La famiglia: priorità e specificità. Intervento di Fabrice Hadjadj
al “Forum della Famiglia” [“Grenelle de la Famille”] - Parigi, 8 marzo
2014
***
Tra le iniziative seguite a “La Manif pour Tous”, che sta portando
una vasta azione di contrasto alle politiche francesi antiumane, è da
menzionare il “Grenelle de la Famille” (“Forum della Famiglia”). Dal
sito - http://www.lamanifpourtous.fr/grenelledelafamille/ - si legge che
il Forum ha «l’obiettivo di preparare una legge-quadro sulla famiglia,
che costituirà un’alternativa al progetto di legge previsto da parte del
governo per la fine dell’anno». Esperti e persone di buona volontà
produrranno una sintesi sull’argomento, allo scopo di «definire un
nucleo di valori comuni non negoziabili e riferiti alla famiglia».
Tali
principi saranno resi noti agli elettori e, «parallelamente, un’equipe
di giuristi redigerà, a partire dai principi confermati, un progetto di
legge quadro sulla famiglia, che sarà sostenuto da un gruppo di
deputati».
Il giorno 8 marzo, a Parigi, presso il Palais de la
Mutualité, si è riunito il primo Grenelle. Tra le molte voci autorevoli è
da menzionare quella del filosofo Fabrice Hadjadj, ebreo convertitosi
nel 1998 al cristianesimo, che ha concluso i lavori con un’acuta
conferenza sulle basi metafisiche della famiglia. Qua in basso è
riportata la traduzione integrale dell’intervento.
“Che cos’è una famiglia?”
di Fabrice Hadjadj
1. Cos’è una famiglia?
È sorprendente che noi siamo qui, insieme, per porre tale questione e
alcuni sono tenuti a credere che il nostro approccio non potrà che
condurre sia alla ripetizione di cose banali, sia alla complicazione
delle cose semplici. Ma non abbiamo altra possibilità, dopo una simile
domanda, che di sfondare delle porte aperte o di tagliare i capelli in
quattro. E allo stesso tempo, si suppone, le prime evidenze si
nascondono sempre nella loro luce. Essa non è come il naso sulla mia
faccia, troppo vicino per essere visto; né come il paesaggio cento volte
attraversato, così ben noto che svanisce. Ma è, soprattutto, come una
sorgente che rischiara e fonda le altre cose, ma che non può, d’altro
canto, essere fondata e schiarita da se stessa. Dinnanzi a questa
sorgente siamo come dei sonnambuli che vorrebbero guardare il sole in
faccia.
Noi tutti proveniamo da una famiglia, siamo tutti
riconosciuti da un cognome, abbiamo tutti una certa famiglia d’origine.
La famiglia è un fondamento. Ora, se essa è un fondamento, non sapremmo
«fondare la famiglia». Se essa si pone al principio delle nostre vite
concrete, diviene impossibile giustificarla o esplicarla, perché
bisognerebbe richiamare un principio anteriore - e la famiglia non
sarebbe più che una realtà secondaria e derivata, non una matrice. I
teorici che vorrebbero che la prima comunità umana fosse istituita da un
contratto, ratificato tra individui asessuati e solitari, dichiarano
essi stessi che si tratta di una finzione, di una ipotesi di lavoro e
non di una realtà [1]. Non esiste, a livello umano, un principio
anteriore alla famiglia. Non si può dunque esplicarlo o giustificarlo,
ma solamente esplicitarne la presenza, che ci sta sempre di fronte.
Ed
è per questo che è così difficile contrastare coloro i quali attaccano
la famiglia nella sua evidenza. Sostenere che l’uomo discende dalla
scimmia è più facile che sostenere che un bambino discende da un uomo e
da una donna poiché, nel primo caso, la tesi reclama effettivamente
delle spiegazioni (numerose anche), mentre nel secondo non c’è niente da
spiegare: non è nemmeno una teoria, ma un dato assolutamente originale,
come l’esistenza del mondo esterno. E come provare che il mondo esterno
esiste? Come mostrare a qualcuno che il sole è chiaro?
2. E tuttavia il sole svela i colori e quindi, indirettamente, si manifesta.
E la famiglia, di cui dobbiamo parlare, rivela e si svela. Dov’è una
contesa, questa si rivela. Essa non si rivela che sulle strade, in noi,
nelle nostre braghe. Oso dire, piaccia o no, che essa si rivela bene
tanto alla Chiesa, che in una serata Lgbt; tanto per la barba di un
frate cappuccino, che di una Femen. Dovrebbe essere un angelo colui al
quale essa non si manifestasse più.
Tale manifestazione è così
convincente che noi assistiamo, negli ultimi decenni, a uno strano
ritorno dell’avversione familiare da parte degli stessi che volevano
sbarazzarsi della famiglia. Coloro i quali denunciavano la famiglia come
l’istituzione repressiva e oppressiva per definizione, vogliono oggi
fare del bambino il prodotto di una manipolazione genetica (giacché
l’uguaglianza reclama che due femmine o due maschi possano comunque
averne, con i propri gameti). Tutto questo è andato ben al di là
dell’oppressione o della repressione, poiché ciò significa correre verso
una fabbricazione pura e semplice e fare del bambino, dispoticamente,
l’oggetto d’una pianificazione, il compimento d’un’astrazione e, più
ancora, una cavia da laboratorio. Questa contraddizione prova che non si
può decostruire il naturale, ma soltanto costruirne accanto il
simulacro, così come si fabbrica un’intelligenza artificiale da quel
poco che abbiamo capito dell’intelligenza umana.
3. Cos’è dunque una famiglia? I più ben intenzionati insistono su alcuni elementi definitori. Io ne ricorderei tre:
1)
La famiglia è, innanzi tutto, il luogo del primo amore. È fondamentale
che i genitori s’amino e che il bambino sia amato: altrimenti la
famiglia non potrà che disseccarsi e decomporsi.
2) La famiglia è
il luogo della prima educazione. Il bambino vi nasce a partire da un
progetto genitoriale responsabile, dove si guarda al suo suo futuro,
alla sua edificazione, alla sua qualificazione con la maggiore
competenza raggiungibile.
3) La famiglia umana è anche un luogo
di rispetto delle libertà. I genitori si sono uniti per un contratto e,
attraverso la loro missione educativa, essi contribuiscono non a
rinforzare la dipendenza, ma a promuovere l’autonomia del bambino.
Noi
insistiamo spesso su queste caratteristiche, poiché badiamo al bene del
bambino. Ma così facendo ci perdiamo l’essenza della famiglia sicché,
anche se pensiamo di difenderla, affiliamo invece le armi che permettono
d’attaccarla. Preoccupandosi troppo del benessere del bambino, ci si
dimentica dell’essere del bambino. Attardandosi troppo sui doveri dei
genitori, ci si dimentica dell’essere del padre e della madre. Gli
elementi che abbiamo da proporre - amore, educazione, libertà - dicono
tutto fuorché l’essenziale: sapere che i genitori sono i genitori e il
bambino è il loro bambino.
4. Ed ecco la conseguenza fatale:
pretendendo di fondare la famiglia perfetta sull’amore, sull’educazione e
sulla libertà, quello che si fonda, in verità, non è la perfezione
della famiglia, ma l’eccellenza dell’orfanatrofio. Non v’è dubbio:
in un orfanatrofio eccellente si amano i bambini, li si educano e si
rispettano le loro persone. Vi è anche un qualche tipo di pienezza del
progetto genitoriale, poiché prendersi cura dei bambini è il progetto
costitutivo di una tale impresa.
Non considerare la famiglia che a
partire dall’amore, dall’educazione e dalla libertà, fondarla sul bene
del bambino come individuo e non come bambino, e sui doveri dei genitori
come educatori e non come genitori, significa proporre una famiglia già
defamiglizzata. Perché vi si potrà sempre dire che un padre e una madre
possono essere meno amorevoli, meno competenti e meno rispettosi che
due maschi o due femmine, e certamente meno efficaci che tutta
un’organizzazione composta dei migliori specialisti. Questa
organizzazione d’individui competenti potrà passare per la migliore
delle famiglie - e la migliore delle famiglie s’identificherà con il
migliore degli orfanatrofi.
5. Perché abbiamo così facilmente perduto l’essenza della famiglia?
Ma perché il principio della famiglia è troppo elementare, troppo
infimo, troppo animale in apparenza; e dunque vergognoso (non si parla
forse di «partito vergognoso»?). Voi avete compreso che il principio
della famiglia è nel sesso. Sia quando si tratta di una famiglia
adottiva, sia nel caso di una famiglia spirituale, o il padre è il padre
abate e i fratelli sono i monaci: le alte e pure qualifiche di uso
comune giungono primariamente dalla sessualità. I nomi del padre e dei
figli si enunciano a partire da questo fondamento sensibile, che è la
nostra fecondità carnale.
Ciò avviene poiché un uomo ha
conosciuto una donna e dal loro abbraccio, per sovrabbondanza, sono nati
dei bambini. Da cui i nomi di famiglia, del padre, della madre, dei
figli, delle figlie, delle sorelle e dei fratelli. La parola
«fraternità», che completa il motto repubblicano [«Liberté, Égalité,
Fraternité», ndr], procede essa stessa dal sesso e dalla famiglia
naturale. Quanto alla nota teoria del genere, che crede di poter
affermare che la mascolinità e la femminilità non sono che delle
costruzioni sociali, poggia anch’essa sulla differenza tra i sessi,
senza cui l’idea stessa del maschile e del femminile non potrebbe
concepirsi.
6. La famiglia è dunque il primo luogo dove si
genera la differenza sessuale, la differenza generazionale e persino la
differenza tra queste due differenze. La differenza tra i sessi, a
partire dalla fecondità propria alla loro unione, crea la differenza
generazionale, che non ha nulla d’analogo con quella sessuale. Il
divieto fondamentale dell’incesto è un segnale, ma anche il fatto che
quando l’uomo si unisce a sua moglie non cerca primariamente di avere un
bambino: cerca prima di unirsi alla moglie e il bambino arriva,
sopraggiunge.
La famiglia annoda così cinque tipi di legami:
coniugale (dell’uomo e della donna), filiale (dai genitori ai figli),
fraterno (tra i figli) - a cui s’aggiungono altri due, spesso ignorati,
ma decisivi per inscrivere la famiglia storicamente e politicamente. Il
quarto è il legame nonni-nipoti, che permette d’attenuare l’influenza
dei genitori e d’aprire i tempi della famiglia rispetto alla tradizione
[2]. C’è poi un quinto tipo di legame e cioè il rapporto con i suoceri:
esso giunge a nascondere l’ideale di coppia, pur di non trascurare la
suocera. Lo potremmo chiamare la «teoria del genere». Attraverso questo
legame l’alleanza coniugale si accoppia a un’alleanza, per così dire,
tribale e apre lo spazio della famiglia a quello della società.
Ora,
la particolarità di questi legami familiari è che non si fondano
primariamente su una decisione, ma su un desiderio. E non provengono da
una convenzione preliminare, ma da un impulso naturale. Ovviamente, il
desiderio dev’essere assunto nella decisione (o piuttosto nel consenso) e
la natura si sviluppa attraverso aspetti convenzionali. Ma prima ci
sarà qualcosa che scorre attraverso di noi, un dono che viene dall’altro
e torna all’altro e, quindi, supera i nostri calcoli. Questo ci porta
oltre noi stessi, oltre i nostri progetti individuali (chi può
programmare di avere una suocera?), poiché ci si apre al sesso opposto e
a un’altra generazione. Così siamo interessati a un’epoca che non è più
la nostra.
7. Diciamolo semplicemente: nessun calcolo può avere per risultato una nascita.
Nessuno può dirsi onestamente: “Ecco, io sono pronto, sono maturo
abbastanza, abbastanza competente per avere un figlio; so perfettamente
come diventare un uomo completo; ho il diritto sovrano di portarlo al
mondo e di essere il suo padrone”. Come dunque potremmo avere il diritto
d’allevare un bambino, quando siamo noi stessi così vili e non
comprendiamo il mistero della vita?
Allora non si tratta di un
diritto ma di un fatto. Il bambino sopraggiunge secondo un dono della
natura, di cui non siamo mai degni realmente. Egli è il frutto di un
amore sessuale e non il risultato di un proposito diretto, perché
nessuna impudenza umana, tecnica o morale può legittimamente stare
all’origine della propria venuta. Se la sua presenza rilevasse una
nostra competenza, allora lo domineremmo assolutamente ed egli non
sarebbe che un ingranaggio in un qualche dispositivo - una tappa in un
percoso - e non l’avvenimento della vita, che comincia e ci oltrepassa
sempre. Quando un bambino dice ai suoi genitori “non ho scelto io di
nascere”, essi potrebbero rispondere: “nemmeno noi abbiamo scelto; ci
sei stato donato e proveremo a cambiare la nostra sorpresa in
gratitudine”.
8. Possiamo ora riprendere a parlare dei tre
elementi di cui abbiamo parlato in precedenza - l’amore, l’educazione e
la libertà - e vedere come questi si specificano in seno alla famiglia, a
partire da questo dono che ci oltrepassa.
Prima specificità:
l’amore familiare è essenzialmente un amore senza preferenze. Esso non
guarda alla scelta né alla comparazione. Ciò è particolarmente vero per
il rapporto tra genitori e figli. L’amore dei genitori e dei figli è
fondato sulla filiazione medesima e non su delle affinità elettive. Ci
si sente molto bene quando il padre è un lettore di Tito Livio, mentre
il figlio si dedica ai videogiochi. Mai si sarebbero sognati di trovarsi
in un medesimo ambiente. Mai avrebbero formato un club insieme. Ma la
famiglia è il contrario di un club elettivo o selettivo. I legami di
sangue vi spezzano le catene del partito così come le catenelle del
capriccio.
Il bimbo è sempre così come i genitori non avrebbero
mai voluto, ma anche come a loro piace e, quindi, sono disposti ad
accettarlo incondizionatamente. E i genitori sono sempre ciò che i
bambini vorrebbero dagli eroi dei films - Charles Ingalls, per esempio, o
Yoda - ma anche quelli che essi amano, nonostante tutto, di quest’amore
costitutivo, che precede la coscienza propria di se stessi. I genitori
sono dunque coloro da onorare senza condizioni.
La famiglia è
ancora l’amore del vecchio rudere e del giovane ottuso - ed è questo che
la rende così meravigliosa e ne fa la scuola della carità. La carità è
l’amore soprannaturale del prossimo, di colui che non abbiamo scelto o
che ci è antipatico, in un primo momento. Tuttavia, i principali vicini -
che non siamo stati noi a scegliere e che spesso ci sono insopportabili
- sono proprio i nostri parenti.
9. Seconda specificità: nella famiglia, il legame educativo si fonda su di un’autorità senza competenza.
Non si aspetta d’essere un buon padre o una buona madre per avere un
figlio. In caso contrario, saremmo sempre in attesa. La paternità vi
cade addosso, poiché il desiderio si è trasformato in una donna. Che
rapporto c’è tra i due? La biologia vi vede una continuità. Ma la
fenomenologia (diciamo la lettura dell’esperienza vissuta) mostra una
sproporzione radicale, se non una rottura tra il desiderio erotico e
l’accoglienza di un bambino. La paternità non è un’anticipazione. È la
presenza del bambino che vi dona questa paternità: è lui che vi riveste
all’improvviso come di un abito troppo grande.
Si può comprendere, nel caso, la reticenza di chi fabbrica il «migliore dei mondi possibili» [cf teodicea di G. Leibnitz, ndr]:
“Come può avere il diritto di crescere un bambino chi si è
semplicemente coricato con una donna? Come può concedere una qualunque
competenza educativa la sua libido bestiale”? Tale riluttanza conduce
fatalmente al regno dei precettori e dei pedagoghi e alla messa al bando
dei genitori reali. Il padre è, allora, rimpiazzato dall’esperto e la
famiglia dall’azienda professionale.
Ma, nella famiglia, non si
tratta subito del progetto educativo, ma di realtà della filiazione. Non
è la competenza che vi fonda l’autorità. È l’autorità ricevuta,
nonostante le sue debolezze, che si mette alla ricerca di una certa
competenza, senza dubbio, ma che possiede anche una propria efficienza,
benché paradossale. L’autorità senza competenza ha un valore in se,
inestimabile. Da una parte, il padre vi mostra che non è il Padre (con
la maiuscola) e che lui stesso è un figlio - e dunque egli deve
rivolgersi verso un’autorità più in alto della sua, assieme a suo
figlio. D’altra parte, giacché la sua autorità non è solo una
competenza, ma un dono, il padre non può fare del bambino la sua
creatura, e cercare di formarlo sulla propria scala di valori: deve
accoglierlo come un mistero. E in questo consiste l’autorità più
profonda, che si distingue da tutte le competenze funzionali. Essa non
istruisce il bambino in vista di tale o tale qualificazione particolare,
ma gli manifesta il mistero dell’esistenza come dono ricevuto.
10. Infine, la terza specificità, che resta in linea con le precedenti: nella famiglia si esercita una libertà senza controllo.
Questa, l’avevamo già visto, non è la libertà d’indipendenza o
puramente decisionale, ma una libertà di consenso a ciò che viene
donato. Il progetto genitoriale è rapidamente infranto per l’avventura
familiare, poiché si tratta davvero di un’avventura e non di una
previsione. Tutte le antiche tragedie attestano sempre la messa in scena
di storie familiari. Ma c’è anche un fatto ordinario, che appartiene
piuttosto alla commedia secondo Molière: i figli o la figlia non hanno
padri e madri se non per separarsene, fondare un’altra famiglia e
sposare un buon partito, che di solito non è il migliore agli occhi dei
genitori.
La famiglia è sempre in eccesso su se stessa, non
soltanto per il dono della nascita, ma anche per le alleanze esteriori
che produce e verso le quali si dirige. C’è la vostra suocera e quella
dei figli: c’è questa estensione, da parente a parente che, secondo
Aristotele, costituisce il villaggio e poi la Città.
Questa
libertà senza controllo, che vi lancia in un’avventura e, allo stesso
tempo, in un dramma, risponde a dei legami che non sono contrattuali.
Sarebbe bello non vivere che di contratti e poter aggiustare i rapporti
secondo convenienza, e fuggire non appena si avverte la crisi. In
alternativa, è possibile cambiare partner, ma non si possono sostituire i
bambini. E si può diventare amici di uno più vecchio, ma non si può,
senza ipocrisia, diventare amici del proprio padre. Così come la
differenza sessuale impedisce la fusione, anche la differenza
generazionale blocca il livellamento. Il tutto avviene secondo un ordine
causale, con una gerarchia offerta: un patrimonio ereditato, che invita
la libertà ad aprirsi alle distinzioni della realtà e non a sprofondare
nell’indifferenziazione di una presunta onnipotenza.
11. Possiamo ora approcciare la famiglia nel segreto della sua essenza.
Essa non è una cosa tra le altre, ma il focolare. E non un “focolare
chiuso”, ma un focolare radiante. Un focolare, pittoricamente, non è un
oggetto che appare in una prospettiva, ma il punto dal quale si genera
la prospettiva. Un focolare è anche un fuoco, cioè luce e calore e,
quindi, un qualcosa non illuminato da qualcos’altro, ma da se stesso e a
se stesso manifestato. Voglio dire che la famiglia, prima di essere un
oggetto di pensiero, è ciò a partire da cui abbiamo iniziato a pensare.
Lo si dimentica spesso, come ci si dimentica il sole, come non fosse
chiaro ciò per cui siamo spinti in avanti. Da questo oblio e dalla
finzione individualista che ne segue, noi abbiamo la tendenza a
dissociare la logica da ciò che è genealogico. Noi poniamo l’uomo come
individuo dotato di ragione e rifiutiamo di riconoscerlo come figlio dei
suoi padri. Tuttavia è entrambe le cose. La tradizione cristiana ce lo
ricorda divinamente. Per essa, il Logos è il nome greco della ragione,
ma è pure il nome evangelico del Figlio.
Che cos’è dunque una
famiglia? Si può supporlo da ciò che abbiamo detto: la famiglia è il
fondamento carnale dell’apertura alla trascendenza. La differenza
sessuale, generazionale e la differenza di entrambe c’insegna a guardare
l’altro in quanto altro. È il luogo del dono e dell’accoglimento
incalcolabile di una vita che si dispiega con noi - e anche malgrado noi
- e ci getta sempre più profondamente nel mistero dell’esistenza.
12. È questo il primo luogo dell’esistenza, che è anche il luogo della resistenza.
Resistenza all’ideologia, ai ben pensanti, alla programmazione. La
famiglia è la comunità originale, offerta inizialmente dalla natura e
non istituita soltanto per convenzione. Essa dunque dona sempre, per la
sua connessione al sesso, un contrappunto all’artifizio e fornisce uno
spazio per quella che può essere definita una verifica.
L’uomo
pubblico può coltivare la sua immagine di facciata e mostrare il suo più
bel profilo sociale, ma qual è il suo volto in privato, davanti alla
moglie e ai figli? Il grande Ercole, che ha vinto i mostri, si ritrova
patetico dinnanzi a Deianira. Il giovane genio, che ostenta sicurezza,
si vergogna a farsi vedere con sua madre e suo padre, che ne attestano
l’origine comune. La volontà di potenza è sempre un ostacolo alla
prossimità familiare. Questo perché il totalitarismo, così come il
liberalismo e l’impresa tecnologica, così come il fondamentalismo
religioso, cominciano sempre con il porre la famiglia sotto tutela,
prima di tentare di distruggerla.
Note
[1] Rousseau scrive nell’introduzione del suo “
Discorso sull’origine e i fondamenti della diseguaglianza tra gli uomini” (1754): «Cominciamo dunque col respingere tutti i fatti». Ma, all’inizio del “
Contratto sociale”
(I, 2), non può fare a meno di ammettere il fatto fondamentale: «La più
antica di tutte le società e la sola naturale è quella della famiglia».
[2]
Penso all’uso greco della papponimia: «Secondo un certo costume, il
fatto che un uomo dia al figlio il nome del nonno [papponimia, appunto,
ndr],
conferma e suppone, ad un tempo, come tutti i genitori ritrovino i loro
stessi genitori attraverso i figli. La permutazione simbolica implica
come minimo la successione di tre generazioni per fabbricare l’istituto
umano» (Pierre Legendre, “
Filiation”, Lezione IV, Fayard, 1990, p. 62).
(traduzione dal francese a cura di Silvio Brachetta)