Di seguito pubblichiamo una sua lettera inviata a Rodolfo Quadrelli l’8 gennaio 1984 e pubblicata sulla rivista Tracce e Corriere della Sera.
Carissimo Quadrelli,
quanto mi dici sul nichilismo presente mi trova perfettamente consenziente. Non è più il nichilismo tragico di cui forse si potevano trovare le ultime tracce nel terrorismo. Questo nichilismo doveva portare a una soluzione rivoluzionaria più o meno confusamente intravista o meglio confusamente ricordata; un qualche elemento di rabbia c’era ancora, e questo gli conferiva una sembianza lontanamente umana.
Ma il nichilismo oggi corrente è il nichilismo gaio, nei due sensi, che è senza inquietudine (cioè cerca una sequenza di godimenti superficiali nell’intento di eliminare il dramma dal cuore dell’uomo) – forse per la soppressione dell’inquietum cor meum agostiniano – e che ha il suo simbolo nell’omosessualità (per il fatto che intende sempre l’amore “omosessualmente”, anche quando mantiene il rapporto uomo-donna). Il giudizio che qui ci interessa è antropologico, non anzitutto etico: il nichilismo gaio “non vedendo” la differenza, anche sessuale, come segno dell’altro, rischia di concepire l’amore come puro prolungamento dell’io (appunto “omosessualmente”). Non per nulla trova i suoi rappresentanti in ex cattolici, corteggiati ancora da cattolici che riconoscono in loro qualcosa che trovano sul loro fondo. Tale nichilismo è esattamente la riduzione di ogni valore a “valore di scambio”; l’esito borghese massimo, nel peggiore dei sensi, del processo che comincia con la prima guerra mondiale. Il peggiore annebbiamento che il nichilismo genera è la perdita del senso dell’interdipendenza dei fattori nella storia presente; infatti, a ben guardare non è che l’altra faccia dello scientismo e della sua necessaria autodissoluzione da ogni traccia di valori che non siano strumentali; e in ciò, come dici giustamente, è l’esatto opposto dell’umanesimo (…).
Quanto ai cattolici, quel che li caratterizza è l’accettazione di un pensiero del proprio tempo di origine marxista o neoborghese. Il risultato è che non possono più pensare la loro metafisica e la loro religione come verità; questa impotenza si manifesta nel loro presentarla in un linguaggio allusivo e metaforico, con cui pretendono distinguersi dai cattolici comuni e tradizionali, e veramente ci riescono. La loro scuola di miscredenza, è senza pari.
Mi parli di autori a cui sia possibile far riferimento. Di quelli che hanno pensato negli anni tra il ’30 e il ’40, perché dopo non si è più pensato, la sola a cui si possa far riferimento perché, anche se oscuramente, previde il corso del quarantennio presente è Simone Weil; non tanto però come guida, ma come autrice che può essere ritrovata con un processo personale (…). Penso che l’unica via per sfuggire alla desolazione presente sia riprendere la famosa frase di Hegel (che però penso valida indipendentemente dalla sua filosofia) secondo cui la filosofia “è il proprio tempo appreso colinterpretazioni pensiero”. Esistono due del nostro tempo che condizionano tutti i giudizi particolari, l’illuministico massonica (nelle sue varietà) e la marxistica, entrambe false. Si tratta di uscire da questa “falsità condizionante” ma i passi in questa direzione sono stati per ora assai scarsi. Gravissime soprattutto le colpe dei cattolici che dopo il ’60 hanno pensato di “aggiornarsi” facendo proprie le tesi dell’una o dell’altra di queste linee. Col risultato di mettere nella difficoltà di credere.
Con viva amicizia
tuo Augusto Del Noce
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