Le tentazioni di Gesù
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Scritto da: magiulu in Società
Non tenterete il Signore vostro Dio
Così l’interrogativo circa la struttura
del curioso dialogo scritturistico tra Cristo e il tentatore conduce
direttamente al cuore della questione contenutistica. Di che cosa si
tratta? Questa tentazione è stata messa in relazione con il motivo del panem et circenses: dopo il pane deve essere offerto qualcosa di sensazionale. Dal
momento che, evidentemente, all’uomo non basta soddisfare solo la
fame del corpo, colui che non vuole permettere a Dio di entrare nel
mondo e negli uomini deve offrire il prurito di esperienze eccitanti, il
cui brivido sostituisca la commozione religiosa e la reprima. Ma
non può essere che di ciò si parli in questo passo, dato che nella
tentazione, a quanto pare, non sono previsti degli spettatori.
Il punto in questione si palesa nella risposta di Gesù che è presa di nuovo dal Deuteronomio (6,16): "Non tenterete il Signore vostro Dio".
Nel Deuteronomio questo è un accenno alla vicenda di Israele che
rischiava di morire di sete nel deserto. Si arriva alla ribellione
contro Mosè, che diventa una ribellione contro Dio. Dio deve dimostrare
di essere Dio. Questa ribellione contro Dio viene così descritta nella
Bibbia: "Misero alla prova il Signore dicendo: Il Signore è in mezzo a noi, sì o no? "(Es 17,7).
Si tratta dunque di ciò a cui abbiamo già accennato prima: Dio deve
sottoporsi a un esperimento. Viene "provato" così come si provano le
merci. Deve sottostare alle condizioni che noi riteniamo necessarie per
ottenere una certezza. Se Egli ora non garantisce la protezione promessa
nel Salmo 91, allora non è Dio. Allora ha smentito la sua parola e così
facendo ha smentito se stesso.
Abbiamo qui davanti a noi in tutta la
sua ampiezza il grande interrogativo di come si possa conoscere Dio e
come si possa non conoscerlo, di come l’uomo possa stare in rapporto con
Lui e come possa smarrirlo. La presunzione, che vuole fare di
Dio un oggetto e imporgli le nostre condizioni sperimentali da
laboratorio, non può trovare Dio. Infatti si basa già sul
presupposto che noi neghiamo Dio in quanto Dio, perché ci poniamo al di
sopra di Lui. Perché mettiamo da parte l’intera dimensione dell’amore,
dell’ascolto interiore, e riconosciamo come reale solo ciò che è
sperimentabile, che ci è stato posto nelle mani. Chi la pensa in questo
modo fa di se stesso Dio e degrada così facendo non solo Dio, ma il
mondo e se stesso.
A partire da questa scena sul pinnacolo
del tempio si apre anche lo sguardo sulla croce.Cristo non si è gettato
dal pinnacolo del tempio. Non è saltato nell’abisso. Non ha messo alla
prova Dio. Ma è sceso nell’abisso della morte, nella notte dell’abbandono, nell’essere in balìa che è proprio degli inermi. Ha osato questo salto
come atto dell’amore di Dio verso gli uomini. E perciò sapeva che,
saltando, alla fine avrebbe potuto soltanto cadere nelle mani benevole
del Padre. Così si palesa il vero senso del Salmo 91, il diritto a
quell’estrema e illimitata fiducia di cui in esso si parla: chi
segue la volontà di Dio sa che in mezzo a tutti gli orrori che può
incontrare non perderà mai un’ultima protezione. Sa che il fondamento
del mondo è l’amore e che quindi anche là dove nessun uomo può o vuole
aiutarlo, egli può andare avanti riponendo la sua fiducia in Colui che
lo ama. Tale fiducia, a cui ci autorizza la Scrittura e alla
quale il Signore, il Risorto, ci invita, è però qualcosa di
completamente diverso dalla sfida avventurosa a Dio che vuole fare di
Lui il nostro servo. (continua)
Tratto da "Gesù di Nazaret" di Joseph Ratzinger, Ed. Rizzoli
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