ANTONIO GRAMSCI: LA FEDE, PADRE BROWN E SHERLOCK HOLMES
Negli ultimi anni, inhh maniera quasi “nascosta”, sono circolate delle voci sul riavvicinamento alla fede, nei mesi precedenti la morte, da parte di Antonio Gramsci, fondatore del Partito Comunista Italiano: più volte, in passato, si è scritto di questa vicenda, boatos ripresi da alcuni articoli di giornale, in seguito a delle dichiarazioni di mons. Luigi De Magistris, presule vaticano e cagliaritano verace. Il presule ha spiegato più volte di aver saputo i particolari da una suora che lavorava nell’ospedale dove Gramsci era ricoverato: “Il mio conterraneo, Gramsci – ha detto De Magistris – aveva nella sua stanza l’immagine di Santa Teresa del Bambino Gesù. Durante la sua ultima malattia, le suore della clinica dove era ricoverato portavano ai malati l’immagine di Gesù Bambino da baciare. Non la portarono a Gramsci. Lui disse: “Perché non me l’avete portato?”. Gli portarono allora l’immagine di Gesù Bambino e Gramsci la baciò”.
Ma le sorprese su Antonio Gramsci continuano, almeno da parte mia, con la “scoperta” di un libro di Gramsci sul romanzo poliziesco, in particolare su Sherlock Holmes e Padre Brown, dove nell’introduzione Chiara Daniele scrive che sin dal marzo del 1927, nel suo programma di lavoro Gramsci comunicava alla cognata, Tatiana Schucht, dal carcere di Milano, che aveva iniziato la stesura di un saggio sui romanzi di appendice e il gusto popolare in letteratura… E’ lavorando sulla “letteratura popolare” che Gramsci comincia a interessarsi al romanzo poliziesco e, pur nelle difficili condizioni e limitazioni imposte dallo scrivere in carcere, individua e approfondisce temi che sono ancora oggi di straordinaria attualità per gli appassionati del genere e per gli addetti ai lavori.
Come spesso accade nell’officina della scrittura gramsciana, ci sono delle suggestioni che danno avvio alle riflessioni: in questo caso sono due le scintille che accendono l’interesse di Gramsci. La prima, il 13 febbraio 1930, è una cartolina postale ricevuta da Tatiana che scrivendo dei libri che stava leggendo, lo informa: “tra gli altri ho con me “L’innocenza di Padre Brown”, ti ricordi le discussioni che facevamo, ho voluto rileggerlo proprio per questi ricordi”. Gramsci non riprende immediatamente il riferimento a Padre Brown, ma sei mesi dopo informa la cognata della pubblicazione in Italia di una seconda raccolta di racconti di padre Brown, “La saggezza di padre Brown”: “Ti informo – le scriveva – perché il primo volume, mi pare, ti era piaciuto molto e se nel primo il padre Brown era ingenuo mentre nel secondo è saggio chissà quali progressi avrà fatto la sua capacità di induzione e di introspezione psicologica”.
La segnalazione bibliografica inviata a Tatiana si incrocia temporalmente con la seconda occasione che spinge Gramsci a occuparsi del romanzo poliziesco: nel numero di agosto di “Pègaso”, una delle riviste la cui lettura in cella era concessa a Gramsci, viene pubblicato un articolo intitolato “Conan Doyle e la fortuna del romanzo poliziesco”. Questo saggio breve è la fonte principale di quanto Gramsci elaborerà su Sherlock Holmes, Padre Brown e il romanzo poliziesco all’interno della sua ricerca sulla “letteratura popolare”. Da questo scritto trarrà informazioni e spunti, soprattutto l’idea del confronto tra i personaggi di Sherlock Holmes e di padre Brown e tra Conan Doyle e Chesterton. Nella lettera a Tatiana Schucht del 06 ottobre 1930, Gramsci scrive: “Il padre Brown è un cattolico che prende in giro il modo di pensare meccanico dei protestanti e il libro è fondamentalmente un’apologia della Chiesa Romana contro la Chiesa Anglicana. Sherlock Holmes è il poliziotto “protestante” che trova il bandolo della matassa criminale partendo dall’esterno, basandosi sulla scienza, sul metodo sperimentale, sull’induzione.
Padre Brown è il prete cattolico, che attraverso le raffinate esperienze psicologiche date dalla confessione e dal lavorio di casistica morale dei padri, pur senza trascurare la scienza e l’esperienza, ma basandosi specialmente sulla deduzione e sull’introspezione, batte Sherlock Holmes, lo fa apparire un ragazzetto pretenzioso, ne mostra l’angustia e la meschinità. D’altra parte Chesterton è un grande artista, mentre Conan Doyle era un mediocre scrittore, anche se fatto baronetto per meriti letterari; perciò in Chesterton c’è un distacco stilistico tra il contenuto, l’intrigo poliziesco e la forma, quindi una sottile ironia verso la materia trattata che rende più gustosi i racconti. Ti pare? Ricordo che tu leggevi queste novelle come se fossero state cronache di fatti veri e ti immedesimavi fino ad esprimere una schietta ammirazione per padre Brown e per il suo acume meraviglioso, in modo così ingenuo che mi divertiva straordinariamente”.
Nel riportare, a conclusione di questo mio scritto, un chiaro giudizio di Alessandro Zaccuri che introduce il libro “Antonio Gramsci, Sherlock Holmes & Padre Brown, Note sul romanzo Poliziesco”, sono sicuro che, col tempo, approfondirò questo aspetto letterario di un Gramsci “sconosciuto e nascosto” che, nel libro in esame, ha la forma di un duello: “Un duello, neppure troppo a distanza, tra il prete detective e il detective raziocinante per antonomasia, lo Sherlock Holmes di Artur Conan Doyle, che rappresenta uno degli elementi più interessanti della riflessione gramsciana sul poliziesco. Nei “Quaderni dal carcere”, ma anche nelle lettere alla cognata Tatiana Schucht, il fondatore del Partito Comunista ribadisce senza infingimenti la sua preferenza per il “modus operandi” di Chesterton, più “artistico” e meno “meccanico”, più “psicologico” e meno “scientifico” rispetto a quello del pur abile Conan Doyle. Una contrapposizione nella quale, com’è noto, Gramsci crede di ravvisare il riflesso del dissidio mai sanato tra cattolicesimo e protestantesimo… ritenendo padre Brown, con il suo buffo ombrello sotto il braccio, molto più saggio di qualsiasi caricatura anticlericale. Non ha affa
tto paura della ragione. Al contrario ne tesse un elogio memorabile: “La ragione è sempre ragionevole – rivendica -, anche nell’ultimo limbo, all’ultimo confine delle cose”. Per questo la mente umana non arretra davanti al male. Per questo con il benestare di Antonio Gramsci, non ci stanchiamo di indagare”.
tto paura della ragione. Al contrario ne tesse un elogio memorabile: “La ragione è sempre ragionevole – rivendica -, anche nell’ultimo limbo, all’ultimo confine delle cose”. Per questo la mente umana non arretra davanti al male. Per questo con il benestare di Antonio Gramsci, non ci stanchiamo di indagare”.
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