Dostoevskij profeta della post-modernità - H.De Lubac
***
La
statura di Dostoevskij si ingigantisce con il passare degli anni […].
Egli
assume la figura di un profeta, e ciò non per aver predetto questo o
quell’avvenimento accaduto dopo […].
Più
profondamente ha per così dire prevenute certe forme nuove di
pensiero e di vita interiore che per opera sua si impongono all’uomo
ed entrano nel suo patrimonio […].
Un
profeta, sì: perché non soltanto ha svelato all’uomo i suoi
abissi, ma gliene ha anche in qualche modo aperti dei nuovi, dandogli
come una nuova dimensione; perché così egli ha prefigurato, cioè
annunciato, realizzandolo, un certo stato nuovo dell’umanità;
perché in lui si è concentrata la crisi del nostro mondo moderno.
L’uomo
che ha perso il legame ontologico con Dio, è diventato preda dei
demoni (da qui il titolo del romanzo di Dostoevskij, la più completa
fenomenologia dell’ateismo).
Dostoevskij
è un romanziere, ma scopre che l’uomo non può organizzare la
terra senza Dio; quando ci prova, non fa altro che organizzarla
contro l’uomo, come si è visto soprattutto nel corso del XX secolo
ma che egli ha anticipato in modo sorprendente.
In
Dostoevskij troviamo una triplice tipologia dell’uomo ateo:
l’uomo-dio, la “torre di Babele” e il “palazzo di cristallo”.
Dostoevskij
e Nietzsche a confronto
Come
non essere colpiti dal giudizio simile che entrambi hanno pronunciato
sul loro secolo? La stessa critica del razionalismo e dell’umanesimo
occidentale; la stessa condanna dell’ideologia del progresso, la
stessa insofferenza per il regno scientista e per le prospettive
stoltamente idilliache che in molti lo prolungano, lo stesso sdegno
per una civiltà tutta superficiale di cui essi fan saltare la
vernice, lo stesso presentimento della catastrofe che ben presto la
inghiottirà […].
L’uno
e l’altro annunciano la rivincita degli elementi irrazionali che il
mondo moderno reprime senza per altro rinunciare ad estirparli. Si
sente in loro una volontà di distruzione, e il martello iconoclasta
del pensatore tedesco ha un compito analogo alle immaginazioni
apocalittiche del visionario russo […].
In
loro due l’umanità cerca di evadere dalla prigione in cui una
cultura ristretta l’ha rinchiusa […].
Nel
nostro tempo, Nietzsche, maledicendolo, vede un’eredità del
Vangelo, mentre Dostoevskij, che pure non maledice di meno questo
tempo, vi scorge il risultato di un rinnegamento del Vangelo.
È
l’ideale spirituale dell’uomo che si eleva al di sopra di ogni
legge. Esso conduce inevitabilmente al delitto.
La
Torre di Babele
La
vicenda di Raskolnikov in Delitto e castigo è esemplare: egli uccide
la vecchia usuraia persuaso di aver oltrepassato i naturali limiti
dell’ umano, consegnando la sua persona, il suo essere
“oltre-uomo”, a un livello puramente ideale; non a caso il
pentimento subentra proprio nel momento in cui Raskolnikov recupera
la dimensione dell’umano, quella della vita.
Secondo
Dostoevskij l’ateismo, prima ancora di essere un’offesa a Dio, è
un crimine contro la vita. L’uomo è stato creato a immagine e
somiglianza di Dio per cui non tutto è lecito; non può uccidere un
suo simile senza commettere un suicidio spirituale e procedere così
alla propria disumanizzazione.
Questo
ideale propone di far scendere i cieli sulla terra, per creare un
nuovo paradiso, nato dalle mani dell’uomo; un paradiso materiale,
fatto di benessere, felicità (utopia liberal-capitalista) e di
uguaglianza (utopia socialista), ma dove mancherà la libertà.
Lo
stesso Dostoevskij ha creduto nel potere liberatorio della
rivoluzione: membro del circolo socialista di Petrasevskij, fu
arrestato e condannato a morte, pena che in seguito venne commutata
in quattro anni di lavori forzati. Egli non ha né interessi né
sentimenti né affetti personali, nulla che gli appartenga. Tutto è
sopraffatto da un esclusivo interesse, un solo pensiero, una sola
passione: la rivoluzione.
La
critica di Dostoevskij non colpisce solo il socialismo ma attacca
ogni teoria del progresso; sacrificare una persona in questo istante
per il beneficio di un’astratta umanità del domani, è il più
grande crimine che l’uomo possa compiere.
Pur
essendo qualcosa di astratto, l’ideale risulta essere più forte e,
in un certo senso più vero, della realtà:
«Questa
Torre di Babele, supposto che un giorno si innalzi, che alla fine
essa offra una dimora stabile, in nome di che cosa oggi mi si può
costringere a seppellirmi nelle sue fondamenta? Ogni generazione vale
come un’altra, e la città futura non potrebbe mai interessarmi,
come invece mi interessa un Regno eterno».
Il
Grande Inquisitore
Una
volta che l’uomo si sia liberato di Dio, sarà poi libero di fatto?
Per Dostoevskij i sistemi sociali che si sviluppano rifiutando le
loro basi cristiane, diventano fatalmente sistemi di violenza e di
schiavitù.
È
il tema che attraversa la Leggenda del grande Inquisitore, che pone
in antitesi libertà e felicità:
«Tu
hai concessa la libertà agli uomini, invece di confiscarla: avevi
dunque dimenticato che, alla libertà di scegliere tra bene e male,
l’uomo preferisce la pace, fosse pure la pace della morte? […]
Noi abbiamo corretto la tua opera. Gli uomini si sono rallegrati di
essere di nuovo condotti come un branco. Noi ci siamo dichiarati i
padroni della terra».
La
grave preoccupazione di scegliere è loro risparmiata: non hanno più
né da pensare né da volere.
Il
“Palazzo di Cristallo”
Il
“palazzo di cristallo” spesso fa lega con la “torre di Babele”.
Dostoevskij ci presenta un esempio in Rakitin, il seminarista amico
di Alioscia, impomatato di scienza e di mondanità, giovane
ambizioso, pieno di pretese, la cui vita monastica non è altro che
una tappa per la carriera politica.
La
critica è posta sulle labbra di Mitia, il primo dei fratelli
Karamazov. Egli riceve la visita di Rakitin in carcere, dove attende
il giudizio, accusato di aver ucciso suo padre. Rakitin gli confida
l’idea di scrivere un articolo su di lui, per provare con la
scienza che non è affatto colpevole, che egli è una vittima
dell’ambiente e dell’eredità. Mitia riferisce la cosa ad
Alioscia:
«
– Se si prende l’insieme, io rimpiango Dio; ecco! – Che vuoi
dire? – Figurati che nella testa, cioè nel cervello, ci sono dei
nervi… Questi nervi hanno delle fibre, e appena vibrano […]. Il
pensiero viene in seguito, perché io ho delle fibre, e niente
affatto perché ho un’anima e sono creato a immagine di Dio: che
sciocchezza! Michele mi spiegava ciò, anche ieri, ciò mi esaltava.
Che bella cosa è la scienza! Alioscia! L’uomo si trasforma, io lo
comprendo… tuttavia rimpiango Dio. – È già qualcosa, disse
Alioscia. – Che io rimpianga Dio? La chimica, fratello, la chimica:
mille scuse, Vostra Reverenza, scostatevi un po’, passa la chimica!
Rakitin non ama più Dio»
L’uomo
è schiavo della scienza e della ragione
Per
Dostoevskij l’ateismo contemporaneo si è costruito un palazzo di
cristallo in cui tutto è luce, e fuori del quale esso ha deciso che
non c’è nulla. Questo palazzo è l’universo della ragione, così
come hanno finito per costruirlo la scienza e la filosofia moderne.
Dostoevskij
non attacca né la scienza né la filosofia: egli se la ride solo
dell’ uomo che è diventato il loro schiavo.
Egli
contesta la tesi secondo cui “l’uomo
non è che un tasto di piano sotto le dita della natura”.
Niente caso, niente libertà! Se dunque si vuole assicurare la
felicità degli uomini, “non c’è da fare altro che conoscere
bene le leggi della natura: tutte le azioni umane saranno allora
calcolate.
L’autore
russo respinge inoltre la pretesa razionalista che vuole valutare
ambiti che non sono suoi, rinchiudendo l’uomo “in
quella regione incantata dove regnano le leggi e i principi”.
L’evidenza razionale è quella della vita in superficie, ma l’
uomo del sottosuolo conosce un altro regno.
Fonte:
tratto da “il dramma dell'umanesimo ateo”, H.De Lubac
(Morcelliana)
La
statura di Dostoevskij si ingigantisce con il passare degli anni […].
Egli
assume la figura di un profeta, e ciò non per aver predetto questo o
quell’avvenimento accaduto dopo […].
Più
profondamente ha per così dire prevenute certe forme nuove di
pensiero e di vita interiore che per opera sua si impongono all’uomo
ed entrano nel suo patrimonio […].
Un
profeta, sì: perché non soltanto ha svelato all’uomo i suoi
abissi, ma gliene ha anche in qualche modo aperti dei nuovi, dandogli
come una nuova dimensione; perché così egli ha prefigurato, cioè
annunciato, realizzandolo, un certo stato nuovo dell’umanità;
perché in lui si è concentrata la crisi del nostro mondo moderno.
L’uomo
che ha perso il legame ontologico con Dio, è diventato preda dei
demoni (da qui il titolo del romanzo di Dostoevskij, la più completa
fenomenologia dell’ateismo).
Dostoevskij
è un romanziere, ma scopre che l’uomo non può organizzare la
terra senza Dio; quando ci prova, non fa altro che organizzarla
contro l’uomo, come si è visto soprattutto nel corso del XX secolo
ma che egli ha anticipato in modo sorprendente.
In
Dostoevskij troviamo una triplice tipologia dell’uomo ateo:
l’uomo-dio, la “torre di Babele” e il “palazzo di cristallo”.
Dostoevskij
e Nietzsche a confronto
Come
non essere colpiti dal giudizio simile che entrambi hanno pronunciato
sul loro secolo? La stessa critica del razionalismo e dell’umanesimo
occidentale; la stessa condanna dell’ideologia del progresso, la
stessa insofferenza per il regno scientista e per le prospettive
stoltamente idilliache che in molti lo prolungano, lo stesso sdegno
per una civiltà tutta superficiale di cui essi fan saltare la
vernice, lo stesso presentimento della catastrofe che ben presto la
inghiottirà […].
L’uno
e l’altro annunciano la rivincita degli elementi irrazionali che il
mondo moderno reprime senza per altro rinunciare ad estirparli. Si
sente in loro una volontà di distruzione, e il martello iconoclasta
del pensatore tedesco ha un compito analogo alle immaginazioni
apocalittiche del visionario russo […].
In
loro due l’umanità cerca di evadere dalla prigione in cui una
cultura ristretta l’ha rinchiusa […].
Nel
nostro tempo, Nietzsche, maledicendolo, vede un’eredità del
Vangelo, mentre Dostoevskij, che pure non maledice di meno questo
tempo, vi scorge il risultato di un rinnegamento del Vangelo.
È
l’ideale spirituale dell’uomo che si eleva al di sopra di ogni
legge. Esso conduce inevitabilmente al delitto.
La
Torre di Babele
La
vicenda di Raskolnikov in Delitto e castigo è esemplare: egli uccide
la vecchia usuraia persuaso di aver oltrepassato i naturali limiti
dell’ umano, consegnando la sua persona, il suo essere
“oltre-uomo”, a un livello puramente ideale; non a caso il
pentimento subentra proprio nel momento in cui Raskolnikov recupera
la dimensione dell’umano, quella della vita.
Secondo
Dostoevskij l’ateismo, prima ancora di essere un’offesa a Dio, è
un crimine contro la vita. L’uomo è stato creato a immagine e
somiglianza di Dio per cui non tutto è lecito; non può uccidere un
suo simile senza commettere un suicidio spirituale e procedere così
alla propria disumanizzazione.
Questo
ideale propone di far scendere i cieli sulla terra, per creare un
nuovo paradiso, nato dalle mani dell’uomo; un paradiso materiale,
fatto di benessere, felicità (utopia liberal-capitalista) e di
uguaglianza (utopia socialista), ma dove mancherà la libertà.
Lo
stesso Dostoevskij ha creduto nel potere liberatorio della
rivoluzione: membro del circolo socialista di Petrasevskij, fu
arrestato e condannato a morte, pena che in seguito venne commutata
in quattro anni di lavori forzati. Egli non ha né interessi né
sentimenti né affetti personali, nulla che gli appartenga. Tutto è
sopraffatto da un esclusivo interesse, un solo pensiero, una sola
passione: la rivoluzione.
La
critica di Dostoevskij non colpisce solo il socialismo ma attacca
ogni teoria del progresso; sacrificare una persona in questo istante
per il beneficio di un’astratta umanità del domani, è il più
grande crimine che l’uomo possa compiere.
Pur
essendo qualcosa di astratto, l’ideale risulta essere più forte e,
in un certo senso più vero, della realtà:
«Questa
Torre di Babele, supposto che un giorno si innalzi, che alla fine
essa offra una dimora stabile, in nome di che cosa oggi mi si può
costringere a seppellirmi nelle sue fondamenta? Ogni generazione vale
come un’altra, e la città futura non potrebbe mai interessarmi,
come invece mi interessa un Regno eterno».
Il
Grande Inquisitore
Una
volta che l’uomo si sia liberato di Dio, sarà poi libero di fatto?
Per Dostoevskij i sistemi sociali che si sviluppano rifiutando le
loro basi cristiane, diventano fatalmente sistemi di violenza e di
schiavitù.
È
il tema che attraversa la Leggenda del grande Inquisitore, che pone
in antitesi libertà e felicità:
«Tu
hai concessa la libertà agli uomini, invece di confiscarla: avevi
dunque dimenticato che, alla libertà di scegliere tra bene e male,
l’uomo preferisce la pace, fosse pure la pace della morte? […]
Noi abbiamo corretto la tua opera. Gli uomini si sono rallegrati di
essere di nuovo condotti come un branco. Noi ci siamo dichiarati i
padroni della terra».
La
grave preoccupazione di scegliere è loro risparmiata: non hanno più
né da pensare né da volere.
Il
“Palazzo di Cristallo”
Il
“palazzo di cristallo” spesso fa lega con la “torre di Babele”.
Dostoevskij ci presenta un esempio in Rakitin, il seminarista amico
di Alioscia, impomatato di scienza e di mondanità, giovane
ambizioso, pieno di pretese, la cui vita monastica non è altro che
una tappa per la carriera politica.
La
critica è posta sulle labbra di Mitia, il primo dei fratelli
Karamazov. Egli riceve la visita di Rakitin in carcere, dove attende
il giudizio, accusato di aver ucciso suo padre. Rakitin gli confida
l’idea di scrivere un articolo su di lui, per provare con la
scienza che non è affatto colpevole, che egli è una vittima
dell’ambiente e dell’eredità. Mitia riferisce la cosa ad
Alioscia:
«
– Se si prende l’insieme, io rimpiango Dio; ecco! – Che vuoi
dire? – Figurati che nella testa, cioè nel cervello, ci sono dei
nervi… Questi nervi hanno delle fibre, e appena vibrano […]. Il
pensiero viene in seguito, perché io ho delle fibre, e niente
affatto perché ho un’anima e sono creato a immagine di Dio: che
sciocchezza! Michele mi spiegava ciò, anche ieri, ciò mi esaltava.
Che bella cosa è la scienza! Alioscia! L’uomo si trasforma, io lo
comprendo… tuttavia rimpiango Dio. – È già qualcosa, disse
Alioscia. – Che io rimpianga Dio? La chimica, fratello, la chimica:
mille scuse, Vostra Reverenza, scostatevi un po’, passa la chimica!
Rakitin non ama più Dio»
L’uomo
è schiavo della scienza e della ragione
Per
Dostoevskij l’ateismo contemporaneo si è costruito un palazzo di
cristallo in cui tutto è luce, e fuori del quale esso ha deciso che
non c’è nulla. Questo palazzo è l’universo della ragione, così
come hanno finito per costruirlo la scienza e la filosofia moderne.
Dostoevskij
non attacca né la scienza né la filosofia: egli se la ride solo
dell’ uomo che è diventato il loro schiavo.
Egli
contesta la tesi secondo cui “l’uomo
non è che un tasto di piano sotto le dita della natura”.
Niente caso, niente libertà! Se dunque si vuole assicurare la
felicità degli uomini, “non c’è da fare altro che conoscere
bene le leggi della natura: tutte le azioni umane saranno allora
calcolate.
L’autore
russo respinge inoltre la pretesa razionalista che vuole valutare
ambiti che non sono suoi, rinchiudendo l’uomo “in
quella regione incantata dove regnano le leggi e i principi”.
L’evidenza razionale è quella della vita in superficie, ma l’
uomo del sottosuolo conosce un altro regno.
Fonte:
tratto da “il dramma dell'umanesimo ateo”, H.De Lubac
(Morcelliana)
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