La lavorazione del crine vegetale
era molto praticata fino agli anni Sessanta, si utilizzava per imbottire materassi, cuscini, sofà, selle ecc.
A Sassari e Alghero operavano diverse fabbriche.
Qui una breve descrizione tratta dal blog
https://blog.libero.it/LaPietraiaAHO/9718281.html
Il crine è una fibra vegetale che si ricava dalla palma nana che cresce spontanea in tutta la zona costiera, particolarmente a Porto Conte, dove un tempo si trovavano estesi campi di tale pianta.
Per la produzione del crine erano necessarie numerose operazioni.
1° - Per prima cosa le foglie venivano recise dagli uomini con una roncola, soprattutto in primavera ed in estate. Quindi venivano riunite in fasci (les càstigues, leggi: càstigas), caricate su carri trainati da cavalli e, attraverso la via Porto Conti, raggiungevano i vari stabilimenti di lavorazione.
Talvolta la pianta veniva asportata completamente ed allora si poteva gustare una prelibatezza, il margalló (leggi: malgagliò), cioè il tenero cuore della palma, dal caratteristico sapore aspro-dolce. I bambini mangiavano anche i gìnjol (leggi: gìngiul), i frutti rotondeggianti di colore arancione-marron chiaro, dal gusto asprigno che "lega" il palato.I gìnjol si potevano acquistare anche nei negozietti del centro storico dove la quantità veniva misurata a bicchieri.
2° - Negli stabilimenti le donne provvedevano a lavare le foglie e a farne mazzetti. I mazzetti confezionati con le palme migliori erano destinati a fare i pennelli per gli imbianchini.
Le mazzettaie stavano sedute su uno sgabello ed appoggiavano sul grembo le foglie trattenendone il gambo spinoso con le mani. I mazzi così ottenuti venivano legati con le fibre lunghe della foglia che erano state preparate a casa la sera prima (los xobos, leggi: lus ciobus). C'erano mazzettaie particolarmente abili che riuscivano a confezionare dei mazzi perfetti, con le foglie ben sistemate, ed altre che trovavano difficoltà. Era un lavoro che rovinava le mani a causa delle spine dei gambi.
3° - Infine i mazzi si appoggiavano su una superficie piana e, col deciso colpo di una lama affilata, si recidevano tutti i gambi.
4° - Quindi si passava a lavorare le foglie con una macchina composta da due parti di legno, una concava e l'altra convessa, della misura di circa cm 100x50. Conficcate nel legno stavano delle punte d'acciaio acuminate. Con un movimento oscillatorio le donne facevano scorrere le due tavole l'una sull'altra affinché le foglie, inserite nella macchina, venissero sfibrate dal passaggio delle punte.
Un'altra macchina formata da un rullo a rotazione manuale, munita anch'essa di chiodi, dava un prodotto più fine.
5° - Nelle giornate di sole il crine veniva sparso nel cortile adiacente al laboratorio e messo ad essiccare.
6° - Quindi le filatrici prelevavano una certa quantità di crine (la balsaca), lo fissavano ad un chiodo inserito nella parete e lo "filavano". In pratica confezionavano delle corde, les cordetes (leggi: las culdetas) ed il crine era pronto per essere venduto.
Il prodotto veniva diviso tra più fino e più grosso.
Durante il lavoro le donne cantavano les cançons del crino (leggi: las canzonz del crino) che erano testi improvvisati su un tema musicale fisso. Raccontavano gli amori e i bisticci tra fidanzati, oppure contenevano messaggi destinati ai ragazzi che piacevano alle giovani operaie.
Qualche testo si ricorda ancora. Per fare un esempio si riportano due versi:
"I ja ‘l veu que so petita
no so minyona de festejar..."
"Vede bene che sono piccola,
non son ragazza da fidanzare..."
Spesso i testi erano ironici e tendevano a sottolineare i difetti delle operaie, la loro scarsa abilità, o la scarsa voglia di lavorare.
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