Ecclesiastici cattolici e scienza
***
Nella foto l’abate Stoppani, uno dei padri della geologia italiana
…Se dunque la storia della scienza moderna è
strettamente connessa con la storia della Chiesa e, più in generale,
della credenza nel Dio biblico, Razionale e Legislatore, non è dunque un
caso che la gran parte dei padri della scienza, Galilei compreso, come
ammette anche un “ateologo” come Richard Dawkins nel suo L’illusione di Dio, siano stati credenti.
Ma si può aggiungere che molti di questi furono addirittura ecclesiastici cattolici (o, più raramente, pastori protestanti)
Abbiamo parlato di fra Roberto Grossatesta e di Georges Lemaître, padre del Big Bang.
Se balziamo all’età moderna, pur compiendo così un’ “ingiustizia” nei confronti di tanti anticipatori medievali, è risaputo che
anche Niccolò Copernico, che fu canonico di Frombork, amministratore
generale per la sede arcivescovile di Warmia, e persino impiegato presso
la Cancelleria pontificia di Roma, era un religioso, “un
chierico conservatore e timido che scatenò la rivoluzione suo malgrado”,
come ebbe a scrivere un grande studioso della cosmologia rinascimentale
come Arthur Koestler, e che la sua opera principale, il De revolutionibus, fu scritta su pressione di Tiedemann Giese, futuro vescovo di Kulm, e dell’arcivescovo di Capua
Nikolaus von Schönberg, e che fu dedicata al papa Paolo III.
Nikolaus von Schönberg, e che fu dedicata al papa Paolo III.
Per rimanere nel campo dell’astronomia possiamo
ricordare il francescano Ilario Altobelli (1560- 1637), amico e
corrispondente di Galilei, tra i primi ad osservare la Supernova di
Keplero e probabile scopritore degli anelli di Saturno[2];
Giovanni Battista Odierna (1597-1660), sacerdote astronomo che calcolò
per primo le effemeridi dei pianeti medicei; Francesco Bianchini
(1662-1729), canonico, astronomo, che disegnò la prima carta del pianeta
Venere (a lui è dedicato un cratere marziano); il monaco Giovanni
Alberto Colombo (?1770), docente di filosofia, fisica, astronomia e
meteorologia all’Università di Padova, inventore di strumenti tra cui un
orologio a pendolo isocrono; il sacerdote Giuseppe Toaldo (1719-1797),
successore del Colombo sulla cattedra di astronomia di Padova, cui
dobbiamo la conversione della Torlonga di Padova in Osservatorio
Astronomico; il sacerdote Giuseppe Piazzi (1746-1826), scopritore del
primo asteroide, chiamato Cerere; l’abate Giuseppe Calandrelli
(1749-1827), anch’egli astronomo e matematico di grande fama; il
barnabita Barnaba Oriani (1752-1832), matematico ed astronomo, il primo
che determinò l’orbita di Urano: notevoli, secondo la Treccani, “le sue
ricerche sulla rifrazione atmosferica, sull’obliquità dell’eclittica,
sulle teorie orbitali” (era famoso anche per le opere di beneficienza,
donò tutti i suoi beni all’Osservatorio di Brera, di cui era stato
direttore, e ad un orfanatrofio; a lui è dedicato un asteroide); l’abate
Feliciano Scarpellini (1762-1840), protagonista della rinascita
dell’Accademia dei Lincei, fondatore e primo direttore della Specola
Astronomica del Campidoglio (1827), autore dell’illuminazione notturna
di Roma e inventore di una bilancia di precisione che gli valse una
medaglia d’oro da parte di Napoleone III; padre Michele Alberto Bancaleri
(1805-1864), scolopio, professore di fisica sperimentale all’università
di Genova dal 1846 al 1863, particolarmente noto per la scoperta del
diamagnatismo dei gas (1847) che M. Faraday, nei suoi celebri lavori del
1845 sul comportamento magnetico dei corpi, non era riuscito a
rilevare, e per i suoi studi sulle forze molecolari; il sacerdote
lazzarista Giovanni Boccardi (1859-1936), astronomo dell’Università di
Torino, fondatore nel 1906 della prima Società Astronomica Italiana… una
grande quantità di astronomi gesuiti, di cui si vedrà più avanti, sino,
per rimanere in Italia, a don Giuseppe Tagliaferri (1924-1984), a lungo
presidente della Società Astronomica Italiana.
Oppure possiamo rammentare il fatto che il calendario che utilizziamo ancora oggi nel mondo,
detto “calendario gregoriano” ed entrato in vigore il 15 ottobre 1582,
fu voluto da papa Gregorio XIII e realizzato dal matematico gesuita
Cristoforo Clavio, dal monaco Teofilo Marzio, dal sacerdote domenicano,
insigne matematico ed astronomo, Ignazio Danti[3], utilizzando anche i calcoli del canonico Niccolò Copernico.
Da ricordare, tra i tanti, anche i contributi del cardinale Nicola Cusano (1401-1464), inventore del primo igrometro;
del già citato Danti, inventore del primo anemoscopio-anemometro
moderno; del gesuita Luigi Antinori che coordinò, per volontà del
granduca di Toscana, la prima rete di osservatori meteorologici che si
conosca (1654; la rete era costituita dagli osservatori di Vallombrosa,
Cutigliano, Bologna, Parma, Milano, Varsavia e di Innsbruck); del monaco
benedettino Andrea Bina (1724-1792) che nel monastero di San Pietro in
Perugia, dove il padre Benedetto Castelli aveva inventato il
pluviometro, progettò e fece funzionare, nel 1751, il primo sismografo a
pendolo del mondo (“sismoscopio a pendolo verticale Bina”), capace di
registrare i terremoti, stabilirne la direzione e l’ampiezza, e se
fossero ondulatori o sussultori[4];
dell’abate Attanasio Cavalli (1729-1797) carmelitano, che perfezionò
l’anemoscopio e inventò un sismografo a mercurio (“sismoscopio a
mercurio Cavalli” del 1784); dell’abate Felice Fontana (1730-1805),
senza dubbio uno dei migliori chimici del Settecento italiano: contribuì
alle tecniche di studio dei gas, perfezionò il barometro e fu esperto
di biologia, anatomia, tossicologia, chimica; fu professore di Fisica
all’Università di Pisa, medico di corte a Firenze e protagonista della
realizzazione del Museo di Fisica e Storia Naturale che diresse fino al
1805; dell’abate francese Pierre Bertholon de Saint-Lazare (1741-1800),
autore di diverse opere sull’elettricità, sul parafulmine (fu amico di Benjamin Franklin) e ideatore di un apparecchio per prevenire i terremoti;
del padre Giovanni Battista Venturi (1746-1822), discepolo di don
Lazzaro Spallanzani, autore di importanti contributi allo studio della meccanica dei fluidi con la descrizione di quello che viene chiamato “effetto Venturi”, che descrive il legame tra velocità e pressione di un fluido in un condotto
(da lui il “tubo di Venturi” e il “canale di Venturi”); dell’abate
Claude Chappe (1763- 1805), inventore del telegrafo ottico; del padre
barnabita Giovanni Maria Cavalleri (1807- 1874) inventore di un nuovo
tipo di elettroscopio e del “sismoscopio Cavalleri” del 1870 (oltre che di telescopi e di microscopi utilizzati per scoprire le malattie che danneggiavano i bachi da seta)[5];
dell’abate Giovanni Caselli (1815-1891), insignito della Legione
d’Onore da Napoleone III perché inventore del pantelegrafo, l’antenato
del fax (uno dei primi a servirsene fu Gioacchino Rossini che,
trovandosi a Parigi, poté tele-trasmettere ad Amiens un suo spartito
musicale); del padre scolopio Filippo Cecchi (1822-1887), direttore
dell’osservatorio Ximeniano, dal 1872 al 1887, inventore di vari
strumenti di meteorologia (“avvisatore sismico a sfera Cecchi” del 1881;
“sismografo analizzatore a triplo pendolo Cecchi” del 1886; “sismografo
elettrico a carte affumicate scorrevoli Cecchi” del 1875), cofondatore,
insieme al sacerdote barnabita Francesco Maria Denza, della “Società
meteorologica italiana”[6]; del padre barnabita Timoteo Bertelli (1826 -1905),
padre della moderna micro-sismologia, cui dobbiamo precisi strumenti
(tromometri) in grado di rilevare fenomeni microsismici, i “tremiti”
della terra (“Tromometro normale” del 1874; “avvisatore sismico a doppio
pendolo Bertelli” del 1881; “pendolo protografico Bertelli” del 1891);
di padre Francesco Maria Denza (1834-1894), pioniere della meteorologia
italiana dell’Ottocento[7];
del padre scolopio Eugenio Barsanti (1821-1864), ingegnere e ideatore,
insieme a Felice Matteucci, del primo motore a combustione interna della
storia (brevettato in vari paesi europei); di don Luigi Cerebotani
(1847-1928), grande inventore in svariati campi (mai però sfruttò a fini
di guadagno le sue scoperte): inventò un nefometro, il teletopometro,
per misurazioni a distanza (adottato dalla marina tedesca), il
teletipografo (1909), primo esempio di telescrivente (impiegato in
Germania, in Francia e in Vaticano), il teleautografo, per trasmettere a
distanza disegni e scritti (perfezionamento del pantelegrafo di
Caselli) e altri apparecchi per radiotelegrafia e telefonia[8];
del sacerdote Giuseppe Mercalli (1850-1914) – allievo dell’abate
naturalista Antonio Stoppani –, geologo, vulcanologo, sismologo, cui è
legata la famosa “Scala Mercalli” per la misurazione della intensità dei
terremoti, disegnatore della prima cartina sismica e della prima
cartina vulcanologica d’Italia; del padre Bernardo Paoloni, che istituì
il Servizio radioatmosferico italiano, inventò il fotoanemometro, eche
nel Gennaio 1920 fece nascere «Meteorologia Pratica», rivista della
quale fu ideatore e direttore e che costituì il primo lavoro che si
occupasse in forma semplice e popolare di Meteorologia relazionata
all’agricoltura, al commercio, all’aeronautica, all’igiene e ai fenomeni
atmosferici…[9].
Se si può quindi dire che la meteorologia e la sismologia hanno visto la luce in buona parte grazie ad uomini di Chiesa[10], spesso all’interno dei chiostri conventuali, laddove era nata anche la prima farmacologia.
Lo stesso si può dire per l’aeronautica -che ha come pionieri il frate Ruggero Bacone, il monaco medievale Elmer e soprattutto il gesuita Lana de Terzi-, per l’idraulica e per la genetica.
Fu il già citato padre Benedetto Castelli,
benedettino, “antico e affezionato allievo, nonché principale
collaboratore” di Galilei, autore di Della misura delle acque correnti,
a iniziare la scienza matematica delle acque correnti, fondando così
l’idraulica moderna, mentre a porre le basi della genetica (le leggi di
Mendel) fu il frate agostiniano ceco Gregor Mendel (1822-1884), la cui
attività scientifica si fondava sull’idea per cui «le forze della natura
agiscono secondo una segreta armonia, che è compito dell’uomo scoprire
per il bene dell’uomo stesso e la gloria del Creatore»[11].
Potremmo aggiungere che, ancora prima che la genetica sorgesse, la geologia, la cristallografia e la paleontologia
ebbero come padre fondatore un devoto protestante danese convertito al
cattolicesimo, divenuto vescovo e poi beato: Niccolò Stenone, o Niels
Stensen (1638-1686); nella foto.
Stenone fu anzitutto un celebre anatomista (ha
scoperto tra l’altro il «condotto salivare della parotide, che da allora
si chiama “dotto di Stenone”, la funzione dell’utero, numerose
ghiandole esocrine di occhio, orecchio, naso, bocca…»[12])
approdato, ad un certo punto della sua vita a Firenze, presso
l’Accademia del Cimento, all’epoca il più prestigioso cenacolo
scientifico del mondo. Qui conobbe Vincenzo Viviani, ultimo discepolo e
biografo di Galilei, Lorenzo Magalotti, e il già citato Francesco Redi.
A Firenze il protestante Stenone scoprì
che «in contrasto con gli stereotipi sui cattolici con cui era stato
cresciuto nella Danimarca luterana, i suoi nuovi amici erano cristiani
devoti con uno spiccato senso morale», Viviani e Redi compresi. Galilei
era il loro nume tutelare, ed essi ritenevano che la sua sfortuna fosse
dovuta alla «gelosia personale e all’indole vendicativa di nemici
schierati tra gli studiosi aristotelici conservatori», perché in verità
«la sua scienza non offendeva la fede in alcun modo». In questo ambiente
lo studioso danese concentrò i suoi interessi sulle conchiglie e sui
fossili, fondando così la geologia in un breve e immortale trattato di
68 pagine, il De solido
(1669). Prima della pubblicazione lo scienziato danese consegnò il
testo al vicario generale della Chiesa di Firenze, dal momento che non
vi mancavano i “riferimenti espliciti alle Scritture”. Ci si potevano
aspettare, per questo motivo, accurate analisi, invece furono nominati
come censori due amici di Stenone, entrambi cattolici e galileiani: il
discepolo di Galilei Vincenzo Viviani e il medico Francesco Redi.
Nel De solido Stenone partiva
dall’osservazione delle conchiglie, dei fossili e dei denti di uno
squalo. Come per Galilei l’ostacolo principale erano state le dottrine
pagane di Aristotele, così la domanda di Stenone sul perché si
trovassero conchiglie sulle montagne o nei terreni o nelle rocce, trovò
l’opposizione di “alcune correnti mistiche del Rinascimento”: «i
filosofi neoplatonici ed ermetici, insegnavano che ogni cosa sulla terra
era plasmata da forze plastiche e da invisibili emanazioni delle
stelle». Secondo tale visione animista, pagana, le conchiglie fossili
non sono vere conchiglie, ma entità che sbocciano dal suolo, come le
piante, per generazione spontanea, per riverberi di stelle e di pianeti,
per forze magiche, per virtù dell’Anima Mundi. Queste dunque erano le
idee che Stenone dovette demolire, per dimostrare che i fossili
altro non sono che creature viventi “il cui corpo è stato ricoperto
lentamente dalla stratificazione dei sedimenti”.
Così analizzando fossili, conchiglie,
stratificazioni varie, dischiuse lo studio della terra, del suo passato,
della sua storia, creando la geologia e definendo alcuni principi
basilari, detti ancor oggi “principi di Stenone”. Intanto egliapprodò dal luteranesimo al cattolicesimo: rimase colpito, soprattutto, da una processione del Corpus Domini,
dalla devozione allegra degli italiani, dalla figura ascetica del
gesuita Paolo Segneri, e soprattutto dal dialogo con alcune donne di
fede. Nell’aprile del 1675 divenne prete e poco dopo vescovo. Andò a
Roma, per l’ordinazione, nel 1677, a piedi, “vivendo di carità nel corso
del viaggio”. Il papa lo inviò in Germania, tra i protestanti, dove
visse in condizioni estreme, arrivando a vendere l’anello e la croce
d’argento, per aiutare i poveri. Dormiva poco, digiunava, lavorava,
pregava… Morì il 25 novembre 1686 e nel 1988 verrà proclamato beato
dalla Chiesa. Celebre un suo aforisma, che dice della sua consapevolezza
di quanto le scoperte umane non siano nulla rispetto alla misteriosa
grandezza dell’Essere: «Belle sono le cose che si vedono, ancor più
belle quelle che si conoscono, bellissime quelle che si ignorano»[13].
Infine va ricordato almeno il ruolo decisivo di alcuni ecclesiastici nella nascita dell’ottica e della biologia.
Quanto alla prima, le basi vanno
rintracciate in alcuni principi e teoremi già dimostrati dal greco
Euclide e dalla scienza araba. Ma furono i frati francescani Ruggero
Bacone e Giovanni Peckham, sull’onda dell’insegnamento di Grossatesta, a
rimettere in auge e a sviluppare la perspectiva,
e fu il monaco polacco Witelo, noto anche come Vitellione, a cui è oggi
dedicato un cratere lunare, sempre nel XIII secolo, a comporre gli
unici trattati di ottica in grado di competere, all’epoca, con le opere
arabe sull’argomento, influenzando così gli autori successivi (tra cui
Keplero, che scriverà infatti Paralipomena ad Vitellionem)[14].
Fu poi un altro ecclesiastico, Leon Battista Alberti (1404-1472), genio
poliedrico del Rinascimento, a proporre per primo l’enunciazione
teorica delle regole della prospettiva, mentre il monaco Francesco
Maurolico (1494-1575), che per primo applicò il principio di induzione
matematica, per primo riconobbe la funzione del cristallino dell’occhio[15]. Nel 1616 un gesuita, Niccolò Zucchi, sarà l’ideatore del primo telescopio riflettore; nel 1625 un altro gesuita, Cristoph Scheiner,
inventore del prospettografo, riuscirà a provare l’esistenza di
immagini retiniche (da lui prende il nome, in oftalmologia e optometria,
il “disco di Scheiner”)[16]; un altro gesuita, Francesco Maria Grimaldi, nella sua opera postuma Physico-mathesis de lumine, coloribus et iride aliisque adnexi libri duo (1665) dimostrerà per via sperimentale la diffrazione della luce…
Quanto alle origini della biologia
moderna, vi troviamo un sacerdote: Lazzaro Spallanzani (1729-1799),
detto “il principe dei biologi” ed anche il “Galilei dei biologi”. La
sua attività di sperimentatore frenetico ne fa il padre della
fecondazione artificiale animale; un pioniere nello studio dei
pipistrelli e dei loro meccanismi sensoriali (il “radar animale”); un
pioniere negli studi sulla respirazione, la digestione, la riproduzione
animale, la vulcanologia… Inoltre compì esperimenti innovativi sulla
meccanica della circolazione, sull’azione del cuore, sulla rigenerazione
della coda, degli arti o della testa amputata nei lombrichi, girini di
anfibi, lumache e salamandre…[17].
dal Cap. VIII di Scienziati, dunque credenti, Cantagalli
[2] A. Giostra, F. Merletti, W. Shea, Ilario Altobelli. Scienziato, teologo, corrispondente di Galileo Galilei, empatiaBOOKS, 2011.
[3]
Danti ebbe da Cosimo I de’ Medici la carica di Cosmografo granducale, ed
elaborò le mappe che decorano la Sala delle Carte di Palazzo Vecchio.
Ebbe un’intensa attività di ideatore di strumenti scientifici, di autore
di testi molto diffusi sulla fabbricazione ed uso dell’astrolabio e di
astronomia. Fu anche lettore di Matematiche presso lo Studio fiorentino.
A lui si devono lo gnomone, il quadrante astronomico e l’armilla posti
sulla facciata della chiesa di S. Maria Novella. A Roma lavorò alle
carte geografiche dei palazzi Vaticani. Divenne, infine, Vescovo di
Alatri (dal sito del Museo di Storia della Scienza di Firenze).
[4] G. Terrenzi, L’inventore del sismografo a pendolo, in «Rivista scientifico-industriale», XIX (1887), pp. 52-55; G. Agamennone, L’inventore del sismografo a pendolo, in «La meteorologia pratica», VII (1926), pp. 264-266.
[6]
Il Cecchi è una personalità straordinaria che merita di essere
approfondita: nei «primi anni di attività apportò significative
migliorie agli apparecchi telegrafici e nel 1854 costruì una nuova
elettrocalamita che ebbe presto un notevole successo. In occasione della
Prima Esposizione Italiana, svoltasi a Firenze nel 1861, Cecchi
presentò un nuovo tipo di motore elettromagnetico; due anni prima su
incarico delle autorità cittadine, egli aveva collocato sotto il portico
dell’Orcagna in Firenze un termometro ed un barometro a quadrante di
grandi dimensioni da lui costruiti. Restaurò lo gnomone installato nel
Duomo di Firenze dallo Ximenes, ripetendo in quell’occasione le
esperienze di Foucauld. Come responsabile dell’installazione dei
parafulmini, Cecchi vi apportò importanti modifiche evolvendo il sistema
tradizionale ed ottenendo buoni risultati nella protezione dei
monumenti fiorentini dalla scariche elettriche. Dal 1872, in seguito
alla scomparsa di P. Antonelli, Cecchi assunse la direzione dell’Osservatorio Ximeniano.
Immediatamente si rese conto dell’impossibilità di continuare
nell’indirizzo prevalentemente astronomico dell’osservatorio… Cecchi
operò per mutare l’indirizzo di ricerca concentrando le attività
dell’istituto verso la meteorologia; immediatamente riordinò e completò
l’arredo scientifico dell’Osservatorio Ximeniano, progettò e fece
costruire nuovi strumenti meteorologici quali il nefoscopio ed un
meteorografo economico alla cui messa a punto lavorò per molti anni
senza riuscire a realizzare il prototipo. La cura e l’entusiasmo
mostrati da Cecchi nel riorganizzare l’attività dell’Osservatorio
Ximeniano ed una rete toscana di stazioni meteorologiche secondarie, gli
valse la stima della comunità scientifica; nel 1879 fu invitato al
Congresso Internazionale di Meteorologia che si svolse a Roma ed in
seguito collaborò con Francesco Denza
alla fondazione della Società Meteorologica Italiana. Le sue doti di
scienziato pratico ebbero modo di emergere nel corso della sua attività
di progettista di strumenti per le osservazioni sismiche. Il primo di
una lunga serie fu il sismografo elettrico a carte affumicate fisse
presentato nel 1876 alla Pontificia Accademia de’ Nuovi Lincei, il
complesso di questa sua attività gli fece meritare la medaglia d’oro
all’Esposizione Nazionale di Torino del 1884. Fu membro non residente a
Roma della Accademia Pontificia de’ Nuovi Lincei» (M. S. De Rossi, Il P. Filippo Cecchi delle scuole Pie,
Nota bibliografica, in «Atti della Pontificia Accademia dei Nuovi
Lincei», A.XL, Sess.V, (1887). Roma 1887;
http://storing.ingv.it/tromos/comments/COMM01001.htm).
[7]
Dal sito ufficiale della Società metereologica italiana:
http://www.nimbus.it/articoli/anticasmi.htm. Sull’Encicolpedia Treccani,
alla voce Francesco Denza, si legge tra l’altro: «Dietro iniziativa del
Denza, che coinvolse il Club alpino italiano, venne istituita una rete
di stazioni meteorologiche di montagna che, numerose, sorsero su tutti i
rilievi montuosi italiani; conseguentemente la Corrispondenza assunse
il nome di Corrispondenza meteorologica italiana delle Alpi e degli
Appennini. Dal 1875 il Denza estese la rete a tutto il territorio
nazionale e, con l’aiuto dei missionari italiani in America meridionale,
fece allestire una serie di stazioni anche in quel continente. Nella
prima riunione meteorologica italiana, tenutasi a Torino nel 1880, il
Denza presentò un anemoscopio, un anemometro semplice, un anemografo e
un pluviografo; successivamente fuse gli ultimi due in uno strumento
unico, denominato “anemopluviografo Denza”. Nel 1881 fu istituita la
Società meteorologica italiana e al Denza, consideratone a giusto merito
il fondatore, fu affidata la direzione. In tale veste tenne le riunioni
della Società a Napoli nel 1882, a Firenze nel 1886, a Venezia nel 1888
e iniziò la pubblicazione dell’Annuario meteorologico italiano. In seno
alla Società caldeggiò l’istituzione di rilievi sismologici
sistematici…».
[8] Dal Dizionario Biografico degli Italiani
– Volume 23 (1979): «Gli studi scientifici del C. si volsero
soprattutto alla telegrafia e al modo di renderla più moderna ed
attuabile attraverso apparecchi cosiddetti imprimenti e di
corrispondenza duplice, triplice e multipla. Per superare le difficoltà
imposte dalla realizzazione di quel perfetto sincronismo, che la fedeltà
della trasmissione chiede, il C., superando i risultati raggiunti sia
dal telegrafo Hugues sia dal pantelegrafo Caselli, pensò, anzitutto, di
sostituire al movimento continuo dei due organi situati nelle stazioni
tra loro comunicanti, uno discontinuo, facendo loro compiere un solo
giro per ogni segno trasmesso.
Per raggiungere tale scopo fornì ciascuno dei predetti organi di un congegno a orologeria capace di imprimere un medesimo senso di rotazione quando, essi fossero svincolati da un nottolino di arresto. Chiudendo il circuito elettrico trasmittente, la corrente eccitava un elettromagnete e svincolava l’organo ricevente del nottolino. L’organo ricevente veniva così messo in rotazione e l’impressione del segno corrispondente al segnale trasmesso avveniva durante il compimento di un giro dell’organo stesso. Ultimato il giro, il nottolino tornava a bloccare automaticamente l’organo.
Per raggiungere tale scopo fornì ciascuno dei predetti organi di un congegno a orologeria capace di imprimere un medesimo senso di rotazione quando, essi fossero svincolati da un nottolino di arresto. Chiudendo il circuito elettrico trasmittente, la corrente eccitava un elettromagnete e svincolava l’organo ricevente del nottolino. L’organo ricevente veniva così messo in rotazione e l’impressione del segno corrispondente al segnale trasmesso avveniva durante il compimento di un giro dell’organo stesso. Ultimato il giro, il nottolino tornava a bloccare automaticamente l’organo.
L’apparecchio ideato dal C., che presentava il
vantaggio di non richiedere un’uguaglianza rigorosa delle velocità dei
due organi, venne denominato “pantelegrafo Cerebotani” (o “pantelegrafo
fac-simile”). Un’invenzione del C. da ricordare è il “relais Cerebotani”
e cioè un soccorritore che, a differenza di quelli usati sino ad
allora, riusciva ad azionare a grande distanza un ricevitore
telegrafico, anche con una corrente indebolita. La corrente in arrivo
alla stazione ricevente non doveva infatti muovere organi meccanici,
come nei tipi precedenti, ma con essa veniva semplicemente chiuso il
circuito di una pila locale, in cadenza con le emissioni di corrente
dalla stazione emittente, e per un periodo di tempo uguale a quello di
emissione della corrente. Il relais inventato dal C. si prestava perciò a
funzionare sia come soccorritore ordinario, sia come soccorritore
filtro (perché non trasmetteva correnti inferiori ad una data
grandezza), sia come soccorritore polarizzato perché, invertendo la
direzione della corrente, l’interruttore non si muoveva. Tra
le numerose invenzioni del C. è da ricordare anche quella di un
manipolatore che aveva lo scopo di mettere chiunque in grado di far
funzionare un ricevitore Morse. Tale apparecchio era anch’esso basato
sul principio del pantelegrafo ed era fatto in modo tale che la ruota
dei tipi effettuava un solo giro a ciascuna impressione, arrestandosi
quando era compiuta e ritornando sempre nella posizione di attesa, nella
quale veniva a presentare, in alto, un tratto liscio
del suo contorno, e cioè un
tratto senza tipi. Il C. denominò il manipolatore “quiquolibet”, volendo
indicare che si trattava d’un apparecchio destinato a una
corrispondenza tra privati a distanza limitata, pur potendo essere usato
anche per distanze considerevoli, con opportune modifiche di impianto.
Egli ideò anche altri tipi di manipolatori caratterizzati da una
particolare rapidità di lavoro e li denominò “expedit”. Il 3 maggio 1895
illustrò le principali invenzioni e i principî seguiti nella telegrafia
multipla in una conferenza al Club elettronico di Monaco di Baviera,
cui intervenne anche la legazione italiana…”.
[9] Sito ufficiale dell’Osservatorio sismico di Perugia: http://www.binapg.it/it/padri-benedettini.html. P. Pagano, Scienza, tecnica, osservazione e ricerca nella suggestiva cornice del monastero di san Pietro in Perugia, Perugia (senza data).
[10] L. Iafrate, Fede e Scienza: un incontro proficuo. Origini e sviluppo della Meteorologia fino agli inizi del ’900,Ateneo
Pontificio Regina Apostolorum, Roma 2008. Mi limito a riportare altri
tre metereologi e sismologi sacerdoti italiani molto importanti: Guido
Alfani (1876 – ivi 1940); Giovanni Battista Alfano (1878 – ivi 1955);
Ernesto Gherzi (1886-1973).
[13] A. Cutler, La conchiglia del diluvio. Niccolò Stenone e la nascita della scienza della Terra,
Il Saggiatore, Milano 2007. In generale, per rapporti scienza e fede,
molto interessanti i due seguenti siti: uccronline.it; disf.org.
[14]Graziella Federici-Vescovini, “Le teorie della luce e della visione ottica dal IX al XV secolo: studi sulla prospettiva medievale e altri saggi”, Morlacchi Editore, 2003.
[15] Nel suoDiaphaneon seu transparentium libellus, Maurolico si occupò con intelligenza ed originalità di struttura anatomica dell’occhio, di lenti biconvesse e biconcave, del meccanismo della visione, delle cause della miopia e dell’ipermetropia e dello studio degli occhiali per la loro correzione, della lente ustoria….
[16] Luigi Ingaliso, “Filosofia e cosmologia in Christoph Scheiner”, Rubbettino, 2005.
Nessun commento:
Posta un commento