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mercoledì 30 luglio 2014

Contro Maestro Ciliegia 2

 Contro Maestro Ciliegia 2
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 Dagli idoli ci si libera in modo definitivo solo innamorandosi dell’unico vero Dio; i fili invisibili che ci costringono sono tagliati unicamente dall’affetto del Padre. Quando cantiamo la gioia di avere un «solo Signore, Gesù Cristo», inneggiamo anche alla nostra libertà. Proprio perché abbiamo un solo padrone, non ne vogliamo altri. E anche se c’è chi crede di averci in maniera irrimediabile intruppati tra le marionette, in effetti noi restiamo creature radunate all’insegna della libertà; un’insegna che è molto simile a quella degli anarchici e dei radicali, coi quali - quasi - ci troviamo d’accordo: né Dio né padroni né verità eterne, all’infuori dell’unico Dio, dell’unico Signore, dell’unica verità (Biffi, Contro Maestro Ciliegia)

 "Vuoi tu, di cinque miserabili zecchini, farne cento, mille, duemila?"
È la stessa tattica del serpente nel paradiso terrestre: irridere i doni che già possediamo, presentandoli non come valore ma come limite, non come mezzi di elevazione ma come peso e coartazione della libertà; e insieme far balenare il miraggio di sconfinate ricchezze: «Sarete simili a Dio».
Pinocchio ne resta colpevolmente conquistato. Ma il suo peccato - come quello dei progenitori non sta nel cedere alla lusinga di un tesoro favoloso, quanto nell’averlo ricercato fuori della strada di casa e di aver creduto che si potesse raggiungere la felicità non andando verso il padre ma allontanandosi da lui. In fin dei conti, le promesse del Signore non sono meno sbalorditive di quelle diaboliche: ciò che è aberrante e maligno è il pensiero. che si possa crescere e prosperare, fuggendo dall’amore di chi ci ha creato. (Biffi, Contro Maestro Ciliegia)


 Pinocchio, che tremava dal freddo, dalla paura e dall’acqua per tutto lo spazio di una lunghissima notte, ci ricorda un po’ Enrico IV a Canossa, salva la debita riverenza alla maestà dell’imperatore.
Una Chiesa troppo accondiscendente è una Chiesa banalizzata. Proprio in ragione dell’immenso amore per l’uomo che palpita in lei, non deve fare troppo la corte al mondo e ai suoi capricci, se non vuole smarrire in un solo momento il fascino e la capacità educativa. Per fortuna, anche nelle epoche che più indulgono a rincorrere i miti del tempo, l’apparato ecclesiastico sarà sempre ritardatario e affliggente a sufficienza, sicché l’autenticità della fede e la serietà dei propositi di chi chiede di ritornare in casa o di chi desidera vivere in consapevolezza la vita ecclesiale saranno sempre abbastanza saggiate.
La Fata in quest’episodio - anche se non compare in prima persona se non alla fine per consolare e perdonare - sembra un’altra volta impietosa; e invece il suo è un modo di amare sul serio e di mirare al bene vero del burattino (Biffi, Contro Mestro Ciliegia)


 Dopo mezz’ora si aprì una finestra dell’ultimo piano...
e Pinocchio vide affacciarsi una grossa Lumaca, invece del volto sognato. È difficile immaginare delusione più cocente.
Questa Lumaca servizievole e inconcludente che, senza essere una personificazione della Fata, abita però la sua casa, ne trasmette i messaggi ed è come ministra della sua volontà - può ben raffigurare tutta l’organizzazione esteriore della Chiesa, che non è parte della realtà profonda del mistero ecclesiale, ma gli è necessariamente connessa, e dunque non può venire ignorata da chi si vuole accostare a questo mistero.
Ogni uomo che cerca il Padre, deve vivere nella Chiesa; e chi vive nella Chiesa, o in prossimità della Chiesa, deve fare i conti con la lentezza, i ritardi esasperanti, le imprevidenze, la sordità dell’apparato ecclesiastico.

Ma tutto questo è scontato, e non deve scandalizzare. Anzi è incluso addirittura in un disegno provvidenziale e trascendente: l’uomo che vuole partecipare alla Chiesa deve un po’ macerarsi nell’impazienza, intanto che le illusioni si disperdono e le intenzioni si purificano. Senza questa prova, ogni ritorno rischia di essere solo una «esperienza» superficiale ed effimera (Biffi, Contro Mestro Ciliegia)


 I carabinieri nel terzo capitolo avevano imprigionato Geppetto che voleva correggere ed educare la sua creatura e avevano lasciato libero di rovinarsi il burattino scavezzacollo, anticipando così i fasti della moderna pedagogia (Biffi, Contro Mestro Ciliegia)

 Quando fu li sentì mancar si il coraggio e, invece di bussare, si allontanò correndo una ventina di passi. Poi tornò una seconda volta alla porta, e non concluse nulla; poi si avvicinò una terza volta, e nulla; la quarta volta prese tremando il battente di ferro in mano e bussò un piccolo colpettino.
Altrettanti sono i rivolgimenti che il Manzoni ravvisa nell’anima dell’Innominato, la notte agitata del suo mutamento, anche se il Collodi qui li elenca con la secchezza di eloquio che si conviene alla natura legnosa del personaggio.


Questa tenzone tra il si e il no nell’anima del peccatore si è combattuta e si combatte innumerevoli volte nel segreto delle case, sulla soglia delle chiese, in prossimità dei confessionali, anche se non è dramma di quelli che è consentito applaudire o recensire. Chi lo vive nel riserbo dello spirito, intuisce di lottare al cospetto dell’universo, nella prospettiva del suo destino, entro il mistero di tutta la Chiesa, anche se non sempre si ritrova nelle disposizioni più adatte per partecipare a pubbliche celebrazioni, come sarebbe auspicio di molti liturgisti dalla vita innocente (Biffi, Contro Mestro Ciliegia)


 Il passaggio dalla colpa alla vita di grazia non si perfeziona se non nel convitto eucaristico, dove la ricchezza trasformante di Dio per mano della Chiesa investe la povertà delle nostre cose, dei gesti, delle parole, delle persone e, strappando ci al mondo, ci inserisce vitalmente nel mistero sacrificale del Cristo glorioso che, unito a tutti i suoi, si affida all’amore del Padre in uno slancio inesauribile di donazione. (Biffi, Contro Mestro Ciliegia)

 Le coreografie moderne, forse nell’intento lodevole di rifuggire dal lezioso, nei ritmi meccanici e nell’angoloso agitarsi degli interpreti, evocano sempre più di frequente gli automi. E sempre più largamente è accolta l’ipotesi antropologica che spiega ogni atto e ogni risoluzione come il prodotto ineluttabile delle forze economiche, dell’istinto sessuale, della cieca volontà di potenza, dei mezzi occulti di persuasione: i «fili invisibili»; e, poiché fatalmente si diventa quello che si è convinti di essere, l’uomo si assimila progressivamente a una marionetta appena rivestita di una illusoria apparenza di libertà. (Biffi, Contro Mestro Ciliegia)


 Che cosa lo rende irriducibilmente diverso e gli impedisce di assimilarsi alla compagnia delle teste di legno? La differenza sta tutta nel fatto che Pinocchio ha un padre, prodigiosa eccezione tra i suoi simili. Se ha un padre, ha un destino filiale; se ha un destino filiale, è designato, pur avendo ancora una struttura legnosa, a una condizione di sostanziale libertà.
Questo è il dilemma che, nel gran teatro del mondo, a tutti viene proposto, anche se non tutti purtroppo se ne avvedono: un burattino che ha un padre, è chiamato a essere uomo; un uomo che ha rifiutato il padre, presto o tardi si conforma ai burattini (Biffi, Contro Maestro Ciliegia)


 La convinzione più semplice e più diffusa asserisce che la condizione di burattino è conseguenza dell’esistenza dei burattinai, sicché basta eliminare questi prepotenti personaggi perché alle marionette subentrino gli uomini. Come in quasi tutti i giudizi, anche in questo c’è qualche parte di vero. Persuasioni simili hanno ispirato e sorretto le molte rivoluzioni e le molte insurrezioni, delle quali è insanguinata la storia del mondo. In Italia invece le rivoluzioni e le insurrezioni si fanno molto di rado, più che altro si festeggiano. Non è un gran male: in realtà il loro risultato più comune è quello di cambiare il burattinaio, e non sempre in meglio. (Biffi, Contro Maestro Ciliegia)

Arriverà anche per noi il giorno in cui, trascesa la condizione legnosa, saremo liberi da Mangiafoco e da tutti i suoi pari, e non ci sarà più né la tirannia del caso né quella del potere o dell’ economia o della scienza delirante o della tecnica disumana, perché, una volta raggiunta la pienezza della vita filiale, il Padre solo ci basterà. Adesso, in questo transeunte stato di vincolata goffaggine, se non possiamo sottrarci del tutto ai dispotismi del burattinaio, possiamo però addomesticarlo, sottomettendolo alla potenza di Dio (Biffi, Contro Maestro Ciliegia)

 I tentatori della nostra storia sono due, e l’uno ripete le frasi dell’altro. E anche questo è istruttivo: più che comprovare le sentenze con le argomentazioni, che è arte faticosa e piena di rischi, preferiscono persuadere con l’insistenza martellata degli enunciati.
La Volpe e il Gatto hanno fatto scuola: oggi sono molti che, piuttosto che offrire ragionamenti, propongono burberamente l’iterazione degli asserti. «Te lo ripeto dieci volte, dunque è vero»: pare sia questo uno dei fondamentali princìpi della logica contemporanea (Biffi, Contro Maestro Ciliegia)

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