Charles Péguy, il libertario cristiano precursore di papa Francesco
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Articolo pubblicato sul quotidiano "Il Garantista" di mercoledì 9 luglio
Luciano
Lanna
Colpisce il
fatto che l’annuncio del regista Roman Polanski di realizzare un film sull’affaire
Dreyfus coincida con il centenario della morte di Charles Péguy, lo scrittore che
più di altri aveva animato la prima storica battaglia garantista nell’opinione
pubblica europea, la mobilitazione che segnò storicamente la nascita della figura
dell’intellettuale. D’altronde, non solo l’affaire
– scoppiato nel 1894, in seguito al presunto
tradimento di Alfred Dreyfus, un ufficiale di artiglieria ebreo alsaziano accusato di
spionaggio a favore della Germania – aveva segnato il primo evento mediatico
globale ma la mobilitazione degli scrittori e pensatori che ne seguì costituì
la prova di forza di un’idea di cultura non più rinchiusa dentro le torri
d’avorio dell’accademia.
Tanto è così che il
ventiduenne Charles Péguy, classe 1873, precoce discepolo di Bergson e Rolland,
socialista non dottrinario intrinsecamente abbeveratosi oltre che al
cristianesimo di sua madre ai valori laici e rivoluzionari della Francia
repubblicana, si schiera subito e senza esitazione, sulla scorta di un pamphlet garantista scritto dal suo
grande amico Bernarde Lazar, L’affare Dreyfus. Un errore giudiziario. È
la fase in cui, immediatamente e quasi spontaneamente, molti intellettuali, per esempio Octave Mirbeau, aderiscono alla
campagna innocentista. L’episodio più famoso è quello dello scrittore Émile Zola che
pubblicherà il 13 gennaio 1898 su l’Aurore la
famosa lettera intitolata J’accuse! È forse difficile
rappresentare oggi che cosa abbia significato l’affaire per la Francia
all’alba del Novecento. Di errori giudiziari è infatti piena la storia, ma per
un complesso di fattori storici e culturali, attorno a Dreyfus e a Estérhazy – che
si scoprirà l’autore della lettera che sembrava incriminare il primo – si polarizzarono allora le “due anime”
contrapposte della Francia, la rivoluzionaria e la nazionalista, la libertaria
e l’autoritaria, quella dei diritti dell’uomo e quella della “ragion di Stato”.
Forse anche perché, come scrisse Péguy, erano le energie compresse da un lungo
periodo di calma alle frontiere che esplodevano in quella tumultuosa guerra in
tempo di pace. E Péguy si schierò con l’anima libertaria, garantista,
socialista…
Anche per questo, quando il 5 gennaio 1900 Charles Péguy mandava in
stampa il primo numero dei Cahiers de la Quinzaine (i “Quaderni quindicinali”)
esordiva un’avventura davvero unica nella storia della cultura francese ed
europea. Il giovane fondava la rivista in una camera da studente e solo l’anno
seguente, nell’ottobre 1901, si installerà in via della Sorbona, in una bottega
il cui arredamento consentirà al solo Georges Sorel di trovare una sedia mentre
Péguy e il suo amministratore Bourgeois stavano al tavolo di lavoro. La storia
della rivista durerà quattordici anni, con una sorte alterna, in mezzo a
innumerevoli difficoltà, portando al suo fondatore la notorietà dei contemporanei
che non andrà mai oltre il Quartiere Latino e l’ambiente dreyfusardo. Ma
nonostante ciò, il giovane Péguy sarà redattore, autore ed editore di quella
che da semplice pubblicazione d’ispirazione socialista e dreyfusarda diventerà
nel corso degli anni una delle più importanti e anticipatrici riviste
letterarie e filosofiche, tenuta in vita grazie a pochi affezionati lettori:
Charles lasciò libera la sottoscrizione dell’abbonamento, e sui 1200 abbonati
totali ben 800 lo erano senza versare alcunché.
Oltre allo stesso Péguy, che convoglierà tutta quanta la sua produzione
letteraria e poetica nei Cahiers, collaboreranno al foglio Jean Juarés, Romain
Rolland, i fratelli Tharaud e tanti altri. Ed è in questo clima che inizia, nel
1905, l’appassionato riavvicinamento di Péguy alla fede cattolica,
“conversione” che tre anni più tardi annuncerà definitivamente agli amici Jacques
Maritain e Joseph Lotte. Il suo si tramuterà allora nel destino di un
intellettuale irregolare e isolato: la moglie, fedele ai valori laici e
repubblicani non accetterà mai fino in fondo il suo percorso spirituale; la
rivista è boicottata dal socialismo ufficiale e ortodosso; la borghesia è
scettica e diffidente a prescindere. Nel 1910 esce l’opera che testimonia
pubblicamente il suo cristianesimo, una riscrittura di un suo precedente dramma
del 1897, Jeanne d’Arc, che chiamerà Il Mistero della Carità di
Giovanna d’Arco, il capolavoro di Péguy, cui seguiranno negli anni
successivi altri “misteri”, tra cui Il Portico del Mistero della seconda
virtù del 1911 e Il Mistero dei Santi innocenti del 1912. Nel 1910
il suo saggio politico più amato e conosciuto: La nostra giovinezza,
appassionata riflessione proprio sugli anni del caso Dreyfus. Del 1913, un altro
saggio che resterà: Il denaro, dove, guardando soprattutto alla povertà
crescente determinata dal mondo capitalistico, si poteva leggere: “Ai miei
tempi tutti cantavano. Nella maggior parte dei luoghi di lavoro si cantava… Non
c’era questo strangolamento economico di oggi, questo strangolamento
scientifico, freddo, geometrico, regolare, netto, nitido, senza sbavature,
implacabile…”.
Come dicevamo all’inizio, cento anni fa, il 5 settembre 1914, ad appena
un anno dalla pubblicazione de Il denaro, Charles Péguy muore
quarantenne sul fronte della Grande Guerra, per la quale era partito
volontario, nel primo giorno della battaglia della Marna. Come un ossimoro
vivente – patriota e libertario, cristiano e socialista, religioso e garantista
– Péguy lasciava il suo invito a separare la prospettiva cristiana dal
“disordine stabilito” del potere del denaro e della politica nazionalista e
borghese. Quasi nessuno lo sottolinea, ma il nome di Péguy è caro alla
tradizione proudhoniana nel momento stesso in cui è anche tra i pochi a venire
presentato tra i “precursori” dell’intuizione di coniugare socialista e nazione
nel saggio La dottrina del fascismo scritta da Mussolini e
Gentile. E le
sorprese non finiscono qui. Come mai Péguy che era stato tra i primi a
mobilitarsi in nome del garantismo per l’innocenza di Alfred Dreyfus
sarà anche
uno degli autori più cari a Papa Luciani, Giovanni Paolo I, e a don
Luigi
Giussani? Ma come mai Péguy è stato rivendicato, nel tempo, da
proudhoniani e fascisti, da cattolici ortodossi e socialisti riformisti
magari soffermandosi solo su un tassello della sua personalità?
Per capire a fondo il “mistero Péguy” vale forse quanto scritto a suo
tempo da padre Henri de Lubac: “Fu un profeta del Concilio Vaticano II: con un
anticipo di 50 anni, tenne a battesimo l’ideale repubblicano, riappropriandosi
della grande intuizione evangelica di Proudhon, Michelet e Quinet. E ciò che
permane meno conosciuto e approfondito è il carattere libertario del suo
cattolicesimo, cioè che egli rifiutò ogni assolutismo clericale della Chiesa,
ogni organizzazione ecclesiale modellata sull’Ancien Régime”. E ancora:
“Péguy, pur soffrendo sinceramente per non potersi accostare ai sacramenti, non
era del tutto scontento di rimanere sulla soglia di una Chiesa che, sotto le
spoglie di una società ecclesiastica, manifestava un autoritarismo che gli era
visceralmente antipatico”. Non a caso, aggiungiamo noi, in una delle sue ultime
frasi, a proposito della sua fede arrivò a definirsi “un figlio semi-ribelle
completamente docile, dalla fedeltà sconfinata e dalla solidità senza eguali”.
Quasi a dire un precursore della Chiesa di Papa Francesco, antitetico a
qualsiasi visione di un cristianesimo in difensiva e in polemica col mondo.
Annotava infatti Péguy: “Vi era il cattivo tempo anche
sotto i romani. Ma Gesù non si tirò affatto indietro. Facendo il cristianesimo,
egli non incriminò, egli non accusò nessuno. Egli salvò. Egli non incriminò il
mondo. Egli salvò il mondo”.
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