Ivan Karamazov si interroga e si tormenta riguardo il senso di un mondo che egli non può fare a meno di amare, e che al contempo, gli è impossibile comprendere, lacerato fra Bellezza e Sofferenza, tra Bene e Male; in questo senso, è piuttosto il giovane novizio ad essere più vicino al messaggio dell’amor fati consigliandogli di «amare la vita anteriormente a ogni logica, più che il senso di essa». Egli infatti rientra in quella che Bernhard Welte definisce come «l’altra estrema possibilità: l’incondizionato Sì all’incondizionato, la Fede in Dio». Ivan non può fare a meno di voler trovare una risposta, di cercare e di cercare e infine di individuare il responsabile di tutto l’assurdo e l’insensatezza dell’esistenza in Dio, nel paradosso della sua creazione. Il percorso con cui giunge a negarlo è quindi diverso rispetto a quello nietzschiano: esso si origina appunto dall’impossibilità di accettare un mondo in cui è permesso che ci sia il Male, il Dolore, e che esso venga scontato anche da chi non ha alcuna colpa di tutto ciò. Ciò ci riporta piuttosto a quanto letto nel Frammento di Lenzerheide: «il nichilismo appare ora non perché il disgusto per l’esistenza sia maggiore di prima, ma perché si è diventati riluttanti a vedere un “senso” nel male e nell’esistenza stessa».
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