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giovedì 25 ottobre 2012

Schweitzer e padre Carlo: è meglio la santità o la perfezione?

CESBRON/ Schweitzer e padre Carlo: è meglio la
santità o la perfezione?

Giovanni Fighera
giovedì 25 ottobre 2012
Nel 1954 Gilbert Cesbron (1913-1979) scrive il testo teatrale È mezzanotte, Dottor Schweitzer. Teologo
protestante e musicista, partito missionario per l’Africa, Albert Schweitzer è tutto animato da questo desiderio
che la sua vita sia ben vissuta tanto che ha modo di scrivere: «Una vita va spesa e vorrei che la mia fosse spesa, e
poi spesa bene».
Nell’opera di Cesbron diventa il protagonista di una vicenda ambientata nel 1914, dopo lo scoppio della Prima
guerra mondiale, nella giungla vicino a Lambaréné nel Congo francese.
Già nel primo atto Schweitzer appare in
tutta la sua tenacia e laboriosità indefessa. Ha rinunciato a tutto, ad una splendida carriera di musicista, alla
professione di chirurgo, ai soldi, alla famiglia. Giunto in Africa per guarire gli ammalati e per far costruire
ospedali, sta sacrificando la sua vita, ma non è felice. A Maria, sua aiutante infermiera, di notte confida: «Siamo
in piena notte, in piena boscaglia e soli, però non esito a confidarle questa verità che ho messo tanti anni ad
accettare: la felicità non esiste…
Ma se lei è degna di questa felicità, capisce allora che non ne ha diritto: che deve
assumere una parte del fardello del dolore umano… Allora, si abbandona la felicità e si sceglie la gioia».
Rendendosi conto che non è cambiato quasi nulla negli anni trascorsi, il dottore si sente sconfitto.
Al contrario, 
Maria, però, né si accontenta della risposta del dottore (la felicità non esiste), né tanto meno può credere a Padre Carlo quando questi le dice che la felicità è sempre sfuggente perché la possiamo vedere solo quando è passata. Quando si guarda allo specchio alla mattina, si rende conto che vuole essere felice, e presto.
Lei sta attendendo qualcosa proprio lì in Africa.
Padre Carlo le dice che «l’eroismo consiste nel credere ancora
all’idea dopo che si è visto gli esseri miserabili che la incarnano»
. Non si può mai costruire qualcosa di grande quando si opera contro qualcosa (la fame, la povertà, l’ignoranza, …), solo quando si lavora per qualcuno si opera davvero. L’errore dell’uomo è spesso nella sua presunzione che lo porta a voler essere perfetto, buono, e non a desiderare di essere santo.
 

Dopo aver incontrato il vecchio amico, ora comandante Hervé Lieuvin, Padre Carlo lo
riabbraccia. Grande è la sorpresa del comandante che non riesce a credere che un tipo come lui sia ora un uomo
di Dio. Ma Padre Carlo gli spiega che Dio «quando ci impegna per la sua lotta, ci prende come siamo tutti interi: il buono e il cattivo.
Se metti un ceppo al fuoco, tutto brucia: anche i vermi che lo divorano». Padre Carlo fra tutti i missionari è quello
che ha avuto meno conversioni, ma il tempo, lui lo sa bene, non è nostro («Si fa del bene nella misura di ciò che si
è… Occorre che lavori ancora alla mia conversione personale prima di pretendere…»). Sa bene che il significato
del tempo si comprende meglio nella preghiera che nell’azione e che si può rinascere in ogni momento («Questa è
la meraviglia del Cristo»).
Nel secondo atto Maria confessa il proprio amore al comandante Lieuvin. Presa tra due fuochi (anche Leblanc
infatti la ama), incerta se la sua missione abbia un significato, decide che professerà il proprio amore per Lieuvin.
La guerra in Europa è ormai iniziata e sta per portare conseguenze anche lì, nelle lontane regioni africane. Una
notte, Padre Carlo decide di attraversare la boscaglia senza scorta, nonostante le avvisaglie di scontri. Lui,
portatore di amore e denominato dagli indigeni uomo «dalle mani aperte», viene preso e assassinato. La notizia
giunge rapidamente a Maria, a Lieuvin, a Leblanc e al dottor Schweitzer. Il volto di Padre Carlo porta ancora le
tracce della letizia e nelle sue mani viene ritrovato un foglio con la scritta «Vivere come se oggi tu dovessi morire
martire!». Le ultime parole che il Dottore ha ricevuto da Padre Carlo per Maria sono: «Le dica che penso alla sua
anima; mi raccomando, glielo dica, questa notte». Lieuvin tornerà in Europa, mentre a mezzanotte Schweitzer, in
quanto cittadino tedesco, verrà arrestato perché la Francia è in guerra con la Germania.
Padre Carlo è l’uomo che guarda e segue l’ideale che ha incontrato, senza ripensamenti, e non si perde nelle proprie misure, nelle valutazioni sui risultati. Dopo la morte di Charles de Foucauld, quante conversioni e vocazioni ci sono state, quanti diedero vita a comunità differenti che si ispiravano a Gesù. Queste comunità formano oggi, tutte insieme, l’Associazione internazionale «Fratel Carlo di Gesù». I tempi del Signore non sono i  nostri tempi. Nella tradizione cristiana Padre Carlo è il santo. Non è il buono o colui che si sforza di migliorarsi,
non è un superuomo, piuttosto è un uomo vero, perché aderisce alla bellezza e alla verità dell’incntro con Cristo e, come o colui che è trascinato da un grande amore, vive la densità dell’istante tutto preso dalla memoria del suo volto e desidera che anche gli altri possano incontrare la pienezza e il fascino che lui ha visto. Per la tradizione cristiana il santo è, perciò, un uomo vero, riflesso di Cristo, l’unico in cui l’umanità si è compiuta in tutta la sua
potenzialità
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