Il sugo della storia
Napoleone non si convertì in punto di morte
Il 5 maggio 2021 saranno trascorsi duecento anni dalla morte di Napoleone, un personaggio che ha segnato la storia tra la fine del Settecento e l’inizio dell’Ottocento, decenni che possono essere designati come età napoleonica.
Quando nel luglio del 1821 giunse la notizia della sua morte, Manzoni si trovava nella villa di Brusuglio. La «Gazzetta di Milano» del 16 del mese riportò il necrologio. Com’erano differenti i tempi delle comunicazioni due secoli fa! Dall’isola di Sant’Elena a Milano la notizia impiegò decine e decine di giorni ad arrivare.
L’isola di Sant’Elena si trova nell’emisfero australe, a metà strada tra Africa e Sud America, alla stessa latitudine di Angola, Zambia e Mozambico. Un’isola di centoventi chilometri quadrati, fino a pochi anni fa raggiungibile soltanto con un cargo postale in transito ogni quattro settimane e solo dal 2017 sede di un aeroporto. Scoperta nel 1502 dal navigatore galiziano Joao da Nova, l’isola divenne nel 1673 possedimento dell’Inghilterra che la scelse come sede dell’esilio di Napoleone.
Manzoni ammirava il condottiero, ma non lo amava; non aveva mai elevato odi al grande comandante quando questi era al colmo della sua gloria, né tanto meno lo aveva denigrato quando era caduto nella polvere, al contrario di tanti artisti contemporanei, tra i quali il pittore Jacques Louis David, il musicista Beethoven (che gli aveva dedicato la sinfonia n. 3, la cosiddetta Eroica), lo scrittore Foscolo, che gli avevano dedicato opere.
Alla notizia della morte, in soli tre giorni, Manzoni scrisse l’ode Il 5 maggio perché fu colpito dalla scomparsa di un personaggio così grande, che aveva posto ordine tra due secoli, Settecento e Ottocento, tra due età, Illuminismo e Romanticismo, che aveva conquistato gran parte dell’Europa, dalle Alpi alle Piramidi, dal Manzanarre al Reno in un movimento direzionale nord/sud e poi ovest/est che sembra tracciare una croce, forse alludendo al fatto che le sue truppe e le sue vittorie fulminee producevano morti sul campo e stermini.
Ancor più che dalla morte, Manzoni fu, però, colpito dalla notizia che Napoleone, che aveva sempre assunto un atteggiamento fortemente anticlericale e anticattolico, si fosse convertito prima di morire: mai più superba altezza si era inchinata al disonore del Golgota.
In realtà, esiste un documento storico che attesta che Napoleone non si convertì negli ultimi giorni, ma era già prima credente e cattolico. Il testo in questione è Sentiment de Napoléon sur le cristianisme, Conversations religieuses dato alle stampe nel 1840 da Robert-Antoine de Beauterne che si era procurato documenti e testimonianze privilegiate degli anni di esilio (come quelle dei generali de Montholon, Bertrand e Goucard, dei due medici O’ Meara e Antonmarchi) e aveva fatto riferimento al celebre Memoriale di Sant’Elena scritto da Las Cases nel 1823.
Perché si tratta di un’opera dal comprovato valore storico?
L’autenticità dei documenti è attestata dal recupero e dal controllo delle affermazioni del curatore dell’opera oltre che dal fatto che tutti i testimoni erano ancora in vita quando fu pubblicato il libro e avrebbero, quindi, potuto smentire affermazioni false. Inoltre, molti dei testimoni erano atei e materialisti, non certo cristiani, e si mostravano in disaccordo con Napoleone.
L’immagine tradizionale del grande imperatore e comandante francese appare assai diversa da quella della vulgata tradizionale. Napoleone si è sempre considerato cristiano cattolico. Al medico personale O’Meara che vede Napoleone leggere il Nuovo Testamento e gli fa notare che «correva voce che fosse miscredente» il generale replica: «Non è vero, non sono mai stato ateo. Quando ero a capo del governo, appena ho potuto, ho tentato di ristabilire la religione, che è una grande consolazione per il credente, soprattutto negli ultimi istanti della sua vita». E nel 1817, quando il medico informa Napoleone che si è diffusa la voce che lui sia un cattolico romano, il generale replica: «È vero, io credo ciò che crede la chiesa».
Il dottor Antonmarchi ricorda nelle sue Memorie che Napoleone gli ha detto: «Io non sono né medico, né filosofo; io credo in Dio; sono un cristiano, cattolico, romano». Al contempo, Napoleone si rivolge rivolto all’abate Vignali con queste parole: «Sono nato nella religione cattolica, voglio adempiere ai doveri che me ne derivano, e ricevere i conforti che essa fornisce ai suoi figli. Lei celebrerà tutti i giorni la santa Messa nella stanza accanto, ed esporrà il Santissimo Sacramento durante le quarantore. Dopo la mia morte, lei porrà l’altare dalla parte della mia testa, nella camera ardente, continuando a celebrare la Messa e tutte le cerimonie del rito cattolico, che lei terminerà solo quando sarò sepolto».
Al generale Bertrand che gli chiede se abbia mai visto Dio, Napoleone replica che anche il genio umano non si vede direttamente, ma si vede l’effetto «e da questo si risale alla causa, e si crede che questa causa esista, insomma che essa sia reale». Come quando nel folto della battaglia la situazione si volge al peggio e il generale Bertrand cerca consiglio nello sguardo dell’Imperatore per capire come agire, allo stesso modo tutto grida nel petto dell’uomo, c’è un istinto, una fede, una certezza, un grido che esce dal cuore. Napoleone arriva ad esclamare: «Io credo in Dio, a causa di ciò che vedo, e di ciò che sento».
E ancora Napoleone chiede al generale Bertrand da dove vengano il genio, la creatività, l’intuito che tanto ammiriamo negli uomini: «Se ci sono tante differenze tra gli uomini, Qualcuno ha creato queste differenze, e questo Qualcuno non è né lei, né io […]. C’è un Essere Infinito in confronto al quale lei non è che un atomo; in confronto al quale anch’io Napoleone, con tutto il mio genio, sono niente […]. Io lo sento, questo Dio, … ne ho bisogno… credo in Lui». La concezione che l’uomo ha di Dio nasconde la visione che si ha dell’uomo stesso: «Cosa vuole che io abbia in comune con un uomo che non crede all’esistenza dell’anima, e che crede che l’uomo sia un mucchio di fango?».
Bellissime sono le conversazioni di Napoleone sull’evidenza e sulla realtà della divinità del Cristo. Il generale Bertrand non riesce a credere che un uomo come Napoleone possa davvero essere convinto della divinità del Cristo. Questi poteva forse essere il cuore più nobile, il legislatore più attento, ma non un Dio che si è fatto carne.
Allora Napoleone confida al generale Bertrand: «Io conosco gli uomini e le dico che Gesù non era un uomo. Gli spiriti superficiali vedono una somiglianza tra il Cristo e i fondatori di imperi, i conquistatori e le divinità delle altre religioni. Questa somiglianza non c’è: tra il cristianesimo e qualsivoglia altra religione c’è la distanza dell’infinito […]. Lei, generale Bertrand, parla di Confucio, Zoroastro, Giove e Maometto. Ebbene, la differenza tra loro e Cristo è che tutto ciò che riguarda Cristo denuncia la natura divina, mentre tutto ciò che riguarda tutti gli altri denuncia la natura terrena […]. Cristo affida tutto il proprio messaggio alla propria morte: come può essere ciò l’invenzione di un uomo? Infatti, non lo è, ma è bensì un segno strano, una fiducia sovrumana, una realtà misteriosa. […] Ma l’impero di Cesare quanti anni è durato? Per quanto tempo Alessandro si è sostenuto sull’entusiasmo dei propri soldati? […] I popoli passano, i troni crollano ma la Chiesa resta. Allora, qual è la forza che tiene in piedi questa Chiesa assalita dall’oceano furioso della collera e del disprezzo del mondo? […] Il mio esercito ha già dimenticato me, mentre sono ancora in vita (…). Ecco qual è il potere di noi grandi uomini! Una sola sconfitta ci disintegra e le avversità si portano via tutti i nostri amici».
Il cristianesimo, ricorda Napoleone, si è diffuso in maniera differente dalle altre religioni: non si è diffuso con la forza delle armi e dello sterminio; dopo san Pietro i primi trentadue vescovi di Roma furono tutti martirizzati, senza alcuna eccezione. Diventare vescovo di Roma non significava assumere un potere particolare, ma testimoniare fino alla morte (martire) la buona novella
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