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mercoledì 12 marzo 2014

Ecclesiastici cattolici e scienza

Ecclesiastici cattolici e scienza

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Nella foto l’abate Stoppani, uno dei padri della geologia italiana

…Se dunque la storia della scienza moderna è strettamente connessa con la storia della Chiesa e, più in generale, della credenza nel Dio biblico, Razionale e Legislatore, non è dunque un caso che la gran parte dei padri della scienza, Galilei compreso, come ammette anche un “ateologo” come Richard Dawkins nel suo L’illusione di Dio, siano stati credenti.

Ma si può aggiungere che molti di questi furono addirittura ecclesiastici cattolici (o, più raramente, pastori protestanti)

Abbiamo parlato di fra Roberto Grossatesta e di Georges Lemaître, padre del Big Bang.

Se balziamo all’età moderna, pur compiendo così un’ “ingiustizia” nei confronti di tanti anticipatori medievali, è risaputo che anche Niccolò Copernico, che fu canonico di Frombork, amministratore generale per la sede arcivescovile di Warmia, e persino impiegato presso la Cancelleria pontificia di Roma, era un religioso, “un chierico conservatore e timido che scatenò la rivoluzione suo malgrado”, come ebbe a scrivere un grande studioso della cosmologia rinascimentale come Arthur Koestler, e che la sua opera principale, il De revolutionibus, fu scritta su pressione di Tiedemann Giese, futuro vescovo di Kulm, e dell’arcivescovo di Capua
Nikolaus von Schönberg, e che fu dedicata al papa Paolo III.

Per rimanere nel campo dell’astronomia possiamo ricordare il francescano Ilario Altobelli (1560- 1637), amico e corrispondente di Galilei, tra i primi ad osservare la Supernova di Keplero e probabile scopritore degli anelli di Saturno[2]; Giovanni Battista Odierna (1597-1660), sacerdote astronomo che calcolò per primo le effemeridi dei pianeti medicei; Francesco Bianchini (1662-1729), canonico, astronomo, che disegnò la prima carta del pianeta Venere (a lui è dedicato un cratere marziano); il monaco Giovanni Alberto Colombo (?1770), docente di filosofia, fisica, astronomia e meteorologia all’Università di Padova, inventore di strumenti tra cui un orologio a pendolo isocrono; il sacerdote Giuseppe Toaldo (1719-1797), successore del Colombo sulla cattedra di astronomia di Padova, cui dobbiamo la conversione della Torlonga di Padova in Osservatorio Astronomico; il sacerdote Giuseppe Piazzi (1746-1826), scopritore del primo asteroide, chiamato Cerere; l’abate Giuseppe Calandrelli (1749-1827), anch’egli astronomo e matematico di grande fama; il barnabita Barnaba Oriani (1752-1832), matematico ed astronomo, il primo che determinò l’orbita di Urano: notevoli, secondo la Treccani, “le sue ricerche sulla rifrazione atmosferica, sull’obliquità dell’eclittica, sulle teorie orbitali” (era famoso anche per le opere di beneficienza, donò tutti i suoi beni all’Osservatorio di Brera, di cui era stato direttore, e ad un orfanatrofio; a lui è dedicato un asteroide); l’abate Feliciano Scarpellini (1762-1840), protagonista della rinascita dell’Accademia dei Lincei, fondatore e primo direttore della Specola Astronomica del Campidoglio (1827), autore dell’illuminazione notturna di Roma e inventore di una bilancia di precisione che gli valse una medaglia d’oro da parte di Napoleone III; padre Michele Alberto Bancaleri (1805-1864), scolopio, professore di fisica sperimentale all’università di Genova dal 1846 al 1863, particolarmente noto per la scoperta del diamagnatismo dei gas (1847) che M. Faraday, nei suoi celebri lavori del 1845 sul comportamento magnetico dei corpi, non era riuscito a rilevare, e per i suoi studi sulle forze molecolari; il sacerdote lazzarista Giovanni Boccardi (1859-1936), astronomo dell’Università di Torino, fondatore nel 1906 della prima Società Astronomica Italiana… una grande quantità di astronomi gesuiti, di cui si vedrà più avanti, sino, per rimanere in Italia, a don Giuseppe Tagliaferri (1924-1984), a lungo presidente della Società Astronomica Italiana.

Oppure possiamo rammentare il fatto che il calendario che utilizziamo ancora oggi nel mondo, detto “calendario gregoriano” ed entrato in vigore il 15 ottobre 1582, fu voluto da papa Gregorio XIII e realizzato dal matematico gesuita Cristoforo Clavio, dal monaco Teofilo Marzio, dal sacerdote domenicano, insigne matematico ed astronomo, Ignazio Danti[3], utilizzando anche i calcoli del canonico Niccolò Copernico.

Da ricordare, tra i tanti, anche i contributi del cardinale Nicola Cusano (1401-1464), inventore del primo igrometro; del già citato Danti, inventore del primo anemoscopio-anemometro moderno; del gesuita Luigi Antinori che coordinò, per volontà del granduca di Toscana, la prima rete di osservatori meteorologici che si conosca (1654; la rete era costituita dagli osservatori di Vallombrosa, Cutigliano, Bologna, Parma, Milano, Varsavia e di Innsbruck); del monaco benedettino Andrea Bina (1724-1792) che nel monastero di San Pietro in Perugia, dove il padre Benedetto Castelli aveva inventato il pluviometro, progettò e fece funzionare, nel 1751, il primo sismografo a pendolo del mondo (“sismoscopio a pendolo verticale Bina”), capace di registrare i terremoti, stabilirne la direzione e l’ampiezza, e se fossero ondulatori o sussultori[4]; dell’abate Attanasio Cavalli (1729-1797) carmelitano, che perfezionò l’anemoscopio e inventò un sismografo a mercurio (“sismoscopio a mercurio Cavalli” del 1784); dell’abate Felice Fontana (1730-1805), senza dubbio uno dei migliori chimici del Settecento italiano: contribuì alle tecniche di studio dei gas, perfezionò il barometro e fu esperto di biologia, anatomia, tossicologia, chimica; fu professore di Fisica all’Università di Pisa, medico di corte a Firenze e protagonista della realizzazione del Museo di Fisica e Storia Naturale che diresse fino al 1805; dell’abate francese Pierre Bertholon de Saint-Lazare (1741-1800), autore di diverse opere sull’elettricità, sul parafulmine (fu amico di Benjamin Franklin) e ideatore di un apparecchio per prevenire i terremoti; del padre Giovanni Battista Venturi (1746-1822), discepolo di don Lazzaro Spallanzani, autore di importanti contributi allo studio della meccanica dei fluidi con la descrizione di quello che viene chiamato “effetto Venturi”, che descrive il legame tra velocità e pressione di un fluido in un condotto (da lui il “tubo di Venturi” e il “canale di Venturi”); dell’abate Claude Chappe (1763- 1805), inventore del telegrafo ottico; del padre barnabita Giovanni Maria Cavalleri (1807- 1874) inventore di un nuovo tipo di elettroscopio e del “sismoscopio Cavalleri” del 1870 (oltre che di telescopi e di microscopi utilizzati per scoprire le malattie che danneggiavano i bachi da seta)[5]; dell’abate Giovanni Caselli (1815-1891), insignito della Legione d’Onore da Napoleone III perché inventore del pantelegrafo, l’antenato del fax (uno dei primi a servirsene fu Gioacchino Rossini che, trovandosi a Parigi, poté tele-trasmettere ad Amiens un suo spartito musicale); del padre scolopio Filippo Cecchi (1822-1887), direttore dell’osservatorio Ximeniano, dal 1872 al 1887, inventore di vari strumenti di meteorologia (“avvisatore sismico a sfera Cecchi” del 1881; “sismografo analizzatore a triplo pendolo Cecchi” del 1886; “sismografo elettrico a carte affumicate scorrevoli Cecchi” del 1875), cofondatore, insieme al sacerdote barnabita Francesco Maria Denza, della “Società meteorologica italiana”[6]; del padre barnabita Timoteo Bertelli (1826 -1905), padre della moderna micro-sismologia, cui dobbiamo precisi strumenti (tromometri) in grado di rilevare fenomeni microsismici, i “tremiti” della terra (“Tromometro normale” del 1874; “avvisatore sismico a doppio pendolo Bertelli” del 1881; “pendolo protografico Bertelli” del 1891); di padre Francesco Maria Denza (1834-1894), pioniere della meteorologia italiana dell’Ottocento[7]; del padre scolopio Eugenio Barsanti (1821-1864), ingegnere e ideatore, insieme a Felice Matteucci, del primo motore a combustione interna della storia (brevettato in vari paesi europei); di don Luigi Cerebotani (1847-1928), grande inventore in svariati campi (mai però sfruttò a fini di guadagno le sue scoperte): inventò un nefometro, il teletopometro, per misurazioni a distanza (adottato dalla marina tedesca), il teletipografo (1909), primo esempio di telescrivente (impiegato in Germania, in Francia e in Vaticano), il teleautografo, per trasmettere a distanza disegni e scritti (perfezionamento del pantelegrafo di Caselli) e altri apparecchi per radiotelegrafia e telefonia[8]; del sacerdote Giuseppe Mercalli (1850-1914) – allievo dell’abate naturalista Antonio Stoppani –, geologo, vulcanologo, sismologo, cui è legata la famosa “Scala Mercalli” per la misurazione della intensità dei terremoti, disegnatore della prima cartina sismica e della prima cartina vulcanologica d’Italia; del padre Bernardo Paoloni, che istituì il Servizio radioatmosferico italiano, inventò il fotoanemometro, eche nel Gennaio 1920 fece nascere «Meteorologia Pratica», rivista della quale fu ideatore e direttore e che costituì il primo lavoro che si occupasse in forma semplice e popolare di Meteorologia relazionata all’agricoltura, al commercio, all’aeronautica, all’igiene e ai fenomeni atmosferici…[9].

Se si può quindi dire che la meteorologia e la sismologia hanno visto la luce in buona parte grazie ad uomini di Chiesa[10], spesso all’interno dei chiostri conventuali, laddove era nata anche la prima farmacologia.

Lo stesso si può dire per laeronautica -che ha come pionieri il frate Ruggero Bacone, il monaco medievale Elmer e soprattutto il gesuita Lana de Terzi-, per l’idraulica e per la genetica.

Fu il già citato padre Benedetto Castelli, benedettino, “antico e affezionato allievo, nonché principale collaboratore” di Galilei, autore di Della misura delle acque correnti, a iniziare la scienza matematica delle acque correnti, fondando così l’idraulica moderna, mentre a porre le basi della genetica (le leggi di Mendel) fu il frate agostiniano ceco Gregor Mendel (1822-1884), la cui attività scientifica si fondava sull’idea per cui «le forze della natura agiscono secondo una segreta armonia, che è compito dell’uomo scoprire per il bene dell’uomo stesso e la gloria del Creatore»[11].


Potremmo aggiungere che, ancora prima che la genetica sorgesse, la geologia, la cristallografia e la paleontologia ebbero come padre fondatore un devoto protestante danese convertito al cattolicesimo, divenuto vescovo e poi beato: Niccolò Stenone, o Niels Stensen (1638-1686); nella foto.

Stenone fu anzitutto un celebre anatomista (ha scoperto tra l’altro il «condotto salivare della parotide, che da allora si chiama “dotto di Stenone”, la funzione dell’utero, numerose ghiandole esocrine di occhio, orecchio, naso, bocca…»[12]) approdato, ad un certo punto della sua vita a Firenze, presso l’Accademia del Cimento, all’epoca il più prestigioso cenacolo scientifico del mondo. Qui conobbe Vincenzo Viviani, ultimo discepolo e biografo di Galilei, Lorenzo Magalotti, e il già citato Francesco Redi.

A Firenze il protestante Stenone scoprì che «in contrasto con gli stereotipi sui cattolici con cui era stato cresciuto nella Danimarca luterana, i suoi nuovi amici erano cristiani devoti con uno spiccato senso morale», Viviani e Redi compresi. Galilei era il loro nume tutelare, ed essi ritenevano che la sua sfortuna fosse dovuta alla «gelosia personale e all’indole vendicativa di nemici schierati tra gli studiosi aristotelici conservatori», perché in verità «la sua scienza non offendeva la fede in alcun modo». In questo ambiente lo studioso danese concentrò i suoi interessi sulle conchiglie e sui fossili, fondando così la geologia in un breve e immortale trattato di 68 pagine, il De solido (1669). Prima della pubblicazione lo scienziato danese consegnò il testo al vicario generale della Chiesa di Firenze, dal momento che non vi mancavano i “riferimenti espliciti alle Scritture”. Ci si potevano aspettare, per questo motivo, accurate analisi, invece furono nominati come censori due amici di Stenone, entrambi cattolici e galileiani: il discepolo di Galilei Vincenzo Viviani e il medico Francesco Redi.

Nel De solido Stenone partiva dall’osservazione delle conchiglie, dei fossili e dei denti di uno squalo. Come per Galilei l’ostacolo principale erano state le dottrine pagane di Aristotele, così la domanda di Stenone sul perché si trovassero conchiglie sulle montagne o nei terreni o nelle rocce, trovò l’opposizione di “alcune correnti mistiche del Rinascimento”: «i filosofi neoplatonici ed ermetici, insegnavano che ogni cosa sulla terra era plasmata da forze plastiche e da invisibili emanazioni delle stelle». Secondo tale visione animista, pagana, le conchiglie fossili non sono vere conchiglie, ma entità che sbocciano dal suolo, come le piante, per generazione spontanea, per riverberi di stelle e di pianeti, per forze magiche, per virtù dell’Anima Mundi. Queste dunque erano le idee che Stenone dovette demolire, per dimostrare che i fossili altro non sono che creature viventi “il cui corpo è stato ricoperto lentamente dalla stratificazione dei sedimenti”.

Così analizzando fossili, conchiglie, stratificazioni varie, dischiuse lo studio della terra, del suo passato, della sua storia, creando la geologia e definendo alcuni principi basilari, detti ancor oggi “principi di Stenone. Intanto egliapprodò dal luteranesimo al cattolicesimo: rimase colpito, soprattutto, da una processione del Corpus Domini, dalla devozione allegra degli italiani, dalla figura ascetica del gesuita Paolo Segneri, e soprattutto dal dialogo con alcune donne di fede. Nell’aprile del 1675 divenne prete e poco dopo vescovo. Andò a Roma, per l’ordinazione, nel 1677, a piedi, “vivendo di carità nel corso del viaggio”. Il papa lo inviò in Germania, tra i protestanti, dove visse in condizioni estreme, arrivando a vendere l’anello e la croce d’argento, per aiutare i poveri. Dormiva poco, digiunava, lavorava, pregava… Morì il 25 novembre 1686 e nel 1988 verrà proclamato beato dalla Chiesa. Celebre un suo aforisma, che dice della sua consapevolezza di quanto le scoperte umane non siano nulla rispetto alla misteriosa grandezza dell’Essere: «Belle sono le cose che si vedono, ancor più belle quelle che si conoscono, bellissime quelle che si ignorano»[13].

Infine va ricordato almeno il ruolo decisivo di alcuni ecclesiastici nella nascita dell’ottica e della biologia.

Quanto alla prima, le basi vanno rintracciate in alcuni principi e teoremi già dimostrati dal greco Euclide e dalla scienza araba. Ma furono i frati francescani Ruggero Bacone e Giovanni Peckham, sull’onda dell’insegnamento di Grossatesta, a rimettere in auge e a sviluppare la perspectiva, e fu il monaco polacco Witelo, noto anche come Vitellione, a cui è oggi dedicato un cratere lunare, sempre nel XIII secolo, a comporre gli unici trattati di ottica in grado di competere, all’epoca, con le opere arabe sull’argomento, influenzando così gli autori successivi (tra cui Keplero, che scriverà infatti Paralipomena ad Vitellionem)[14]. Fu poi un altro ecclesiastico, Leon Battista Alberti (1404-1472), genio poliedrico del Rinascimento, a proporre per primo l’enunciazione teorica delle regole della prospettiva, mentre il monaco Francesco Maurolico (1494-1575), che per primo applicò il principio di induzione matematica, per primo riconobbe la funzione del cristallino dell’occhio[15]. Nel 1616 un gesuita, Niccolò Zucchi, sarà l’ideatore del primo telescopio riflettore; nel 1625  un altro gesuita, Cristoph Scheiner, inventore del prospettografo, riuscirà a provare l’esistenza di immagini retiniche (da lui prende il nome, in oftalmologia e optometria, il “disco di Scheiner”)[16]; un altro gesuita, Francesco Maria Grimaldi, nella sua opera postuma Physico-mathesis de lumine, coloribus et iride aliisque adnexi libri duo (1665) dimostrerà per via sperimentale la diffrazione della luce…

Quanto alle origini della biologia moderna, vi troviamo un sacerdote: Lazzaro Spallanzani (1729-1799), detto “il principe dei biologi” ed anche il “Galilei dei biologi”. La sua attività di sperimentatore frenetico ne fa il padre della fecondazione artificiale animale; un pioniere nello studio dei pipistrelli e dei loro meccanismi sensoriali (il “radar animale”); un pioniere negli studi sulla respirazione, la digestione, la riproduzione animale, la vulcanologia… Inoltre compì esperimenti innovativi sulla meccanica della circolazione, sull’azione del cuore, sulla rigenerazione della coda, degli arti o della testa amputata nei lombrichi, girini di anfibi, lumache e salamandre…[17].

 dal Cap. VIII di Scienziati, dunque credenti, Cantagalli





[1]B. Danese, Petrus Peregrinus e i poli del magnete, Reinventore, Verona 2011.

[2]A. Giostra, F. Merletti, W. Shea, Ilario Altobelli. Scienziato, teologo, corrispondente di Galileo Galilei, empatiaBOOKS, 2011.

[3]  Danti ebbe da Cosimo I de’ Medici la carica di Cosmografo granducale, ed elaborò le mappe che decorano la Sala delle Carte di Palazzo Vecchio. Ebbe un’intensa attività di ideatore di strumenti scientifici, di autore di testi molto diffusi sulla fabbricazione ed uso dell’astrolabio e di astronomia. Fu anche lettore di Matematiche presso lo Studio fiorentino. A lui si devono lo gnomone, il quadrante astronomico e l’armilla posti sulla facciata della chiesa di S. Maria Novella. A Roma lavorò alle carte geografiche dei palazzi Vaticani. Divenne, infine, Vescovo di Alatri (dal sito del Museo di Storia della Scienza di Firenze).

[4]G. Terrenzi, L’inventore del sismografo a pendolo, in «Rivista scientifico-industriale», XIX (1887), pp. 52-55; G. Agamennone, L’inventore del sismografo a pendolo, in «La meteorologia pratica», VII (1926), pp. 264-266.

[5] Sandro Doldi, Atti dell’Accademia Ligure di Scienza e Lettere, Vol. XLVIII, 1991, “Chierici presenti alle riunioni degli scienziati italiani in periodo risorgimentale”.

[6]  Il Cecchi è una personalità straordinaria che merita di essere approfondita: nei «primi anni di attività apportò significative migliorie agli apparecchi telegrafici e nel 1854 costruì una nuova elettrocalamita che ebbe presto un notevole successo. In occasione della Prima Esposizione Italiana, svoltasi a Firenze nel 1861, Cecchi presentò un nuovo tipo di motore elettromagnetico; due anni prima su incarico delle autorità cittadine, egli aveva collocato sotto il portico dell’Orcagna in Firenze un termometro ed un barometro a quadrante di grandi dimensioni da lui costruiti. Restaurò lo gnomone installato nel Duomo di Firenze dallo Ximenes, ripetendo in quell’occasione le esperienze di Foucauld. Come responsabile dell’installazione dei parafulmini, Cecchi vi apportò importanti modifiche evolvendo il sistema tradizionale ed ottenendo buoni risultati nella protezione dei monumenti fiorentini dalla scariche elettriche. Dal 1872, in seguito alla scomparsa di P. Antonelli, Cecchi assunse la direzione dell’Osservatorio Ximeniano. Immediatamente si rese conto dell’impossibilità di continuare nell’indirizzo prevalentemente astronomico dell’osservatorio… Cecchi operò per mutare l’indirizzo di ricerca concentrando le attività dell’istituto verso la meteorologia; immediatamente riordinò e completò l’arredo scientifico dell’Osservatorio Ximeniano, progettò e fece costruire nuovi strumenti meteorologici quali il nefoscopio ed un meteorografo economico alla cui messa a punto lavorò per molti anni senza riuscire a realizzare il prototipo. La cura e l’entusiasmo mostrati da Cecchi nel riorganizzare l’attività dell’Osservatorio Ximeniano ed una rete toscana di stazioni meteorologiche secondarie, gli valse la stima della comunità scientifica; nel 1879 fu invitato al Congresso Internazionale di Meteorologia che si svolse a Roma ed in seguito collaborò con Francesco Denza alla fondazione della Società Meteorologica Italiana. Le sue doti di scienziato pratico ebbero modo di emergere nel corso della sua attività di progettista di strumenti per le osservazioni sismiche. Il primo di una lunga serie fu il sismografo elettrico a carte affumicate fisse presentato nel 1876 alla Pontificia Accademia de’ Nuovi Lincei, il complesso di questa sua attività gli fece meritare la medaglia d’oro all’Esposizione Nazionale di Torino del 1884. Fu membro non residente a Roma della Accademia Pontificia de’ Nuovi Lincei» (M. S. De Rossi, Il P. Filippo Cecchi delle scuole Pie, Nota bibliografica, in «Atti della Pontificia Accademia dei Nuovi Lincei», A.XL, Sess.V, (1887). Roma 1887; http://storing.ingv.it/tromos/comments/COMM01001.htm).

[7]  Dal sito ufficiale della Società metereologica italiana: http://www.nimbus.it/articoli/anticasmi.htm. Sull’Encicolpedia Treccani, alla voce Francesco Denza, si legge tra l’altro: «Dietro iniziativa del Denza, che coinvolse il Club alpino italiano, venne istituita una rete di stazioni meteorologiche di montagna che, numerose, sorsero su tutti i rilievi montuosi italiani; conseguentemente la Corrispondenza assunse il nome di Corrispondenza meteorologica italiana delle Alpi e degli Appennini. Dal 1875 il Denza estese la rete a tutto il territorio nazionale e, con l’aiuto dei missionari italiani in America meridionale, fece allestire una serie di stazioni anche in quel continente. Nella prima riunione meteorologica italiana, tenutasi a Torino nel 1880, il Denza presentò un anemoscopio, un anemometro semplice, un anemografo e un pluviografo; successivamente fuse gli ultimi due in uno strumento unico, denominato “anemopluviografo Denza”. Nel 1881 fu istituita la Società meteorologica italiana e al Denza, consideratone a giusto merito il fondatore, fu affidata la direzione. In tale veste tenne le riunioni della Società a Napoli nel 1882, a Firenze nel 1886, a Venezia nel 1888 e iniziò la pubblicazione dell’Annuario meteorologico italiano. In seno alla Società caldeggiò l’istituzione di rilievi sismologici sistematici…».

[8] Dal Dizionario Biografico degli Italiani – Volume 23 (1979): «Gli studi scientifici del C. si volsero soprattutto alla telegrafia e al modo di renderla più moderna ed attuabile attraverso apparecchi cosiddetti imprimenti e di corrispondenza duplice, triplice e multipla. Per superare le difficoltà imposte dalla realizzazione di quel perfetto sincronismo, che la fedeltà della trasmissione chiede, il C., superando i risultati raggiunti sia dal telegrafo Hugues sia dal pantelegrafo Caselli, pensò, anzitutto, di sostituire al movimento continuo dei due organi situati nelle stazioni tra loro comunicanti, uno discontinuo, facendo loro compiere un solo giro per ogni segno trasmesso.
Per raggiungere tale scopo fornì ciascuno dei predetti organi di un congegno a orologeria capace di imprimere un medesimo senso di rotazione quando, essi fossero svincolati da un nottolino di arresto. Chiudendo il circuito elettrico trasmittente, la corrente eccitava un elettromagnete e svincolava l’organo ricevente del nottolino. L’organo ricevente veniva così messo in rotazione e l’impressione del segno corrispondente al segnale trasmesso avveniva durante il compimento di un giro dell’organo stesso. Ultimato il giro, il nottolino tornava a bloccare automaticamente l’organo.
L’apparecchio ideato dal C., che presentava il vantaggio di non richiedere un’uguaglianza rigorosa delle velocità dei due organi, venne denominato “pantelegrafo Cerebotani” (o “pantelegrafo fac-simile”). Un’invenzione del C. da ricordare è il “relais Cerebotani” e cioè un soccorritore che, a differenza di quelli usati sino ad allora, riusciva ad azionare a grande distanza un ricevitore telegrafico, anche con una corrente indebolita. La corrente in arrivo alla stazione ricevente non doveva infatti muovere organi meccanici, come nei tipi precedenti, ma con essa veniva semplicemente chiuso il circuito di una pila locale, in cadenza con le emissioni di corrente dalla stazione emittente, e per un periodo di tempo uguale a quello di emissione della corrente. Il relais inventato dal C. si prestava perciò a funzionare sia come soccorritore ordinario, sia come soccorritore filtro (perché non trasmetteva correnti inferiori ad una data grandezza), sia come soccorritore polarizzato perché, invertendo la direzione della corrente, l’interruttore non si muoveva. Tra le numerose invenzioni del C. è da ricordare anche quella di un manipolatore che aveva lo scopo di mettere chiunque in grado di far funzionare un ricevitore Morse. Tale apparecchio era anch’esso basato sul principio del pantelegrafo ed era fatto in modo tale che la ruota dei tipi effettuava un solo giro a ciascuna impressione, arrestandosi quando era compiuta e ritornando sempre nella posizione di attesa, nella quale veniva a presentare, in alto, un tratto liscio
del suo contorno, e cioè un tratto senza tipi. Il C. denominò il manipolatore “quiquolibet”, volendo indicare che si trattava d’un apparecchio destinato a una corrispondenza tra privati a distanza limitata, pur potendo essere usato anche per distanze considerevoli, con opportune modifiche di impianto. Egli ideò anche altri tipi di manipolatori caratterizzati da una particolare rapidità di lavoro e li denominò “expedit”. Il 3 maggio 1895 illustrò le principali invenzioni e i principî seguiti nella telegrafia multipla in una conferenza al Club elettronico di Monaco di Baviera, cui intervenne anche la legazione italiana…”.

[9] Sito ufficiale dell’Osservatorio sismico di Perugia: http://www.binapg.it/it/padri-benedettini.html. P. Pagano, Scienza, tecnica, osservazione e ricerca nella suggestiva cornice del monastero di san Pietro in Perugia, Perugia (senza data).

[10]L. Iafrate, Fede e Scienza: un incontro proficuo. Origini e sviluppo della Meteorologia fino agli inizi del ’900,Ateneo Pontificio Regina Apostolorum, Roma 2008. Mi limito a riportare altri tre metereologi e sismologi sacerdoti italiani molto importanti: Guido Alfani (1876 – ivi 1940); Giovanni Battista Alfano (1878 – ivi 1955); Ernesto Gherzi (1886-1973).

[11]  Francesco Agnoli, Enzo Pennetta, “Lazzaro Spallanzani e Gregor Mendel. Alle origini della biologia e della genetica”, Cantagalli, Siena, 2012.

[12]R. Chiaberge, cit., p. 29.

[13]A. Cutler, La conchiglia del diluvio. Niccolò Stenone e la nascita della scienza della Terra, Il Saggiatore, Milano 2007. In generale, per rapporti scienza e fede, molto interessanti i due seguenti siti: uccronline.it; disf.org.

[14]Graziella Federici-Vescovini, “Le teorie della luce e della visione ottica dal IX al XV secolo: studi sulla prospettiva medievale e altri saggi”,  Morlacchi Editore, 2003.

[15] Nel suoDiaphaneon seu transparentium libellus, Maurolico si occupò con intelligenza ed originalità di struttura anatomica dell’occhio, di lenti biconvesse e biconcave, del meccanismo della visione, delle cause della miopia e dell’ipermetropia e dello studio degli occhiali per la loro correzione, della lente ustoria.

[16] Luigi Ingaliso, “Filosofia e cosmologia in Christoph Scheiner”, Rubbettino, 2005.


[17]Francesco Agnoli, Enzo Pennetta, op. cit.

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