MEETING 30/ Lejeune: l’impronta divina nella vita dell’uomo
Con l’avvicinarsi della trentesima edizione del Meeting di Rimini, oggi riproponiamo l’interevento tenuto dallo scienziato JEROME LEJEUNE nel 1990 nell’incontro dal titolo “Chi ha paura del vecchio Albert?”
Questa sera vorrei che ci chiedessimo insieme: sono intelligibili l’uomo e il suo destino? Rispondere col sì o col no sarebbe un modo per mancare di pertinenza, ma riflettere insieme qui sulla natura umana alla luce di quanto oggi sappiamo potrebbe costituire un metodo conforme alle leggi dello spirito.
Perché è lo spirito che dà la vita, non c’è materia vivente, la materia non può vivere, non può riprodursi. Se non mi credete, provate un po’ ad andare alla mostra del marmo di Carrara. Guardando gli artisti che stanno scolpendo, chiedetevi un attimo: la statua era già presente nel blocco di marmo? In un certo senso sì, dato che per ottenerla basta togliere il marmo superfluo. In realtà, se considerate che l’artista sta riproducendo nel marmo ciò che è stato plasmato e poi riprodotto col gesso, sarà evidente che questi non sta riproducendo la materia, ma l’impronta che il genio dello scultore aveva impresso nella terra, nel gesso. Ecco, quest’informazione è quello che noi in biologia chiamiamo la forma.
Quest’informazione è veramente quanto anima la materia e l’oggetto della genetica è appunto il cogliere dal vivo ciò che anima la materia grezza e descrivere l’informazione che produce e controlla miriadi di molecole capaci di incanalare questo formicolio dell’energia per conformarla alle nostre necessità. Nella vita c’è un messaggio e, se questo messaggio è umano, questa è una vita di un uomo. La materia animata dalla natura umana si organizza, costruisce allora un corpo nel quale uno spirito s’incarna.
I doni dello Spirito, come sapete bene, sono sette e la loro elencazione ci consente di fare una cernita nell’insieme delle conoscenze per arrivare poi a definire la vita. Il primo dono dello spirito è la saggezza. Sembrerebbe l’ultimo dono, quello che riassume tutto e gli altri. Gli antichi sono stati molto saggi ad elencarlo per primo, perché è la saggezza che consente tutto. La saggezza consiste nel precisare perché uso e a quale uso sono destinati i mezzi di cui oggi disponiamo.
Un esempio storico vi aiuterà a capire meglio quanto voglio dire. In Francia si è parlato moltissimo del bicentenario della Dichiarazione dei Diritti dell’Uomo. Ventuno anni dopo la proclamazione solenne di questi diritti, un filosofo fece una proposta di legge per chiedere che «fosse finalmente proibito di asfissiare o comunque far morire dissanguati i malati di rabbia». Questa proposta di legge non fu nemmeno discussa. Fu rimandata allo studio di una commissione e poi tutto fini in un cassetto e non se ne parlò più. Dodici anni dopo nacque un bambino di nome Louis Pasteur. La sua vita fu proprio la dimostrazione che a liberare l’umanità dalla rabbia e dalla peste non furono quelli che asfissiavano i malati di rabbia tra due materassi o che bruciavano gli appestati nelle proprie case, bensì quelli che hanno attaccato la malattia e rispettato il paziente.
Accanto ai mezzi di diagnosi e di trattamento, si può definire la medicina in modo alquanto semplice: odio per la malattia e amore per il paziente. Se si volesse eliminare il paziente per sradicare il male, sarebbe veramente l’aborto della medicina; ma difendere ogni paziente, prendersi cura d’ogni uomo senza chiedergli nome, razza, religione, implica che ciascuno di noi debba essere considerato “unico” e quindi insostituibile. E per questo è necessaria un’intelligenza dell’essere che appunto la genetica d’oggi ci fornisce. L’intelligenza è il secondo dono dello spirito. C’insegna che il numero delle possibili combinazioni tra i vari alleli (geni) che padre e madre ci trasmettono metà ciascuno, supera talmente il numero degli uomini viventi o che sono vissuti sulla terra, che ognuno di noi è dotato e dispone di una composizione assolutamente originale che non si era mai prodotta prima e che non si riprodurrà mai più.
Abbiamo questa certezza statistica da cinquant’anni, però oggi possiamo addirittura vederla con il metodo di Jeffreys. Il codice a barre genetiche, tipico di ognuno di noi ed assolutamente personale, è fatto di strisce; guardando con cura queste strisce si vede che la loro sequenza è assolutamente caratteristica d’ogni essere umano, anzi si può vedere anche che la metà di esse erano presenti nella madre mentre l’altra metà era presente nel padre. Guardando questa carta d’identità genetica, si vede non soltanto che ogni essere umano è unico, ma che è nato da un padre e da una madre che a loro volta erano unici. Vediamo sotto i nostri occhi l’originalità d’ogni uomo e allo stesso tempo la sua filiazione biologica. Tra qualche anno questi codici a barre potranno essere letti da macchine come quelle del supermercato, con l’unica differenza che la macchina non potrà mai dare il prezzo della vita umana.
Il terzo dono dello spirito è la prudenza. La prudenza è d’obbligo non appena un’azione biologica viene applicata ad un essere umano, direttamente o indirettamente. Quattrocento anni prima della nascita del Signore, il saggio di Coo fece giurare ai propri discepoli: «Trascorrerò la mia vita, eserciterò la mia arte nell’innocenza e nella purezza, non darò veleno qualsiasi sia la persona che me lo chieda e non darò prodotti abortivi a una donna». Quattrocento anni prima dell’era cristiana, la saggezza e l’intelligenza avevano già dettato prudenza all’uomo che ha inventato la medicina. E tutti i medici del mondo hanno rispettato il giuramento d’Ippocrate, seguiti in questo da tutte le autorità morali, politiche del mondo civilizzato fino a tempi molto recenti; d’altra parte il Vaticano non ha fatto altro che riprendere un insegnamento assolutamente generico nel ricordare che aborto e infanticidio sono crimini abominevoli.
Però nazioni che sono state una volta civilizzate, come la Francia e l’Italia, hanno rinunciato con un voto alla protezione dei propri bambini. Va osservato che oggi si percepiscono nel bambino ancora nel grembo materno, condizioni più o meno favorevoli, di conseguenza alcuni hanno proposto di poter eliminare il feto a qualsiasi stadio della gravidanza (e questo purtroppo è autorizzato da certe leggi tra cui quella francese). Dato che i mezzi di diagnosi del bambino ancora in utero diventano ogni giorno più sofisticati, non solo possiamo vedere anomalie già evidenti, già in essere, malformazioni o problemi chimici, ma possiamo persino vedere le predisposizioni, cioè tendenze a malattie che si manifesteranno molto tardi nella vita.
Per esempio si può già intravedere nel feto il gene della corea di Huntington, una malattia che apporterà la demenza verso i quarant’anni, oppure il morbo d’Alzheimer, che porterà la demenza senile tra i 50 o i 60 anni. Dovremmo forse eliminare i soggetti riconosciuti portatori di queste malattie? La risposta è sicuramente negativa. Certo, queste malattie costano care in termini di sofferenza per i pazienti e le loro famiglie, in termini di carico sociale per la comunità che a volte deve sostituire la famiglia perché il fardello può diventare insostenibile. Ma questo costo in termini di denaro e di sacrificio è esattamente il prezzo che deve pagare una società se vuole rimanere pienamente umana.
Non voglio evocare qui le deportazioni dei selezionatori nazisti o il cosiddetto “Gnadentodt“, cioè la grazia della morte per coloro che non sono degni di vivere. Citerò invece un esempio più vecchio. Gli spartani non avevano ancora certo inventato la diagnosi prenatale, però avevano deciso di esporre sul monte Taigete i neonati che apparivano loro incapaci di diventare nel futuro dei bravi soldati o di generare altri futuri soldati per il bene di Sparta. E questo è l’unico popolo della Grecia antica che sistematicamente abbia praticato questo spietato eugenismo.
Di tutte le città della Grecia, Sparta è anche l’unica a non aver lasciato all’umanità né uno scienziato, né un artista e nemmeno una rovina. Perché quest’eccezione tra i greci, così dotati all’epoca? Forse gli spartani, senza saperlo, esponendo i loro neonati mal nati o troppo fragili, hanno ucciso i loro musici, i loro poeti, i loro filosofi? Forse con una specie di selezione alla rovescia sono progressivamente diventati stupidi? Un tale meccanismo è pensabile, anche se non con certezza. o forse, all’opposto, la loro saggezza e la loro intelligenza erano già talmente insufficienti, inferiori, che commisero l’imprudenza di uccidere i propri figli? La genetica non è in grado di scegliere tra queste due ipotesi, tanto più che forse queste potrebbero essere vere simultaneamente.
Il quarto dono è la forza e cioè la resistenza al crollo dei tre doni precedenti. Un recente esempio ce lo farà capire meglio. Qualche anno fa dei manipolatori, soprattutto inglesi, pretendevano studiare su embrioni umani di meno di 14 giorni la debilità mentale, l’emofilia, la miopatia o la mucoviscidosi. Ho avuto l’onore di testimoniare davanti al Parlamento britannico e ho fatto notare molto semplicemente che su un embrione di 14 giorni non si può studiare la malformazione di un cervello che non si è ancora formato, non si può studiare un’anomalia di muscoli che non sono nemmeno differenziati e nemmeno un’anomalia dei sangue che ancora non circola; per non parlare del pancreas che apparirà più tardi. Il mio intervento non fu molto ben accolto. Il settimanale scientifico Nature titolò: “Influenza francese in Gran Bretagna, una cosa veramente shocking“. E Nature addirittura propose un abbonamento gratuito di un anno a qualsiasi persona che avesse spedito un protocollo di sperimentazione che dimostrasse la stupidità del mio ragionamento. Bene, sono passati tre anni e non è stato pubblicato nessun protocollo e, per quanto ne sappia io, nessuno riceve gratis quest’ottimo e interessante settimanale inglese.
D’altra parte non era proprio necessario mettere in pericolo esseri umani, perché in questi ultimi tre anni, invece, è stato scoperto il gene della mucoviscidosi e si è clonato il gene della miopatia. Per quanto riguarda l’emofilia, siamo riusciti a ottenere un prodotto che evita la trasmissione dell’Ads e qualche passo avanti è stato fatto anche nella comprensione delle malattie mentali. Queste conquiste della medicina sono state fatte senza mettere in pericolo o mettere in gioco un solo embrione umano. Però le proposte di legge per utilizzare gli embrioni a scopo di ricerca aumentano; perché quest’appetito di carne fresca? Per un motivo che io oso appena dire, tanto il suo realismo è inconfessabile: un embrione di scimpanzé è molto caro mentre la vita umana non ha prezzo, ha perso qualsiasi valore da quando nazioni, un tempo civili, hanno rinunciato a ciò che per duemila anni e più tutti i medici del mondo avevano giurato.
Questa stessa forza dello spirito è venuta a mancare completamente al Parlamento britannico che il 23 aprile 1990 ha approvato una legge secondo la quale i giovanissimi inglesi di meno di 14 giorni possono essere considerati materiale sperimentale, autorizzandone perfino la vivisezione ed è la prima volta che si autorizza a manipolare giovani esseri umani con meno di 14 giorni. Non era mai successo nella storia dell’umanità, e i vostri mass-media come quelli francesi d’altra parte, non hanno nemmeno dato quest’informazione: ciò che vogliono è che i latini non siano scioccati da questa cosa orribile. Quando ne sentiremo parlare fra due o tre anni, diremo: ma è legge in Inghilterra da due o tre anni ormai! E così le reazioni saranno anestetizzate. E venuta l’ora che tutti i paesi ancora un po’ civili dichiarino che l’embrione umano è indisponibile, che non è lecito sfruttarlo, che non è uno schiavo o uno stock di pezzi di ricambio.
La scienza è il quinto dono dello spirito. A questo proposito consentitemi di evocare un aneddoto personale. Circa un anno fa, sono stato chiamato a testimoniare in un processo relativo ad un divorzio in una piccolissima cittadina del Tennessee. Una donna aveva generato, con l’accordo del marito, sette embrioni tramite la fecondazione in vitro e i sette embrioni erano congelati. Mentre il marito voleva che rimanessero in frigorifero e morissero di freddo, la madre proponeva di salvare i bambini o, se la giustizia le avesse rifiutato il diritto di allevarli, avrebbe preferito che venissero dati a un’altra donna piuttosto che saperli congelati per sempre. Allora ho detto: «D’accordo, vengo; perché il processo è già andato in giudicato tremila anni fa, secondo quel giudizio di Salomone che è sempre stato considerato come il metro della giustizia».
C’è una riflessione molto moderna che si può fare a questo proposito. Quando si va a congelare un embrione, non è la vita che viene congelata, è il tempo che viene fermato. Infatti se avessimo fermato la vita questa non potrebbe riprendere, ricominciare, ma se abbiamo semplicemente fermato il tempo, abbassando la temperatura, allora sì che la vita può riprendere, non appena il calore è tornato e il tempo ritrovato. Quando sono chiusi a migliaia in una bottiglia refrigerata con azoto liquido, senza nessuna libertà, i giovani esseri umani sono, per cosi dire, internati in un “concentration can” come io l’ho chiamato davanti al giudice americano, cioè un recinto concentrazionario. In Francia le mie parole furono tradotte “campo di concentramento”, ma è un doppio errore. “Can” vuol dire bottiglia, scatola; inoltre il campo di concentramento è un sistema per accelerare terribilmente la morte, mentre il “concentration can” è invece un modo per rallentare terribilmente la vita.
Il sesto dono dello Spirito viene chiamato pietà filiale. Sappiamo che il messaggio genetico viene sottolineato oppure sbarrato nelle cellule riproduttrici esattamente come uno studente intelligente sottolinea i passi che deve sapere subito, mentre sbarra quelli che utilizzerà dopo o più avanti, se mai gli serviranno. Ma la sorpresa, che risale a due anni fa, è questa: nelle cellule riproduttrici l’uomo sottolinea certi passi, la donna sottolinea altri passi; alla fine dei conti l’uomo segna in anticipo ciò che servirà a fabbricare le cosiddette membrane e la placenta, la donna invece sottolinea ciò che servirà a fabbricare i vari pezzi per costruire il bambino. Se un uovo fecondato contiene un numero normale di cromosomi, tutti segnati dal maschio, non abbiamo a che fare con un essere umano, ma con delle specie di vesciche, pseudosacche amniotiche che chiamiamo mola idatiforme e che possono anche degenerare in un cancro, il cosiddetto corio-epitelioma. Nello stesso modo, un uovo fecondato che contiene soltanto l’informazione sottolineata al modo femminile, non è un essere umano. Fabbrica peli, denti, ossa, pelle, il tutto in un completo disordine.
Queste cose, sconosciute fino a due anni fa, c’insegnano che nell’uovo fecondato l’uomo ha trasmesso come costruire il focolare, come ricercare il cibo, mentre la donna ha, trasmesso il modo di costruire l’essere umano. E per lo scienziato costituisce un ammirazione infinita il ritrovare in quella minuscola sfera di un millimetro e mezzo di diametro, che è l’uovo fecondato, la stessa separazione dei compiti che ritroviamo poi nell’adulto. Ciò ha conseguenze veramente sconvolgenti e rassicuranti allo stesso tempo. Ci vogliono un uomo e una donna per generare uno spirito; la riproduzione monoparentale o unisex è impossibile nella nostra specie. E con questo sono finite le pretese di procreare tra “donne”, chiuso l’incubo gay di concepimento prettamente mascolino, svalutata la speculazione del miliardario che desiderava un clone realizzato a sua immagine e somiglianza per trasmettere nel contempo il suo patrimonio genetico e i suoi interessi finanziari. La prima cellula che non avesse un padre e una madre non potrebbe vivere a lungo, l’essere non sarebbe nemmeno concepito. Allora per il genetista il comandamento divino “onora tuo padre e tua madre per vivere a lungo” è veramente divino, perché anche la natura gli obbedisce.
E qui comincia il timore, il settimo dono dello spirito. Non il timore di abbandonare ogni speranza, come davanti all’inferno dantesco, ma quello della nostra potenza che aumenta ogni giorno, ma non altrettanto la nostra saggezza. Cominciamo a leggere, a decifrare e a capire l’enorme messaggio genetico dell’uomo; ciò che sta in un uovo fecondato, stampato lettera dopo lettera, rappresenterebbe sei volte l’enciclopedia universale. Nessun uomo potrà leggerlo per intero, però potremmo inventare delle macchine che potrebbero leggerne i passi che c’interessano. Sappiamo già come si potrebbe produrre questo robot, questa macchina. Si potrà così riparare un gene difettoso o sostituirlo con uno sano, oppure raffazzonare un passaggio malscritto.
L’utilizzazione medicale di questa scienza e di questa tecnologia non solleva nessun problema morale nuovo finché si opera con cautela e nell’interesse personale del soggetto. Ma la nostra generazione non è proprietaria del patrimonio dell’umanità, ne siamo soltanto i depositari. Ci vorranno delle leggi che dicano chiaramente che non si ha il diritto di approfittare, prendere, sfruttare, fare del bricolage col patrimonio ereditario dell’umanità. Saranno nominati comitati etici che in realtà sono fatti apposta per cambiare la morale. E ai cattolici verrà chiesto di non imporre la propria morale agli altri. Ebbene, ogni volta che verrà detto o rinfacciato questo, ricordatevi che è falso, che è una propaganda antidemocratica. In una democrazia moderna, che non fa nessun riferimento a una morale superiore, ma nella quale la morale pubblica viene definita dalle leggi, per ogni cittadino cercare di far passare nelle leggi del proprio paese ciò che egli considera come “la morale”, non è soltanto un diritto, ma è un dovere democratico.
Il settimo dono dello spirito si riassume in un’unica formula, in una frase latina, e cercate di ricordarvene sempre, cercate di metterla in pratica, perché è la vera libertà: “Timete Dominum et nihil aliud“; temete Dio e null’altro.
(Jerome Lejeune, Meeting di Rimini 1990)
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