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sabato 6 ottobre 2012

Le circostanze sono modi attraverso cui il Mistero ci chiama

 La ragione del valore delle circostanze
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La ragione del valore delle circostanze è semplice: «Dio non fa nulla per caso» (L. Giussani, Qui e ora. 1984-1985, Bur, Milano 2009, p. 446). Questa è l’unica lettura vera del reale, delle circostanze. Altro che dietrologie (in cui tante volte ci fermiamo fino a stancarci)! Le circostanze, belle o brutte che siano, tutte, sono modi attraverso cui il Mistero ci chiama. Non sono, come tante volte noi le interpretiamo secondo la nostra misura (cioè il nostro razionalismo), la fregatura da sopportare. Hanno uno scopo ben preciso nel disegno di Dio.
Quale scopo?

Lo si capisce bene a partire dalla concezione di realtà che don Giussani non si è mai stancato di comunicarci e di testimoniarci. Rileggiamo che cosa diceva davanti a una sfida ancora più drammatica di adesso, quando intorno al sessantotto il movimento fu decimato: «Nella vita di chi Egli chiama, Dio non permette che accada qualche cosa, se non per la maturità, se non per una maturazione di coloro che Egli ha chiamati. Questo vale innanzitutto per la vita della persona, ma ultimamente e più profondamente per la vita della sua Chiesa, perciò, analogamente, per la vita di ogni comunità [...]. Dio non permette mai che accada qualche cosa, se non per una nostra maturità, per una nostra maturazione. Anzi [ecco il test che Giussani propone per verificare se stiamo diventando più maturi], è proprio dalla capacità che ognuno di noi e che ogni realtà ecclesiale ha (famiglia, comunità, parrocchia, Chiesa in genere) di valorizzare come strada maturante ciò che appare come obiezione, persecuzione, o comunque come difficoltà, è dalla capacità di rendere strumento e momento di maturazione questo, che si dimostra la verità della fede» (L. Giussani, «La lunga marcia della maturità», Tracce, n. 3/2008, p. 57).
In che cosa consiste, dunque, la nostra maturazione? È la maturazione della nostra autocoscienza, è la generazione di un soggetto in grado di avere consistenza in mezzo a tutte le vicende della vita. Perché le circostanze introducono una lotta: «Allora, è la lotta che ci tiene svegli, e questa lotta è la trama normale della vita: ci tiene svegli, cioè ci matura la consapevolezza di ciò che è la nostra consistenza o la nostra dignità, che è un Altro» (L. Giussani, Certi di alcune grandi cose. 1979-1981, op. cit., p. 389). Le circostanze, perciò, ci sono date perché maturi in noi la consapevolezza di ciò che è la nostra consistenza, affinché noi prendiamo veramente coscienza che la nostra consistenza è un Altro.
Per vedere bene qual è la modalità con cui noi di solito affrontiamo queste sfide, basta che facciamo un paragone col canto che abbiamo appena cantato, Il mio volto, e che ci lasciamo colpire da esso. Perché questo canto - mi sono sorpreso a pensarlo spesso negli ultimi tempi - sarebbe quasi impossibile che qualcuno di noi lo scrivesse oggi... «Mio Dio, mi guardo ed ecco scopro / che non ho volto; / guardo il mio fondo e vedo il buio / senza fine [verificate che cosa facciamo noi quando vediamo il buio senza fine, come lo affrontiamo, come reagiamo, come ci agitiamo, e poi paragoniamolo con quel che dice il canto]. // Solo quando mi accorgo che tu sei, / come un’eco risento la mia voce / e rinasco» (A. Mascagni, «Il mio volto», Canti, Coop. Ed. Nuovo Mondo, Milano 2007, p. 203). Quante volte, davanti al buio, ciascuno di noi si sorprende a fare il percorso che descrive il canto? E invece quante volte arriviamo al buio e ci agitiamo cercando una conferma al di fuori dell’esperienza per aggrapparci a qualcosa? Per questo dico: oggi chi sarebbe in grado di comporre un canto così? Immaginate, invece, se ogni volta che uno è nel buio, facesse quello che il canto dice: guardare il fondo, senza rimanere a un uso ridotto della ragione, fin quando riconosce il Tu che è al fondo di ogni buio. Che autocoscienza di sé acquisterebbe ogni volta! Che capacità di vivere nella verità di sé, non determinato costantemente dal buio, non dovendo costantemente fuggire dal buio, perché ha incontrato lì, in fondo al buio, in fondo al reale, in fondo a se stesso, che cosa lo costituisce! E qual è il segno? Non che ho altri pensieri o altri sentimenti. No! Lo riconosco da un fatto reale: che io rinasco.
......Davanti a ogni circostanza e a ogni sfida, che sono costanti, io sono costretto a decidere se rimanere nel lamento oppure se guardarla come la possibilità attraverso cui il Mistero chiama me al rinnovamento della mia autocoscienza.
Il problema non è che ci tolgano il buio, o che ci risparmino certi attacchi; «il vero nostro problema è uscire dall’immaturità» (L. Giussani
...«Vivere la vocazione significa tendere al destino per cui la vita è fatta. Tale destino è Mistero, non può essere descritto e immaginato. È fissato dallo stesso Mistero che ci dà la vita. Vivere la vita come vocazione significa tendere al Mistero attraverso le circostanze in cui il Signore ci fa passare, rispondendo ad esse. [...] La vocazione è andare al destino abbracciando tutte le circostanze attraverso cui il destino ci fa passare» (L. Giussani, Realtà e giovinezza. La sfida, SEI, Torino 1995, pp. 49-50
  ....Perciò tutte le circostanze per cui il Signore ci fa passare sono per maturare in noi «l’autocoscienza, una percezione chiara ed amorosa di sé, carica della consapevolezza del proprio destino e dunque capace di affezione a sé vera, liberata dall’ottusità istintiva dell’amor proprio. Se smarriamo questa identità, nulla ci giova» (L. Giussani, «È venuto il tempo della persona», op. cit., p. 12)

 Carron da: La vita come vocazione

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