CONSULTA L'INDICE PUOI TROVARE OLTRE 4000 ARTICOLI

su santi,filosofi,poeti,scrittori,scienziati etc. che ti aiutano a comprendere la bellezza e la ragionevolezza del cristianesimo


martedì 29 luglio 2014

Contro Maestro Ciliegia

 Contro Maestro Ciliegia
*** 

Foto: Chiamati dalla Fata, arrivano al capezzale di Pinocchio i medici più famosi del vicinato. I primi due, il Corvo e la Civetta, sono autorevoli, enfatici, in opposizione tra loro e inconcludenti. In essi l’autore raffigura un po’ malignamente la scienza e la sua incapacità di guarire i veri mali dell’uomo. In quanto è da essa esplorato e oggettivato, l’uomo appare qualcosa di meccanico e di scomponibile. Sotto la sua luce curiosa, il mistero dell’uomo scompare, ma scompare anche l’uomo: è analizzato in tutte le fibre e in tutti i processi biologici e psicologici, e così è assimilato a un pupazzo che viene con perspicacia e abilità smontato e rimontato.La scienza arriva a conoscere tutto, ma perché debba esistere il pupazzo e chi sia chiamato a divertire, questo non le riesce di saperlo. Aggiusta tutto, avvalora tutto, ma la «malattia dell’esistenza» - dell’ esistenza in quanto evento sprovvisto di significazione - sotto le cure della scienza non fa che aggravarsi. In questo senso, la scienza, che può essere esaltata come la più spettacolare vittoria dell’uomo sulle cose, diventa la sua più amara sconfitta. Il terzo medico, il Grillo, non interviene nella dotta disputa dei colleghi; la sua diagnosi non è omogenea con quelle finora ascoltate, la sua terapia non ha niente in comune. La speranza dell’uomo comincia dalla severità di una coscienza che non si lasci incantare né dal multiloquio delle questioni alienanti né dai fuochi di artificio della tecnica, ma vada spietatamente al nocciolo della questione, rivelando all’uomo tutta intera la sua esistenziale miseria e proponendogli di cambiare (Biffi, Contro Mastro Ciliegia)

Compare per la prima volta il tema dell’imbestiamento; un tema che è fondamentale in questo libro, e quindi nella, comprensione dell’enigma umano.
Non è garantito all’uomo che resti se stesso; anzi gli è garantito un immancabile mutamento. Sotto un certo profilo, la natura umana come è data all’inizio è solo una piattaforma di partenza, una dotazione di valori perché il gioco cominci, una prima distribuzione di carte che renda possibile la partita.
La vita non è soltanto un cammino su strade diversamente scelte che portano a opposte mète. In questo pellegrinaggio non si cambia solo il paesaggio, si cambia progressivamente il pellegrino.
L’uomo è chiamato a essere soggetto e artefice di un destino che non resta esteriore, ma sboccia e cresce dentro di lui e trasforma - in un senso o nell’altro - l’intelligenza, la volontà, la sensibilità, la carne, le ossa, il sangue. Questo destino può essere di degradamento o di elevazione: l’uomo può imbestiarsi o divinizzarsi; la sola cosa che non gli è data, è quella che in genere preferirebbe: restare quello che è al principio della storia. Se lo potesse, smentirebbe la sua natura essenziale, che implica appunto di dover fabbricare il proprio essere definitivo con la successione delle libere scelte: l’uomo è un dover essere libero
 

(G. Biffi, Contro Maestro Ciliegia)

Oh!, se potessi rinascere un’altra volta!...
Pinocchio non lo immagina, ma è anche questa una parola evangelica.
Di fronte al fallimento della sua vita e all’ammissione dolorosa di avere sbagliato tutte le scelte, il sospiro del burattino va al prodigio di una nuova nascita, la sola ipotesi che permetta di rimediare alla rovina di un’esistenza contaminata.
Con le «ragioni del cuore» - anche se è un cuore avvilito e senza speranza, o forse proprio per questo - Pinocchio intuisce che in una condizione tanto compromessa «se uno non rinasce dall’alto non può vedere il Regno di Dio» (Gv 3,3). Non serve l’impegno moralistico di migliorare o una più lucida conoscenza delle cose o una rieducazione della psiche alterata o un rovesciamento delle strutture esteriori: occorre l’irruzione di una realtà diversa, che trasformi dalla radice il nostro essere, ci ri-crei e ci consenta di ricominciare da capo (G. Biffi, Contro Maestro Ciliegia)


Pinocchio esce di prigione, accettando i valori culturali prevalenti e facendo l’autocritica: "Sono un malandrino anch’io". Tra tutte le sue disavventure, questa è la più avvilente. Tra il pentimento e l’autocritica c’è un abisso: nel pentimento l’uomo è conquistato dalla forza della verità, della giustizia, della bellezza, che interiormente gli si rivela e, conformandolo all’ideale, penosamente lo conforma anche a se stesso e alla sua vera natura; nell’autocritica l’uomo cede alle dottrine imposte dall’esterno, si adegua agli schemi convenzionali, e, per assimilarsi all’ambiente, si deforma. Nel pentimento l’uomo si arrende a Dio e ridiventa uomo; con l’autocritica l’uomo si arrende all’uomo e si disumana (G. Biffi, Contro Maestro Ciliegia)

 Senza un giudizio assoluto - del quale quaggiù incontriamo solo pallide e alterate anticipazioni - la nostra vita è mutilata. E senza la prospettiva di questo giudizio, gli atti sono insignificanti e senza sapore, come un gioco d’azzardo giocato senza soldi.
«Dies illa»: noi paventiamo quel giorno. Ma ancor più paventiamo l’eventualità che quel giorno non ci sia e tutto nell’esistenza resti indifferente e vano. Senza il giudizio, non c’è fin d’ora possibilità di misura: che cosa è grande, che cosa è piccolo? che cosa è vero, che cosa è falso? che cosa è giusto, che cosa è ingiusto? Una cosa sola è più temibile di un giudizio definitivo: l’assenza di un giudizio definitivo (G. Biffi, Contro Maestro Ciliegia)


 Chi, vittima dei soprusi dei contemporanei, si appella al «tribunale della storia», si appella a una chimera. La storiografia è un compito che i vincitori non spartiscono con nessuno. Non è detto che gli storici siano sempre faziosi, ma sempre lavorano immersi in una società e in una cultura che tirannicamente li condizionano, e molto di rado sono in grado di riprodurre i termini esatti delle questioni del passato. È vero che il presente è figlio del passato, ma è anche vero purtroppo che, sul piano della ricostruzione storica, il passato è figlio del presente e si adegua sempre ai desideri del potere imperante. Forse dalla storia possono essere denunciate le piccole iniquità, gli imbrogli maldestri e le prepotenze di poco conto; ma se la frode è stata compiuta a regola d’arte e se la violenza è stata totale, nessuna rivendicazione è sperabile se non presso un tribunale ultramondano (G. Biffi, Contro Maestro Ciliegia)

 L’uomo, se parte - giustamente - con la convinzione della razionalità delle cose, ma tenta di dare da solo una spiegazione totale all’enigma dell’ esistenza, approda infine all’assurdità: la ragione, se si rinchiude in se stessa, arriva al suicidio.
Egli baratta la sana e primordiale certezza che debba esistere un Autore dell’universo con l’apparente scientificità e la reale complicazione di panteismi civettuoli o di ateismi desolati: quanto impegno per convincersi di essere orfani! (G. Biffi, Contro Maestro Ciliegia)
 


Naturalmente i sacramenti - l’olio e il vino onde lo Straniero, disceso dall’alto della sua cavalcatura, cura oggi misericordiosamente le ferite del malcapitato languente sul ciglio della strada - non serviranno più quando saremo con lui, nella sua patria che sarà diventata la nostra: l’epoca sacramentale - cioè l’epoca della divina ricchezza posseduta nella povertà delle parole e dei segni - cesserà quando la comunione sarà piena e svelata; e ogni nostra piaga sarà rimarginata per sempre (G. Biffi, Contro Maestro Ciliegia)

 Ma il «principio sacramentale», che piace poco a noi, piace molto a colui che unico ci può salvare, forse perché è conforme al suo vivo senso dell’umorismo. Egli probabilmente si diverte a vedere che per avere il cuore trasformato uno non debba soltanto dibattere i suoi problemi entro il tribunale dell’anima, ma anche farsi lavare la testa nel battesimo e farsi ungere nella confermazione, così come si compiace di assegnare un uomo come capo e salvatore degli angeli.
Certo il «principio sacramentale» può essere travisato fino a dare origine a una concezione magica, che asservirebbe l’uomo alle cose, ai gesti, alle formule. Ma tra la magìa e il sacramento la differenza è assoluta: nella magia l’uomo cerca di piegare la divinità al proprio volere con mezzi assurdamente sproporzionati; nel sacramento l’uomo cerca di piegare la sua volontà individualista e orgogliosa fino a farla entrare nell’allegro gioco di Dio, che ha deciso di elevare le creature più umili alla dignità di strumenti salvifici per la creatura più alta (G. Biffi, Contro Maestro Ciliegia)


 L’uomo che sa rovinarsi da sé, da sé non arriva a salvarsi...
Il Grillo parlante non basta, ci vuole anche la Fata.
La Fata, che pure ha convocato il Grillo al letto del burattino morente, a un certo momento lo trascende e interviene dirett
amente, somministrando il farmaco risanatore. Una Fata che si è dimostrata capace di operare i più strabilianti prodigi, che bisogno aveva di ricorrere a una medicina? Non poteva guarire Pinocchio con la carezza della sua mano o il suono della voce o anche con la decisione invisibile della volontà? Ragionando in astratto, pensiamo che lo potesse. Eppure la Fata non rinuncia all’uso di un rimedio così modesto e casalingo come quello delle misteriose polverine con le quali saggi e occhialuti farmacisti hanno difeso dalle febbri la nostra infanzia, prima che i loro reconditi laboratori diventassero magazzini di scatolette sigillate e perdessero così tutto il fascino dell’arcano. Anche Gesù, per guarire il cieco nato, fa con la saliva un po’ di fango da spalmare sugli occhi. È il «principio sacramentale», per il quale l’azione vivificante che il Padre compie con la mediazione di Cristo, nel Regno dello Spirito che è la Chiesa, passa attraverso le realtà più comuni e più semplici dell’universo, e a noi, che ci riteniamo i giudici di ogni essere, è chiesto di inchinarci a ricevere la vita divina e la salvezza dall’acqua, dall’olio, dal pane, dal vino. (G. Biffi, Contro Maestro Ciliegia)
 


Chiamati dalla Fata, arrivano al capezzale di Pinocchio i medici più famosi del vicinato. I primi due, il Corvo e la Civetta, sono autorevoli, enfatici, in opposizione tra loro e inconcludenti. In essi l’autore raffigura un po’ malignamente la scienza e la sua incapacità di guarire i veri mali dell’uomo. In quanto è da essa esplorato e oggettivato, l’uomo appare qualcosa di meccanico e di scomponibile. Sotto la sua luce curiosa, il mistero dell’uomo scompare, ma scompare anche l’uomo: è analizzato in tutte le fibre e in tutti i processi biologici e psicologici, e così è assimilato a un pupazzo che viene con perspicacia e abilità smontato e rimontato.
La scienza arriva a conoscere tutto, ma perché debba esistere il pupazzo e chi sia chiamato a divertire, questo non le riesce di saperlo. Aggiusta tutto, avvalora tutto, ma la «malattia dell’esistenza» - dell’ esistenza in quanto evento sprovvisto di significazione - sotto le cure della scienza non fa che aggravarsi. In questo senso, la scienza, che può essere esaltata come la più spettacolare vittoria dell’uomo sulle cose, diventa la sua più amara sconfitta. Il terzo medico, il Grillo, non interviene nella dotta disputa dei colleghi; la sua diagnosi non è omogenea con quelle finora ascoltate, la sua terapia non ha niente in comune. La speranza dell’uomo comincia dalla severità di una coscienza che non si lasci incantare né dal multiloquio delle questioni alienanti né dai fuochi di artificio della tecnica, ma vada spietatamente al nocciolo della questione, rivelando all’uomo tutta intera la sua esistenziale miseria e proponendogli di cambiare (Biffi, Contro Mastro Ciliegia)


 La Chiesa diventa essa stessa comprincipio di rinnovazione; umanità salvata e santificata, si fa, in quanto è unita al Salvatore, salvatrice e santificante. Diviene quindi feconda nella misura in cui è sponsalmente congiunta: madre dei nuovi viventi, perché sposa del nuovo e più vero Adamo
 (Biffi, Contro Mastro Ciliegia)

Nessun commento: