide.
Non è possibile che non faccia notizia il fatto che muoia assiderato un
anziano ridotto a vivere per strada, mentre lo sia il ribasso di due
punti in borsa. Questo è esclusione. Non si può più tollerare il fatto
che si getti il cibo, quando c’è gente che soffre la fame. Questo è
inequità. Oggi tutto entra nel gioco della competitività e della legge
del più forte, dove il potente mangia il più debole. Come conseguenza di
questa situazione, grandi masse di popolazione si vedono escluse ed
emarginate: senza lavoro, senza prospettive, senza vie di uscita. Si
considera l’essere umano in se stesso come un bene di consumo, che si
può usare e poi gettare. Abbiamo dato inizio alla cultura dello “scarto”
che, addirittura, viene promossa. Non si tratta più semplicemente del
fenomeno dello sfruttamento e dell’oppressione, ma di qualcosa di
nuovo: con l’esclusione resta colpita, nella sua stessa radice,
l’appartenenza alla società in cui si vive, dal momento che in essa non
si sta nei bassifondi, nella periferia, o senza potere, bensì si sta
fuori. Gli esclusi non sono “sfruttati” ma rifiuti, “avanzi”.
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