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mercoledì 18 aprile 2012

GAUDÍ, L'ARCHITETTO DI DIO

Giovanni Ricciardi - «Gaudí, l’architetto di Dio. Intervista con Joan Bassegoda i Nonell»

GAUDÍ, L'ARCHITETTO DI DIO
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Giovanni Ricciardi a colloquio con Joan Bassegoda i Nonell

Giovanni Ricciardi che ha curato l'edizione italiana del volume Gaudí – l'architettura dello spirito ha intervistato il prof. Joan Bassegoda in merito all'ispirazione cristiana del grande architetto catalano e all'apertura del suo processo di beatificazione.
L'intervista è compresa nell'Appendice (L'architettetto di Dio) del volume Ares e originariamente fu pubblicata sulle pagine del mensile 30giorni.

Professor Bassegoda, è rimasto sorpreso dall’apertura del processo di beatificazione di Gaudí?
No. La fama di santità di Gaudí (foto) non è una cosa nuova. Alla sua morte, nel 1926, erano moltissimi i testimoni e i collaboratori che lo consideravano già allora un santo. E l’espressione «Gaudí: l’architetto di Dio», che è il motto dell’Associazione per la beatificazione, fu coniata allora. Né mi sorprende che la questione sia rimasta «congelata» per tanti anni. Dopo la morte di Gaudí, venne un periodo difficile. Nel 1931 ci fu la Repubblica, poi la Guerra civile. La Sagrada Familia era rimasta quasi interrotta. Durante la Guerra civile l’hanno bruciata. Poi, dopo la guerra, è venuta la ricostruzione, un processo lungo, c’era scarsità di mezzi. Finalmente, nel 1956, si incomincia la facciata della Passione, e riprende l’opera della Sagrada Familia. Poco prima, nel 1952, era stato commemorato il centenario della nascita di Gaudí. Fu allestita una mostra che girò il mondo e che rappresentò una riscoperta di Gaudí, che era rimasto un po’ in ombra, sia per le note ragioni storiche, e poi perché, quando muore Gaudí, Gropius inaugura il Bauhaus a Dessau, che è la negazione, architettonicamente parlando, di Gaudí.

Lei sottoscriverebbe l’espressione: «Gaudí, architetto di Dio»?
Ràfols, l’autore della prima biografia di Gaudí, che uscì nel 1929, diceva che Gaudí fuori della fede è incomprensibile, se non si ha la fede non lo si può capire. Questa per me è un po’ un’esagerazione. Ma è fuor di dubbio che fu un cristiano esemplare e che visse la fede come il cardine della sua vita e del suo lavoro.

A che cosa si ispira l’architettura di Gaudí?

Gaudí non dipende da una scuola, da uno stile o da un tempo, perché ha sempre cercato la sua ispirazione direttamente nella natura. E, in particolare, nella natura del Mediterraneo. Uno spazio che caratterizza allo stesso modo il Peloponneso e il Camp di Tarragona. La stessa luce, che arriva inclinata a 45 gradi, permettendo un’illuminazione perfetta degli oggetti. E fa vedere chiaramente la realtà. E Gaudí diceva di sé stesso: «Io ho immaginazione, non fantasia». Immaginazione viene da immagine: vedere la realtà delle cose. Le cose come sono, non come la fantasia le elabora. A lui non piaceva la fantasia. Un falegname che lavorava con lui diceva spesso: «Gaudí ha la testa chiara». Quella era la qualità di Gaudí. Aggiungerei: era molto ingenuo, e aveva una grande capacità di osservazione.

In che senso era ingenuo?
Nel senso che aveva un rapporto diretto con la realtà. Aveva, diciamo così, una certa innocenza. Non era capace cioè di una «mediazione intellettuale» di fronte alle cose. Gaudí non è stato mai un intellettuale. Era intelligente, il che è diverso. L’intellettuale gioca con le conoscenze di cui dispone, mentre l’uomo intelligente è quello che guarda la realtà per quello che è. E Gaudí vedeva che la natura fa le cose con assoluta funzionalità: un animale, un albero, una montagna hanno la forma che devono avere e non ne possono avere un’altra. E lui tentava di fare cose funzionali, perché riteneva che la forma più funzionale fosse anche la più bella. Quanto alla bellezza, certo, può essere una questione di gusto, e il gusto è una cosa delicatissima. È chiaro, se uno ha come modello di bellezza i dipinti di Piero della Francesca, la bellezza ideale neoplatonica, così distante dalla realtà... beh, Gaudí è un’altra cosa. È l’esplosione di un’arte diversa, che si pone umilmente «accanto» alla natura.

Quindi c’è anche un atteggiamento di umiltà in questo modo di fare arte...
Gaudí si considerava un «copiatore», non un creatore di forme, perché l’unico Creatore è Dio. Allora cercava le soluzioni nella natura e le trasferiva in architettura. Questa era la sua mentalità, che si potrebbe definire «francescana». È la valorizzazione della creazione, della realtà come opera di Dio, l’idea di unire con un «filo d’oro» la creazione di Dio, la natura, all’architettura.

Gaudí era consapevole del richiamo a Francesco?
Sì, sì, assolutamente. E anche i suoi allievi. Con questo spirito francescano, umile e soprattutto ammiratore della bellezza della natura, Gaudí non ha ripetuto mai una soluzione. Aveva a disposizione una varietà così grande di forme naturali che non aveva bisogno di ripetersi. Al contrario di altri architetti, che trovano una soluzione e la ripetono costantemente.

Lei faceva riferimento al Bauhaus e all’architettura razionalista...
Il movimento razionalista pretende di fuggire dalla complicazione del modernismo, dell’eclettismo e cercare la semplicità. Ma cerca una semplicità che non è «vera», perché le forme cubiche o piane tipiche del razionalismo non esistono in natura. È un’astrazione della forma. Gaudí non è stato mai astratto. Non capiva quello stile.

Eppure molti mettono in relazione l’opera di Gaudí con le teorie di Rudolf Steiner, il fondatore dell’antroposofia, che influenzò largamente l’architettura del ’900...
Gaudí non sapeva niente di Steiner. Nemmeno sapeva chi era. Figuriamoci se gli interessavano le sue teorie antroposofiche. Era un uomo concreto. L’astrazione gli dispiaceva, gli dispiaceva questo modo di vedere la realtà e ridurla a un’altra cosa. La realtà è così e basta. Parole come antroposofia suonano molto bene, ma sono vuote. Sono giochi dell’intelletto.

Molti però pensano che ci sia una sapienza nascosta nelle sue opere.
Su Gaudí si è detto tutto. Che era templare, che era alchimista, che avrebbe scritto frasi che solo un iniziato alla cabala poteva pronunciare. O che era massone. Sono tutte stupidaggini. Chi non riesce a guardare in modo diretto alla bellezza, è costretto a fare dietrologie. La verità è che a molta gente, e specialmente a certi architetti, preoccupa il fatto che due milioni di persone all’anno visitino la Sagrada Familia. Quale architetto riceve un omaggio come questo, settantasei anni dopo la sua morte?

Non aveva il senso del protagonismo, tipico di molti artisti della sua epoca?
Assolutamente no. Non si è mai fatto pubblicità, non ha mai fatto conferenze. Non aveva tempo per spiegare tutto quello che usciva dalla sua testa. Il professor Cardellac, ingegnere e architetto, diceva che lo stesso Gaudí non sapeva il torrente di idee che era nella sua testa. A Gaudí non si poteva «chiedere» un progetto, perché era come una cascata di idee, che spaventava tutti. Spaventava non questa capacità di creare, bensì di vedere le cose della natura e trasferirle in architettura. Alcune delle sue soluzioni architettoniche sono in realtà cose elementari, ma è straordinario pensare che mai nessuno prima di lui le avesse intuite. E Gaudí le vedeva semplicemente perché era un uomo «ingenuo», un uomo molto innocente, con una grande visione della realtà, con una «proprietà» negli occhi: questa capacità di vedere cose che sono logiche. Le porte della Pedrera, per esempio, hanno maniglie di una forma particolare: un disegno molto originale. In realtà, si tratta semplicemente di una forma anatomica. Se si stringe con la mano un materiale duttile e poi si apre la mano, rimane quella forma. Così, le sedie di Gaudí hanno forme che sono «parallele» al corpo umano, perché vi si adattino e servano alla loro funzione. Il problema per Gaudí non è lo stile, ma la funzionalità.

Quindi il realismo di Gaudí è conseguenza diretta di questo voler imparare dalla natura...
Non «voler» imparare. Imparare direttamente! La natura parla, offre soluzioni, Gaudí le prende e le inserisce nella costruzione. Gaudí diceva che il femore è una magnifica colonna, che permette di camminare: se Dio avesse voluto fare questa colonna in una forma dorica, ionica o corinzia, l’avrebbe fatta. Invece l’ha fatta nella forma di un iperboloide, perché funziona meglio. E con questa forma ha disegnato le colonne della facciata della Passione nella Sagrada Familia.

Le colonne sembrano tese in uno sforzo drammatico...
È così. L’architettura di Gaudí ha una forza espressiva straordinaria. Le pietre di Gaudí parlano. Per questo la sua architettura la capiscono meglio i bambini che gli architetti, perché i bambini non hanno pregiudizi, hanno ancora l’innocenza. Vedono una cosa che è piacevole perché somiglia alla natura, e la natura è piacevole. E non soltanto i bambini, ma in genere le persone prive di pregiudizi. Per esempio, Dalí andava con García Lorca a vedere la facciata della Natività, e García Lorca diceva: «Vedendo questa facciata io sento gridare! Sento gente che grida! Guardo più in alto e aumenta il grido, e si mescola col suono delle trombe degli angeli, e non posso resistere...» e doveva chiudere gli occhi e le orecchie... Era un poeta, che ascoltava le pietre parlare. Un poeta ha questa capacità di capire queste cose evidenti, e anche i bambini ce l’hanno. Ma in alcuni c’è invece un’ossessione, per cui le cose troppo chiare diventano oscure. Non riescono a credere che in Gaudí tutto sia così netto, così facile.

È vero che Picasso detestava l’architettura di Gaudí?
Picasso era un grande artista, ma aveva tutt’altra sensibilità. Io non ho mai letto espressioni d’odio di Picasso contro Gaudí, ma è evidente che non c’era una consonanza fra i due. Fra l’altro, non si sono mai conosciuti, perché Picasso si trasferì a Parigi all’inizio del XX secolo. Invece Dalí era un grande ammiratore di Gaudí.

Eppure anche Dalí sembra molto distante dalla sensibilità di Gaudí...
Certamente, ma bisogna anche dire che il Dalí «privato» era molto diverso dall’immagine che dava di sé all’esterno. Il suo personaggio pubblico era calcolatissimo. Certo, sapeva che andare a Parigi o a New York e parlare di religione cristiana non avrebbe giovato al suo successo. Ed era un uomo che teneva innanzitutto alla sua immagine. Proprio il contrario di Gaudí. Lui non poteva capire questi atteggiamenti da «divo». Era occupato con la sua professione. Per lui l’arte era una cosa molto seria. Non ha fatto altro che costruire. Non si è sposato, non ha viaggiato, se non per andare a vedere i cantieri che dirigeva fuori Barcellona. Non ha scritto. Ha pubblicato, quand’era giovane, un solo articolo, l’unico della sua vita. Non ha mai tenuto conferenze. Aveva una dimensione sacra del lavoro, e una grande umiltà nel vivere sempre a stretto contatto con i suoi operai, ai quali illustrava direttamente il lavoro. Ed era un uomo profondamente devoto. Viveva di Messa, di sacramenti, di rosario, della Sacra Scrittura.

Leggeva assiduamente la Bibbia?
Sì, soprattutto l’Apocalisse. E si vede nelle sue opere, tante volte: i 24 vegliardi, le porte di Gerusalemme con gli angeli, le parole Sanctus, Sanctus, Sanctus sulla Sagrada Familia che salgono elicoidalmente, questo «profumo d’incenso» della parola «Santo». Queste cose lo influenzarono molto.

Oltre alla Scrittura, quali erano i suoi libri spirituali?
Leggeva il Messale Romano, che ancora si conserva. E L’Année liturgique di dom Guéranger, abate di Solesmes. Sulla liturgia ne sapeva più dei canonici. Ne era affascinato, perché la liturgia è una cosa che si fa e che si vede, e che si fa in accordo con l’architettura. Lui leggeva tutti i giorni L’Année liturgique perché gli interessava adattare l’architettura alle esigenze della liturgia. Trovò persino il tempo di seguire un corso di canto gregoriano. Inoltre, la Sagrada Familia è ricchissima di riferimenti alla dottrina. Una volta Bergós, uno dei suoi biografi, lo trovò nel cantiere del Tempio con una cartella in mano. Era la pianta della chiesa con le sue simbologie. E Gaudí disse: «Guarda, in questa cartella c’è tutta la dottrina cristiana». Ed è effettivamente così. Andava a Messa tutti i giorni, recitava il rosario, era devoto alla Madonna.
A proposito della devozione a Maria, è vero che Gaudí avrebbe voluto porre in cima alla Pedrera una statua della Vergine del Rosario e che il proprietario, Pedro Milà, gli negò il permesso?
Questo è un fatto molto interessante. Al signor Milà disse che se avesse saputo che gli avrebbero fatto portare via la Madonna, non avrebbe accettato di costruire la Pedrera. Gaudí aveva una grande devozione per la Madonna. Ed effettivamente, nel progetto esiste un disegno della Madonna nell’angolo.

E Milà non lo sapeva?
Milà era uno snob. Aveva sposato una ricchissima vedova e conduceva una vita molto libertina. Di Gaudí ammirava l’originalità, non certo la devozione a Maria. Comunque non si interessava ai dettagli del progetto. Ma quando vide il modello della Madonna in gesso – l’impresario aveva già fatto predisporre il supporto per collocarla – disse di no, disse che non gli piaceva. E Gaudí se ne andò. Poi, il gesuita Ignacio Casanovas lo convinse a ritornare, ma l’anno seguente Milà licenziò il decoratore che collaborava con Gaudí e Gaudí abbandonò definitivamente la direzione dei lavori. Ha lasciato la Pedrera senza finirla. Poi mandò la minuta dei suoi onorari e Milà fu costretto a ipotecare la casa per pagarlo: 100mila pesetas di quel tempo, una fortuna. Gaudí prese il denaro e lo diede a padre Casanovas perché lo distribuisse ai poveri di Barcellona.

E quando morì, all’ospedale dei poveri, non aveva più un soldo...
Era un suo desiderio, l’aveva detto tante volte. Gli sarebbe piaciuto morire fra i poveri, anche se poi lo portarono all’Ospedale della Santa Croce perché quando fu investito dal tram nessuno lo aveva riconosciuto. C’era già andato qualche anno prima. Per rappresentare «la morte del giusto» nella cappella del Rosario, aveva assistito fino alla fine un moribondo senza famiglia. Il giorno in cui fu investito stava andando a piedi al quotidiano colloquio col padre spirituale, Agustín Mas. Arrivava all’Oratorio di san Filippo Neri, parlava col direttore spirituale, faceva la visita al Santissimo Sacramento e poi andava a casa. Normalmente lo faceva tutti i giorni.

La lezione di Gaudí è recepita oggi?
Assolutamente no. Se guardo a certe chiese di oggi, penso proprio di no. Ci sono cose che si possono fare con la tecnica, ma l’architettura non è soltanto tecnica. Gaudí ha fatto architettura anche senza fare architettura. Nel Rosario monumentale che si trova a Montserrat, gli fu affidato di rappresentare il primo Mistero glorioso: la Risurrezione. Gaudí fece un buco nella montagna e vi collocò davanti delle piante aromatiche. E diceva: «Il giorno di Pasqua, queste piante saranno fiorite. Allora il primo raggio di sole arriverà alla tomba di Cristo, vuota. In quell’ora, i passeri cantano più dolcemente e l’acqua messa sulle piante aromatiche evapora col primo sole. E in quel momento si deve celebrare la Messa dell’aurora». Ha fatto architettura senza colonne, senza pilastri, senza pareti. Un buco nella montagna, e l’immagine di Cristo risuscitato.

A cura di Giovanni Ricciardi

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