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lunedì 19 dicembre 2022

 

La luce: dalle preghiere di J.C. Maxwell alla luce di Dante

All’origine della filosofia occidentale Talete di Mileto afferma che l’acqua è il principio di ogni cosa. L’acqua è certamente qualcosa di meravigliosamente importante (essa è “utile et humile et pretiosa et casta”, direbbe san Francesco), ma anche, diciamo così, di molto “semplice”: due atomi di idrogeno e 1 di ossigeno. La luce è tutta un’altra cosa. Sia per la sua bellezza ed evocatività, sia da un punto di vista scientifico (la sua velocità è la massima possibile fisicamente; ha natura insieme corpuscolare e ondulatoria ecc.).
La stessa parola “Dio” significa “luce”,

da cui anche il termine greco “Zeus”, o il latino “dies” e l’italiano “dì”, cioè “giorno”.
Nella Bibbia, la parola “luce” compare come prima parola di Dio (“Fiat lux”: “Sia fatta la luce!”), e nel medioevo le cattedrali gotiche, con le loro grandi vetrate colorate e luminose, sono la traduzione in pietra di un passo del Credo (“Dio da Dio, luce da luce”), della descrizione della Gerusalemme celeste (città di luce, descritta nell’Apocalisse), e della ottimistica filosofia della luce dei naturalisti francescani che ad Oxford fanno nascere l’ottica (e, quindi, anche gli occhiali che molti di noi portano sul naso).


Uno di questi naturalisti è Roberto Grossatesta, vescovo di Lincoln e cancelliere ad Oxford nel XIII secolo, studioso di specchi, lenti, arcobaleno. Per lui la luce è il corpo più impalpabile e “spirituale” esistente: di essa Dio si è servito per creare l’ intero universo (il De luce di Grossatesta è considerato la prima intuizione del Big bang, che verrà teorizzato nel 1931 da un sacerdote che in gioventù aveva scritto un commento proprio al Fiat Lux del Genesi). Per il suo discepolo, il frate Ruggero Bacone, la “legalità geometrica, che governa la propagazione della luce” è “il modello di spiegazione di tutti i fenomeni fisici”: anch’egli, affascinato dalla luce, studia e comprende le leggi della riflessione e della rifrazione e spiega come le lenti possano essere disposte per costruire occhiali e telescopi.
L’uomo- scrive il sacerdote ed astronomo Giuseppe Tanzella Nitti, curatore del sito scientifico www.disf.org, proprio a presentazione dell’anno della luce- “ha bisogno di Dio come, sul piano scientifico, la vita e l’uomo hanno bisogno di luce. Luce vuol dire energia. Delle quattro forme di energia che l’uomo conosce, quella elettromagnetica è più facilmente maneggiata e impiegata; se l’uomo sfrutta altre forme di energia, come ad esempio quella gravitazionale o quella nucleare, è per ottenere ancora energia elettromagnetica, di cui la luce visibile costituisce la parte a noi fisiologicamente più vicina. Nel sole, la grande efficienza dell’energia nucleare che si sprigiona nel suo nucleo, analogamente a quanto accade nelle altre stelle, giunge a noi ancora sotto forma di energia elettromagnetica, di calore e di luce. Senza luce solare non vi sarebbe fotosintesi clorofilliana, non vi sarebbe vita, senza il calore del sole non vi sarebbero processi biochimici, la terra sarebbe una distesa di roccia e di ghiaccio. La qualità della vita sulla terra dipende ormai, in modo determinante, dalla nostra capacità di ottenere energia e luce a basso costo, di poterla distribuire senza troppe perdite”.

Se dobbiamo, tra i tanti scienziati che hanno affrontato nei secoli lo studio della luce, sceglierne qualcuno per la sua importanza, siamo obbligati a citare uno dei massimi fisici di ogni tempo, lo scozzese James Clerk Maxwell che nel 1864, con le sue celebri equazioni, definisce in modo completo il legame tra campo elettrico e campo magnetico, unificando elettricità e magnetismo e fornendo allo stesso tempo una sintesi teorica di tutti i fenomeni sperimentali connessi. Le equazioni di Maxwell non hanno cambiato solo la scienza (servono a spiegare come funzionano la luce, i colori, il sole…), ma la vita di tutti noi, essendo all’origine, per esempio, delle telecomunicazioni, dalla radio al telefono ad internet.
Oltre che un fisico, Maxwell è anche un filosofo, un poeta e un fervente cristiano. Le sue lettere alla moglie e agli amici, infatti, testimoniano di come il suo amore alla natura sia di marca francescana: vede nelle creature la traccia, l’impronta del Creatore, e come il fondatore della prima chiesa gotica francese, , l’abate Suger -che vuole che dalle “bellezze visibili” della Chiesa illuminata dalle vetrate, il fedele passi alla contemplazione delle “bellezze invisibili”-, così anche Maxwell ama passare “da mondo a mondo”, cioè dalla creazione al Creatore, dalla fisica alla metafisica, dalla contemplazione scientifica alla contemplazione dell’anima.

Nell’Inno della sera di uno studente, scritto a Cambridge il 25 aprile 1853, infatti, si rivolge a Dio così: “Tu che riempi i nostri occhi frementi/con il cibo della contemplazione,/disponendo nel tuo cielo oscurato/i segni di una creazione infinita/concedi alla meditazione notturna/ciò che l’operoso giorno nega/insegnami in questa stazione terrestre/ a riconoscere la Verità Celeste/… Per mezzo delle creature che Tu hai creato/ mostra lo splendore della Tua gloria/, l’eterna Verità si manifesti/nella loro sostanza transitoria,/finché la Terra verde e l’Oceano canuto, /la solida roccia e il tenero filo d’erba/racconteranno la stessa infinita storia/ ‘Siamo la Verità ordinata nella Forma’…/Così che, quando i Santi con gli Angeli umilmente/ si uniranno alla preghiera incessante del cielo/, con altrettanta certezza la mia, sebbene lentamente,/ possa ascendere e lassù fondersi alla loro./ Insegnami a leggere le Tue opere/di modo che la mia fede-acquistando nuova forza-/possa procedere da mondo a mondo/perseguendo la feconda ricerca della saggezza;/ finché una volta che la tua verità avrà impregnato la mia mente/proclamerò l’Eterno Credo/, rinnovando spesso il glorioso motivo/ Iddio nostro Signore è il vero Dio./ Donami amore per rintracciare correttamente/ il Tuo in ogni cosa creata/predicando una razza redenta/dalla Tua misericordia rinnovata,/finché sazio della tua pienezza/Ti guarderò faccia a faccia/ e con infaticabile Ardore/ canterò le glorie della tua grazia”.

Un’altra poesia di Maxwell, scritta il I marzo del 1856, si conclude così: “…Chiedete solo l’eterno Riposo,/che dona pace e sicurezza./Riposo di Vita e non di morte,/riposo nell’Amore, nella Speranza, nella Fede,/fino a che il Dio che dà loro il respiro/li chiamerà a sé a riposare dal vivere”. In Il segreto per essere felici, del 24 marzo 1858, Maxwell medita sulla fugacità dei piaceri e della vita, ma anche sulla solidità che deriva dalla fede e sulla luce metafisica di Dio che ci aiuta a vedere anche laddove l’uomo, da solo, non vede: “…Veniamo aiutati da una forza che non viene da noi./Il mondo e i suoi pericoli perciò non rifuggiamo/perché Colui che l’ha creato è saggio/Egli sa che siamo pellegrini e stranieri,/ed i nostri occhi Egli illuminerà”.
Maxwell: scienziato e poeta. Il che ci spinge a concludere con il nostro poeta per eccellenza, Dante Alighieri, che fa del Paradiso il luogo che “solo amore e luce ha per confine”, essendo Dio “luce eterna che sola in te sidi”, “luce che da sé è vera”, luce di cui tutti gli uomini, per vedere davvero, hanno bisogno.

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