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mercoledì 29 gennaio 2014

Grossman e l’identità tra comunismo e nazismo

Grossman e l’identità tra comunismo e nazismo: «Tutto comincia con la sostituzione della realtà con l’ideologia»

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gennaio 29, 2014 Francesco Amicone
Per il grande scrittore russo emarginato dal regime sovietico dopo “Vita e destino” la dinamica totalitaria non è isolata nella storia del Novecento ma riguarda ogni uomo. Ne ha parlato Pietro Tosco, esperto della sua opera
medium_Grossman3«I totalitarismi sono due – comunismo e nazismo – e sono fratelli». Con queste parole il direttore esecutivo dello Study Center Vasilij Grossman, Pietro Tosco, ha spiegato cosa intendesse dire il grande autore russo nel suo capolavoro Vita e destino. «La tesi eretica, esplosiva di Grossman», contenuta nel libro che lo condannò all’emarginazione e alla povertà, ha spiegato Tosco durante una conferenza a Carate Brianza organizzata dall’Istituto Don Carlo Gnocchi, «è il pensiero che i due totalitarismi, nazismo e comunismo, sono l’uno lo specchio dell’altro», e che anzi sono «identici, perché identico è il loro principio ideologico».
COMUNISMO COME IL NAZISMO. La tesi appartiene a uno dei più grandi scrittori russi, nonché brillante corrispondente dal fronte del giornale dell’Armata rossa, e ha fatto indignare molti apologeti del comunismo sovietico. Grossman non aveva il problema di districarsi fra giustificazioni e distinzioni fra i due totalitarismi. Faceva parte dell’élite intellettuale del regime ed era uno dei giornalisti sovietici più celebri in tempo di guerra, il primo a mettere il piede in un campo di concentramento nazista, a Treblinka. Nonostante la sua posizione privilegiata, non si è tirato indietro davanti all’evidenza. Subito dopo la guerra «Grossman si rende conto che i due grandi totalitarismi, i due grandi eserciti che a Stalingrado si erano fronteggiati come due grandi nemici, in realtà hanno qualcosa in comune».
comunismo-guardian-jpg-crop_displayI TOTALITARISMI. Dell’uguaglianza fra i due totalitarismi, che ha origine nel mezzo dei combattimenti, «Grossman si accorge all’indomani della guerra mondiale», ha affermato Tosco. «La guerra è stata vinta da ciascun singolo soldato dell’Armata rossa ma viene impugnata dal partito sul banco dei vincitori per giustificare il passato». Per lo scrittore russo, Stalin, che con Hitler aveva sottoscritto il patto di non aggressione Molotov-Ribbentropp (con annessa spartizione della Polonia), «non è l’elemento negativo di un processo cominciato in positivo, ma la conseguenza necessaria che in Russia è cominciata con il padre della rivoluzione, Lenin». Dunque per Grossman, ha proseguito Tosco, «è il comunismo e non lo stalinismo a essere totalitario».
LO STATO DI PARTITO. «Per lo scrittore, russo i due totalitarismi non hanno un’analogia soltanto nella violenza», ha proseguito Tosco. Grossman può tracciare la simmetria dei due regimi sulla base di un principio di identità che viene ancora prima della violenza: lo «Stato di partito». Cioè, ha ha spiegato Tosco, «una realtà che dipende dalla volontà del partito, dove l’ideologia viene eretta a principio assoluto e sostituita alla realtà stessa». Questo terreno comune fra nazismo e comunismo, Grossman lo descrive narrativamente in Vita e destino nel dialogo notturno fra il gerarca nazista Liss e il rivoluzionario bolscevico Mostovskoj. Nella conversazione il nazista Liss pone il comunista Mostovskoj di fronte a una deduzione elementare: «Noi siamo le forme differenti di un unico essere, lo Stato partitico». Grossman non si ferma qui, e fa dire a Liss: «Quando ci guardiamo in faccia l’un l’altro, noi guardiamo uno specchio», per questo «non riesco a spiegarmi il motivo della nostra inimicizia».
Stalin_lg_zlx1KULAKI ED EBREI. Dove ha inizio l’ideologia? Nelle parole. Quando il loro significato viene sostituito e «la realtà diventa quello che di essa si debba dire». Secondo Tosco, lo aveva bene in mente Grossman, che in Tutto scorre, con una riflessione sui “kulaki”, gli agricoltori “benestanti” sterminati da Stalin, scrive: «Per ucciderli, si è dovuto spiegare che i kulaki non erano uomini. Sì, come quando i tedeschi dicevano: i giudei non sono uomini. Allo stesso modo Lenin e Stalin: i kulaki non sono uomini». «Dunque entrambi i regimi, per Grossman, introducono una barriera tra l’uomo e la realtà, la cui origine ha a che fare con la menzogna, con la parola», ha proseguito Tosco. «La violenza prima di essere fisica è linguistica». Così, ha affermato l’esperto dell’opera grossmaniana, «come nella Germania nazista non si parlava di sterminio di ebrei ma di “soluzione finale” così in Unione Sovietica non si diceva fucilazioni di massa ma “misura di profilassi sociale”». Come gli ebrei furono considerati nemici di fatto del nazismo e della razza ariana, «in Unione Sovietica si arrivò al principio assurdo del “nemico oggettivo”, che è tale perché esiste e non per quello che fa».
TUTTI POSSONO ESSERE IDEOLOGICI. «La forza di Grossman sta nell’individuare la dinamica ideologica non come isolata nella storia del Novecento, ma come una dinamica umana», ha continuato Tosco. «Ciascun uomo può essere ideologico» è un’affermazione che il narratore russo, ha puntualizzato l’esperto, «sosteneva sulla base della tradizione ebraica, che aveva riscoperto durante la guerra». Evidente in questo senso è «il richiamo dell’ideologia alla forza dinamica dell’idolo, di cui parlano i salmi». Come l’ideologia, l’idolo, ha spiegato Tosco, è ciò che «dice di essere qualcosa che non è, promettendo qualcosa che non può mantenere». «Alla gabbia dell’ideologia, Grossman contrapponeva non un’altra ideologia», ha concluso Tosco, «bensì ciò che nella tradizione ebraica è definito “cuore”, qualcosa che tutti gli esseri umani hanno in comune e che niente può ingabbiare, che la tradizione occidentale ha chiamato libertà».

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