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sabato 20 marzo 2021

La macchina da scrivere

 Auguri Giuseppe!

"Chiamare la meccanica in aiuto all'estesa e importante operazione dello scrivere, sostituire nell'uso generale della mano che traccia le lettere, l'azione d'un meccanismo, in cui le lettere sono già formate perfette e uniformi, invece che operare con una sola mano, operare con ciascuna delle dieci dita, ecco il problema che io mi sono proposto e alla cui soluzione attendo da 19 anni."

Così scriveva Giuseppe Ravizza, a cui dedico oggi gli Auguri sia di compleanno che di onomastico, non un matematico ma un "ingegnere" mancato a cui si fa risalire l'invenzione della macchina da scrivere.

Ravizza nacque a Novara il 19 marzo 1811 e dedicò quasi tutta la sua vita allo studio del problema della scrittura a macchina. 

Proveniva da un'illustre benestante famiglia novarese (uno dei suoi antenati fu Benedetto Cortesella, detto il Rozzo, uno dei capi lombardi alla prima Crociata) e si laureò in legge controvoglia, solo per compiacere il suo tutore che non gli aveva permesso di seguire gli studi di ingegneria verso cui si sentiva portato.

Dopo la laurea in legge, svolse per pochi anni la professione di avvocato a Novara e di sindaco a Nibbiola, perché, in quel periodo, venne a sapere che un certo ingegner Pietro Conti (1796 – 1856) di Cilavegna, stava studiando una macchina capace di scrivere meccanicamente. Incontrato così Conti, nel 1835, impiantò un laboratorio in casa e cominciò a progettare una macchina per scrivere.

Pietro Conti il 10 agosto del 1827, aveva infatti presentato all'Accademia delle Scienze di Francia la descrizione di due macchine di sua invenzione, rispettivamente dette "tacheografo" e "tacheotipo", intese a facilitare e accelerare la composizione tipografica. Conti ne fece rapporto all'ingegnere Claude-Louis Navier e al matematico Jean Baptiste Joseph Fourier, ma siccome i relativi documenti sono andati persi, non è chiara la differenza fra i due prototipi.

Fu proprio grazie al diario di Giuseppe Ravizza che è stato possibile ricavare dati specifici su questa sua invenzione.

L'attività e i riconoscimenti scientifici conseguiti da Conti in Francia non sono stati infatti ben documentati poiché i suoi brevetti andarono perduti a causa di una cattiva archiviazione e anche per gli eventi del terremoto di Messina, dove erano conservati alcuni fascicoli.

Proprio da questo diario si capisce che le soluzioni adottate dal Ravizza si basarono sull'invenzione di Conti, ma che perfezionò e brevettò con il nome di "cembalo scrivano" nel 1855.

Nel 1837, prendendo spunto dal "tachigrafo" dell'ing. Pietro Conti  iniziò a costruire il primo prototipo del "cembalo scrivano", così chiamato per via della forma dei tasti, simili a quelli dello strumento musicale. Utilizzò infatti i tasti di un pianoforte, e nel 1855 brevettò la sua invenzione migliorata e dotata di 32 tasti, presentandone una versione ormai definitiva, nel 1856  all'Esposizione Industriale di Torino e ad una mostra analoga a Novara dedicate alle "Arti e alla Tecnica", dove fu premiato con la medaglia d'oro.

La priorità non venne subito riconosciuta, e nel 1868 l'americano Christopher Latham Sholes (1819 – 1890) brevettò, per conto della Remington, una macchina da scrivere che si basava su principi del tutto identici a quelli della macchina di Ravizza. 

Siccome il "cembalo scrivano" venne esposto anche in Inghilterra, si pensa che l'americano conoscesse la macchina dell'italiano. 

Inoltre il "cembalo scrivano" presentava dei congegni in più quali la possibilità di ottenere, a seconda dell'esigenza, le lettere maiuscole o minuscole, cosa che non era presente nella macchina della Remington, il campanellino che suonava a fine riga, indizi che facevano sospettare che Sholes avesse approfittato dell'invenzione del Ravizza.

Ma nel gennaio 1940, il Podestà di Ivrea, per conto della Soc. An. Olivetti, donò al Museo Civico del Broletto di Novara, un modello del "Cembalo scrivano" di Giuseppe Ravizza con tutti i brevetti attinenti che documentavano la priorità italiana nell'invenzione della macchina da scrivere.

Nel brevetto veniva indicata come "cembalo scrivano, ossia macchina da scrivere a tasti" e veniva descritta la "tastiera a 32 tasti quadrati, in due linee sovrapposte, lettere in mezzo e interpunzioni ai lati". A ciascun tasto corrispondeva un martelletto e l'insieme dei martelletti era disposto in cerchio (prima cesta delle leve). 

La macchina presentava, inoltre, il telaio portafoglio mobile, il nastro inchiostratore (fino a quel momento veniva utilizzato un tampone per inchiostrare i tasti di scrittura), un dispositivo per fissare l'interlinea e il campanello indicatore di fine riga. 

Composta da quasi 600 pezzi in legno e circa 100 in ottone, risultava però piuttosto pesante e poco maneggevole.

Dotato di pensiero di scienziato e abilità di artigiano, Ravizza costruì ben 16 modelli, finché nel 1881 riuscì a realizzare il "cembalo a scrittura visibile", nel quale riuscì a disporre verticalmente il foglio di carta, permettendo così di poter leggere lo scritto man mano che lo si scriveva. 

Anche quest'ultimo prototipo passò quasi inosservato, ottenendo solo una menzione onorevole all'Esposizione di Milano dello stesso anno.

I vari prototipi, oltre che a Novara (1856), furono esposti a Torino (1857), Firenze (1861), Londra (1865) e Milano (1881), dove Ravizza ricevette varie medaglie di merito, ma nessuno dei modelli realizzati dal Ravizza venne però prodotto industrialmente, perché a quel tempo nessuno riuscì a capire l'importanza dell'invenzione e, tantomeno, prevederne il futuro sviluppo. 

A quel tempo solo pochi lo consideravano utile ed alcuni lo criticarono, nominandolo “pianoforte della bambola". 

L'unico che immaginò l'utilità dell'invenzione fu appunto l'americano Christopher Latham Sholes che, nel 1867, costruì un prototipo per la vecchia fabbrica di armi Remington, la quale, a partire dal 1875, aggiunse "la macchina per scrivere" ai suoi prodotti, e il successo fu tale, che ne vennero costruiti in serie milioni di esemplari.

Quando il vero inventore della macchina per scrivere morì a Livorno il 30 ottobre 1885, povero e abbandonato, in Italia si diffuse la Remington, favorendo l’errata convinzione della paternità americana.


Nel 2006, grazie allo spirito di iniziativa di un appassionato collezionista, Umberto Di Donato, nasceva a Milano, nel suggestivo quartiere Isola, il Museo della Macchina da Scrivere: 200 pezzi comprese alcune macchine da calcolo. 

Oggi, a distanza di quindici anni, la collezione ammonta a più di 1800 macchine, tra cui alcune antichissime (la Caligraph 1882 made in Usa), alcune storiche (la Williams del 1887 che ispirò l’avventura di Camillo Olivetti in Italia), alcune appartenute a personaggi famosi della storia del nostro Paese (Francesco Cossiga, Camilla Cederna, Matilde Serao, Carmen Covito e altri ancora), mentre un modello del "cembalo scrivano" si trova esposto al Museo della Scienza e della Tecnologia di Milano.


Immagini

Cembalo a scrittura visibile di Giuseppe Ravizza

Giuseppe Ravizza (1811 - 1885) inventore della "macchina da scrivere"

Cembolo scrivano di Giuseppe Ravizza

Tacheografo di Pietro Conti (1796 – 1856)

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