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domenica 12 gennaio 2014

Cinquant'anni fa, Benedetta Bianchi Porro


6/01/2014 

Cinquant'anni fa, Benedetta Bianchi Porro

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Un'immagine di Benedetta Bianchi Porro
Un'immagine di Benedetta Bianchi Porro

Nel gennaio 1964 si spegneva a Sirmione la giovane dichiarata "venerabile" nel 1993

MARCO BOLLINI


Queste le parole, o meglio, la professione di fede nella vita eterna che chi entra nella Badia di S. Andrea in Dovadola (Forlì) può leggere sul sarcofago contenente le spoglie mortali di una giovane, Benedetta Bianchi Porro, di cui quest'anno ricorre il 50° anniversario della morte (morì infatti a Sirmione il 23 gennaio 1964). Il tempo trascorso dalla morte, non ha tuttavia fatto diminuire il ricordo di questa giovane anche grazie alla pubblicazione, in moltissime lingue, dei suoi scritti (lettere, diari, pensieri) curata dagli Amici di Benedetta, l'associazione che cura la diffusione degli scritti e delle biografie di questa giovane.


Benedetta nasce l'8 agosto 1936, a Dovadola, e la sua nascita è segnata subito dalla sofferenza; un'improvvisa emorragia induce la madre a battezzarla immediatamente (il Battesimo sarà integrato qualche giorno dopo); in più si aggiungono i sintomi di una poliomelite che la fa apparire menomata ad una gamba, e perciò derisa dai suoi coetanei.


La sua infanzia è vissuta negli anni del secondo conflitto mondiale, di cui si trova nei suoi diari solo un bagliore riflesso. Dal 1945 al 1951 si trasferisce a Forlì con la famiglia.

Nel 1951 si trasferisce a Sirmione, dove vivrà, ad eccezione dei ricoveri ospedalieri, per tutto il resto della sua vita; sono gli anni del liceo, dell'amicizia intensa, profonda con Anna: Tu sei la mia prima amica, e amica per me vuol dire qualcosa di più di quel che gli altri intendono. L'amica dev'essere qualcosa di noi stessi e tu sei per me la metà dell'anima mia, l'acqua in cui io mi specchio.  In questo periodo Benedetta comincia ad avvertire i primi sintomi della sordità, prima manifestazione di quella che poi sarà la malattia che la condurrà alla morte.


A 17 anni, dopo aver saltato la terza liceo, Benedetta si iscrive all'Università, inizialmente, per compiacere il padre, alla Facoltà di Fisica. Ben presto però si accorge di non essere portata per quel tipo di studi e passa a Medicina, che affronta, parole sue, con ardore, avendo sempre sognato di diventare medico. Voglio vivere, lottare, sacrificarmi per tutti gli uomini. Intanto la sordità è quasi totale, al punto che Benedetta è costretta dapprima a farsi accompagnare da un'amica perchè possa rispondere all'appello in sua vece, poi all'aggravarsi della sordità chiede di essere interrogata per iscritto; il professore irritato getta il libretto, ma l'esame viene ridato e superato. Nel Natale 1956 si manifestano i primi sintomi di una malattia di cui evidentemente la sordità è solo una manifestazione; Benedetta riesce, da sola, a fare la diagnosi della malattia: neurofibromatosi diffusa. Il 27 giugno del '57 è operata per la prima volta alla testa; in conseguenza le si paralizza il nervo facciale sinistro. Nonostante questo sostiene e supera altri esami universitari, fino al 29 giugno 1959, quando sostiene, con esito negativo, l'ultimo esame. Il 7 agosto dello stesso anno viene operata al midollo spinale; da questo momento sarà paralizzata agli arti inferiori, costretta dapprima in poltrona, poi a letto. Perde anche il gusto, il tatto, l'odorato. Le lettere di questo periodo fanno, di contro emergere il cammino interiore straordinario compiuto da questa giovane, un cammino che sarà condiviso da altri amici che la accompagneranno gradatamente all'Incontro con il suo sposo. Nel maggio '62 parte per Lourdes, da cui torna con queste parole: Sono andata a Lourdes a chiedere la guarigione, ma il criterio di Dio supera il nostro ed egli agisce sempre per il nostro bene. In quel pellegrinaggio avviene anche la guarigione di un'altra ammalata.

Il 27 febbraio 1963 Benedetta subisce l'ultima operazione alla testa. Come conseguenza, il giorno seguente si manifesta la cecità. Eppure, anche in questo frangente, le sue lettere lasciano trasparire la serenità di chi sta lottando eroicamente per abbandonarsi alla volontà di Dio: Nella tristezza della mia sordità e nella più buia delle mie solitudini ho cercato con la volontà di essere serena per far fiorire il mio dolore...

Nell'estate di quell'anno Benedetta torna a Lourdes, da dove torna, ancora una volta, con queste profondissime parole:  ed io mi sono accorta più che mai della ricchezza del mio stato, e non desidero altro che conservarlo. È stato questo per me il miracolo di Lourdes, quest'anno.Fra Natale di quell'anno e il Capodanno 1964 Benedetta torna a Milano, e rivede gli amici. Muore il 23 gennaio 1964, in quel momento una rosa bianca fiorisce nel giardino di casa, ricordo di una visione precedentemente comunicata ad un'amica.

La Causa di Beatificazione partita sul finire degli anni '70 è ora approdata, dal 1993, al traguardo della Venerabilità di Benedetta; si attende ora un miracolo per giungere alla Beatificazione. Nel frattempo si è avverato ciò che scrisse nella famosissima lettera a Natalino: Fra poco io non sarò più che un nome, ma il mio spirito vivrà qui, fra i miei, e non avrò neppure io sofferto invano. Benedetta cioè continua a vivere nei suoi scritti, pubblicati in molte lingue.

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