Maréj dal dito grosso e dal cuore grande
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Questa volta chissà perché mi ricordai a un tratto di un momento insignificante della mia prima infanzia, di quando avevo solo nove anni: un momento che sembrava del tutto dimenticato; ma allora amavo in particolar modo i ricordi della prima infanzia. Mi ricordai del mese di agosto nella nostra campagna; un giorno secco e chiaro, ma piuttosto freddo e ventoso; l'estate era alla fine e ben presto avremmo dovuto ritornare a Mosca, ad annoiarci tutto l'inverno con le lezioni di francese, e io soffrivo tanto a lasciar la campagna. Andai dietro l'aia, mi calai nel burrone e risalii alla fitta bassa boscaglia di cespugli che si stendeva dall'altra parte del burrone fino al boschetto. Mi inoltrai sempre più nella boscaglia e sentii come non lontano, a trenta passi da me, nella radura un muzik stava arando. lo so che egli ara intorno alla collina e il cavallo avanza fatica e di tratto in tratto arriva fino a me il grido « Nu-nu! »io conosco quasi tutti i nostri muziki, ma non so chi di loro stia arando ora, e non me ne importa, sono tutto immerso nel mio lavoro, perché anch'io sono occupato: sto preparando un frustino di noce per frustare le rane: i frustini di noce sono cosi belli e cosi fragili, per niente da paragonare a quelli di betulla. Mi tengono occupato anche gli insetti e gli scarabei; ne fo collezione, ce ne sono di molto carini; amo anche le piccole agili lucertole giallo-rosse, con le macchioline nere, ma dei serpentelli ho paura. Del resto di serpentelli ne capitano molto più raramente delle lucertole. Funghi ce n'è pochi; per trovare i funghi bisogna andare nel boschetto di betulle e proprio là voglio andare. Niente nella vita amavo quanto il bosco con i suoi funghi e le bacche selvatiche, con i suoi insetti e uccellini, i suoi ricci e scoiattoli e quell'umido profumo, tanto caro, di foglie marcenti. Anche adesso, mentre scrivo, mi par di sentire l'odore del nostro boschetto di betulle; sono impressioni che restano per tutta la vita. A un tratto, in mezzo alla profonda calma sentii chiaro e distinto il grido: « Viene il lupo ». Cacciai un urlo e, fuori di me dalla paura, gridando con tutta la mia forza corsi sul prato, direttamente verso il muzik che arava. Era questi il nostro muzik Maréj. Non so se esiste un tal nome, ma lo chiamavano Maréj; un contadino sui cinquant'anni, forse, abbastanza alto, con molti peli bianchi nella folta barba d'un color castano scuro. Lo conoscevo, ma fino ad allora non avevo avuto quasi mai occasione di parlargli. Egli fermò la cavallina, udendo il mio grido, e quando io, di tutta corsa, mi afferrai con una mano al suo aratro, e con l'altra a una manica, notò il mio spavento. -Viene il lupo!- gridai, ansimando. Egli alzò la testa e si guardò involontariamente attorno, credendomi per un istante. Dov'è il lupo? Hanno gridato... Qualcuno ha gridato: « Viene il lupo! » -balbettai. -Ma no, ma no, che lupo? Ti è sembrato, vedi! Che lupo può esserci qui? disse egli in fretta, per farmi coraggio. Ma io tremavo tutto e mi attaccai ancora più forte alla sua giacca e, probabilmente, ero molto pallido. Egli mi guardava con un sorriso inquieto, evidentemente intimorito ed allarmato per me. Come ti sei spaventato,eh-eh!- e scosse la testa.- Basta, caro. Via, ragazzino, eh! Tese la mano e mi carezzò la guancia: -Be'! Basta, che Cristo sia con te, calmati; fatti il segno della croce. Ma io non mi feci il segno della croce; mi tremavano gli an-goli delle labbra e, a quanto pare, questo lo colpì più di tutto.Egli stese adagino il suo grosso dito con l'unghia nera di terra e toccò delicatamente le mie labbra che sussultavano. -Ma guarda un po'- mi sorrise con un sorriso lungo e materno. -Signore, ma cos'., eh-eh! Compresi finalmente che il lupo non c'era e che il grido « Viene il lupo!» me l'ero immaginato. Il grido, del resto, era stato cosi chiaro e preciso, tali gridi (non soltanto per i lupi) mi era sembrato di udirli già due o tre volte prima e lo sapevo. (Poi, con l'infanzia, passò). -Be', ora vado -dissi, guardandolo con un timido sguardo interrogativo. -Va', io ti guarderò. Non ti darò al lupo, sta' tranquillo!- aggiunse, sorridendo sempre maternamente. Che Gesù sia con te, va'- e fece il segno della croce su di me e su se stesso. Andai via voltandomi indietro quasi ogni dieci passi. E Maréj, mentre mi allontanavo, stava sempre li con la sua cavallina e mi guardava, facendo un segno con la testa ogni volta che mi voltavo. Confesso che mi sentivo un po' mortificato davanti a lui, per essermi tanto spaventato, ma camminavo temendo sempre un po' il lupo, finché non lasciai la collinetta del burrone, fino al primo granaio; qui la paura scomparve completamente e a un tratto, chissà di dove, mi si gettò incontro il nostro cane da guardia Voldk. Con Voldk mi feci coraggio del tutto, e mi voltai per l'ultima volta verso Maréj; non potevo più distinguere bene il suo viso, ma sentivo che egli continuava a sorridermi affettuosamente e a far cenni con la testa. Gli mandai un saluto con la mano, anche lui mi salutò con la mano, e mosse la cavallina. Nu-nu!- si udì di nuovo la sua voce da lontano e la cavallina tirò di nuovo l'aratro. La cosa mi venne in mente tutto a un tratto, non so perché, ma con sorprendente precisione di dettagli. A un tratto tornai in me e mi sedetti sulla panca, e, rammento, sentii sul mio volto il dolce sorriso del ricordo. Per un istante ancora continuai a ricordare. Allora, tornato a casa, non raccontai a nessuno della mia « avventura»!E in realtà quale avventura?Anche di Maréj ni scordai presto allora. Incontrandolo in seguito, qualche volta, non gli parlai mai e non soltanto del lupo, ma di niente in generale; e improvvisamente, vent'anni dopo, in Siberia, mi ricordai del nostro incontro con tanta chiarezza.Vuol dire che esso era rimasto nel mio animo, cosi da sé, senza volontà da parte mia, e il ricordo era tornato quando occorreva; mi ricor-dai del dolce sorriso materno del povero muzik servo della gleba, dei suoi segni di croce, dei suoi cenni del capo: « Ma guarda come si è spaventato il ragazzino! ». E particolarmente quel dito grosso sporco di terra, col quale dolcemente e con timida tene rezza egli aveva sfiorato le mie labbra tremanti. Certo, chiunque avrebbe fatto coraggio a un bambino, ma qui in quell'incontro solitario pareva essere accaduto qualcosa di completamente diverso, ché se fossi stato suo figlio egli non avrebbe potuto guardarmi con uno sguardo splendente di un amore più sereno chi lo obbligava? Egli era un nostro servo, io ero il suo signorino; nessuno avrebbe mai saputo come egli mi aveva accarezzato e non l'avrebbe ricompensato per questo. Amava forse tanto i piccoli bambini? Esiste gente cosi. L'incontro era avvenuto in un campo deserto, e forse soltanto Dio aveva visto, di lassu, di quale sentimento profondo, illuminato e umano e di quale delicata, quasi femminile tenerezza, poteva essere colmo il cuore di un muzik russo rozzo e bestialmente ignorante, il quale allora non aspettava e non prevedeva neppure la propria libertà. Dite, non è questo che intendeva dire Konstantìn Aksakov, parlando dell'alta cultura del nostro popolo? Ed ecco, quando mi alzai dalla branda e mi guardai attorno, lo ricordo bene, sentii a un tratto di poter guardare quei disgraziati con uno sguardo diverso, e che d'improvviso, per un miracolo, erano scomparsi completamente ogni odio e ogni cattive ria dal mio cuore. Andai fissando le facce che incontravo. Questo muzik rasato, svillaneggiato,ubriaco, con le cicatrici sul viso, che urla la sua canzone rauca ed ebbra, potrebbe essere lo stesso Maréj: non gli vedo certo nel cuore. La sera stessa incontrai di nuovo Mcki. Disgraziato! Egli certo non avrebbe potuto avere il ricordo di un qualsiasi Maréj, non avrebbe potuto avere altra opinione di questa gente che quella espressa: « Je hais ces brigands! ». Questi polacchi dovettero soffrire allora assai più di noialtri russil
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