Alois è stata un'altra vittima in più di Dachau, una figura sconosciuta
che ciononostante si comincia a ricordare. È nato a Radibor Silesia, il
quarto tra sei fratelli. Anche i suoi due fratelli maggiori erano
sacerdoti. Era stato arrestato per le sue "attività sediziose" contro il
regime nazista - la sua influenza "malefica" sui giovani - è stato
arrestato e rinchiuso in campo di concentramento. Secondo i dati
storici, Alois era un sacerdote molto vitale, lavoratore, pieno di vita e
perfino acrobata. Rallegrava i suoi compagni di prigionia camminando
sulle mani, sicuramente una figura eccentrica e divertente, per coloro
che vivevano nell'inferno di Dachau, come lo si conosce comunemente (P.
Sales Hess, "Dachau, eine Welt ohne Gott", Un mondo senza Dio). Era
entrato al campo di concentramento il 2 ottobre 1941, dopo essere stato
arrestato dalla polizia nazista in due occasioni, essendosi convertito
in una "persona pericolosa" per il regime di Hitler e i suoi seguaci.
Nel campo di concentramento aveva aderito ad uno dei gruppi di
Schoenstatt, di cui i leader erano due sacerdoti schoenstattiani: Josef
Fischer ed Heinz Dresbach. E' stato beatificato il 13 giugno 2011.
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il primo beato serbo e il primo martire che
camminava sulle sue mani.
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È “subdolo” ed ha un’influenza “malefica”
sui giovani e per un prete è il miglior complimento, se a giudicarlo
così è la Gestapo, che guarda con sospetto e perseguita proprio i preti
più entusiasti e che hanno il maggior ascendete sui giovani. La vita di
don Luigi Andritzki è tutta qui, se vogliamo, perché è limpida e
coerente. E anche breve, perché si esaurisce nell’arco di appena 29
anni, di cui solo 4 di sacerdozio. Di famiglia serba, nasce nel 1914
nella Germania sud-orientale, da genitori insegnanti e buoni cattolici,
al punto che, proprio nel buio del regime nazista, ben tre dei loro
figli entrano in seminario. Lui, Luigi, è un giovane brillante, sportivo
e dinamico quando a 20 anni decide di farsi prete; ordinato nel 1939,
comincia ad esercitare a Desdra,mettendo in moto le identiche qualità.
Sono soprattutto i giovani a subire il suo fascino, perché sa parlare
loro di Dio anche attraverso il nuoto, il disegno e la ginnastica,
organizzando partite di calcio e scuole di musica. Proprio per questo i
nazisti cominciano a tenerlo costantemente sotto osservazione: parla
troppo bene, è troppo critico verso il regime, riesce ad intercettare i
giovani ed a farsi seguire. Tutte cose che, messe insieme, costituiscono
più di un capo d’accusa nei suoi confronti. “Queste sono solo
schermaglie, il peggio deve ancora venire”, dice ai suoi ragazzi a
Natale 1940: è pienamente cosciente dei rischi cui va incontro, oltre ad
essere un osservatore attento e lucido della situazione politica che
sta vivendo. “Fra un paio d’anni saremo ghigliottinati tutti”, dice
profeticamente; nemmeno un mese dopo lo arrestano, al termine di una
rappresentazione teatrale in cui ha cercato di spiegare ai giovani la
fine che faranno i cristiani durante la seconda guerra mondiale.
Processato come “nemico dello stato” e giudicato colpevole di aver
sferrato attacchi feroci al governo ed al partito con la sua
predicazione ed il suo apostolato tra i giovani, viene condannato a sei
mesi di carcere, terminati i quali viene deportato a Dachau.
“Considerato il comportamento di suo figlio, si deve purtroppo ritenere
che questi continuerebbe a perseverare nelle sue eretiche calunnie
contro lo Stato”, scrive la cancelleria di Hitler, respingendo la
commovente supplica di scarcerazione inoltrata da papà Andritzki: nella
sua lucida perfidia, la Gestapo è pienamente consapevole del coraggio e
dell’inflessibilità di don Luigi. Che non si smentisce neanche nel
lager, stringendo con un amico benedettino, nel momento in cui vi entra
il 10 ottobre 1941, un patto “eroico”: “Non ci lamenteremo mai. Non
abbandoneremo il nostro contegno. Non dimenticheremo neanche per un
attimo il nostro sacerdozio”. Il che è più facile a dirsi che a farsi,
quando i mesi si protraggono, le umiliazioni abbondano, il cibo è
insufficiente, il lavoro forzato sfibra anche i più robusti. A quei
poveri esseri strappano via tutto, anche la dignità; solo il sorriso non
riescono a rubare dal volto di don Luigi. “Era una specie di don
Bosco”, dicono adesso di lui, “curava i malati, sosteneva gli anziani,
consolava chi era triste”, naturalmente sorridendo sempre. Fino a che
gli restano le forze fa anche l’equilibrista, camminando sulle mani per
strappare un sorriso ai compagni di prigionia. “Chi lo vedeva al mattino
restava pieno di gioia per tutta la giornata”,dice un testimone,
neanche forse accorgendosi della gran bella cosa che sta dicendo di quel
prete gioioso. Che a Natale 1942 si ammala di tifo e viene portato in
infermeria. Il 3 febbraio 1943 chiede di poter ricevere la comunione e
beffardamente il guardiano del reparto gli offre un’iniezione letale.
Finisce così la vita breve del prete che sorrideva sempre e che un anno
prima aveva scritto: “Se ora non possiamo essere i seminatori cerchiamo
di essere almeno il seme, per portare abbondanza di frutti al tempo
della raccolta”. Lunedì 13 giugno 2011 don Luigi Andritzki è stato
beatificato a Desdra: è il primo beato serbo e il primo martire che
camminava sulle sue mani. |
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