Da: http://www.corriere.it/salute/sportello_cancro/articoli/2006/01_Gennaio/31/fegato_embrione_zebrafish.shtml
Milano: L’embrione, almeno in certi momenti ben precisi del suo sviluppo, produce una serie di proteine che sembrano in grado di bloccare le cellule staminali “cattive” responsabili di alcune forme di tumore, spingendole a differenziarsi in una forma non pericolosa. La scoperta, che apre le porte a un innovativo approccio terapeutico, arriva dopo oltre vent’anni di ricerche eseguite da Pier Mario Biava, un medico del lavoro (è primario all’ospedale di Sesto San Giovanni, vicino a Milano) prestato all’oncologia. Biava e altri colleghi, fra cui Luigi Frati, preside della facoltà di medicina all’università La Sapienza di Roma, hanno sperimentato su 179 malati di carcinoma al fegato in fase avanzata una miscela di queste proteine a basso peso molecolare, estratte dall’embrione dello Zebrafish (un pesce tropicale). I pazienti, per i quali non era più possibile effettuare altre terapie, sono stati suddivisi in due gruppi: al primo sono stati somministrati gli estratti embrionali, mentre il secondo gruppo ha ricevuto una terapia conservativa. Dopo quattro anni, l’analisi dei dati ha mostrato che la terapia con i fattori embrionali era stata in grado di migliorare sensibilmente la sopravvivenza, di indurre una risposta o una regressione della malattia in un paziente su cinque e un arresto della progressione nel 16 per cento dei casi trattati. La spiegazione di questi risultati positivi va cercata, secondo Biava, nella capacità che le proteine estratte dall’embrione (in termine tecnico, i fattori di differenziazione) hanno di spingere le cellule staminali del tumore a “prendere una strada” diversa, riducendo, o perdendo del tutto, la loro pericolosità. I risultati della ricerca sono stati appena pubblicati sulla rivista Oncology Research.
Biava ha cominciato i suoi studi, come medico del lavoro, esaminando gli effetti delle sostanze cancerogene sui feti di animali da laboratorio. «Mi ero accorto – racconta – che, in un animale gravido, molte sostanze dannose causavano un tumore nel feto solo se somministrate dopo che i suoi organi si erano formati (cioè dopo la cosiddetta “organogenesi”), ma non prima. Sembrava insomma che ci fosse qualcosa nel feto che, pur non potendo impedire lo sviluppo di altre malformazioni, riusciva a bloccare l’insorgenza del cancro». Biava e la sua équipe hanno “setacciato” per anni le sostanze presenti nell’embrione dello Zebrafish e di altri animali, selezionando una serie sempre più precisa di proteine che apparivano in grado di possedere un effetto anticancro. «Siamo poi andati a verificare – aggiunge Biava – se questa particolare miscela di proteine potesse agire anche sulle cellule umane, e abbiamo avuto una sorpresa positiva: l’estratto di embrione di Zebrafish funzionava su almeno otto tipi di tumori umani diversi, e ogni volta, a seconda delle caratteristiche della neoplasia, con meccanismi differenti». Tutto questo, secondo Biava, va letto alla luce delle teorie sulla complessità: ad una malattia complessa occorre rispondere con una terapia complessa. «Qualcosa di simile – spiega Biava – accade con le vitamine: se noi analizziamo l’efficacia di un’arancia, troviamo una serie di effetti che la vitamina C, da sola, non è in grado di riprodurre. Ciò è dovuto al fatto che l’arancia contiene anche una serie di sali e di altre componenti attive uniche, che nessun estratto puro può sostituire. Anche nel caso dei fattori di differenziazione cellulare, siamo in presenza di una miscela di elementi (tra i quali, probabilmente, anche piccoli frammenti di materiale genetico con funzione regolatoria, i cosiddetti micro RNA) che sono in grado di intervenire su certi enzimi, sulla codifica di alcune proteine, sulla loro trasformazione dopo che sono state sintetizzate, sugli oncogeni, sulla morte cellulare e così via, a seconda delle caratteristiche del tumore e dello stadio della malattia. E’ per questo che funziona in casi molto diversi, ed è per questo che non ha senso pensare di isolare un singolo principio attivo, come si fa di solito nella farmacologia tradizionale». Tra l’altro, aggiunge Biava, la conservazione di questi fattori durante l’evoluzione permette di estrarli dai pesci o comunque da animali ovipari, che si riproducono cioè tramite la deposizione di uova e che perciò devono «fornire» al feto tutte le difese che gli sono necessarie. Nei mammiferi, invece, gli stessi fattori protettivi sono probabilmente ripartiti tra feto e utero materno, come dimostra il fatto che gli estratti di mammifero risultano molto meno efficaci.
Lo studio clinico appena pubblicato rappresenta il primo passaggio di un lavoro che comunque sarà ancora lungo. «Ora – anticipa Biava – dobbiamo verificare l’efficacia dell’estratto in persone malate di altre forme tumorali, come il glioblastoma, che sembra rispondere bene, ma soprattutto dobbiamo cercare di capire perché non in tutti i malati si hanno effetti positivi. Probabilmente questo dipende da una serie di caratteristiche della malattia, che varia da persona a persona, e del preparato, che potrebbe essere specifico per un tumore ma meno attivo in un altro. Dovremo decodificare meglio i fattori di differenziazione cellulare, contenuti nell’embrione dello Zebrafish, per comprendere con sempre maggiore precisione l’intero meccanismo biologico e poter quindi avere uno strumento più potente con il quale affrontare le diverse forme tumorali».
LA FEMEN SARA WINTER STUPISCE TUTTI: SI CONVERTE E RACCONTA LA VERITÀ SUL MOVIMENTO
Una fondatrice delle Femen si converte e chiede scusa ai cristiani
Tutti conoscono le Femen, il commando di femministe protagonista di attacchi e spettacoli volgari, il cui unico risultato finora è stato confermare, purtroppo, il pregiudizio di chi sostiene che le donne, non riuscendo a catturare l’attenzione con i loro ragionamenti, possano soltanto spogliarsi. Per questo sono osteggiate da altrettante donne, che di loro si vergognano e rifiutano di riconoscerle come portavoce.
Si è scoperto inoltre che femministe radicali sono comandate da un uomo, Viktor Svyatskiy, una sorta di padre-padrone di cui sono schiave, e le loro azioni sono studiate e ben finanziate, non certo mosse da grandi ideali.
L’odio delle Femen è particolarmente rivolto ai cristiani, proprio per questo colpisce ancora di più che la fondatrice delle Femen brasiliane,Sara Fernanda Giromini -conosciuta con lo pseudonimo di Sara Winter (nella foto sopra)-, oggi si sia convertita. Non tanto dal punto di vista religioso, di questo non parla, ma certamente dal punto di vista umano e morale. Madre di una bambina, si è allontanata dalle sue amiche fasciste arrivando a combattere il femminismo e l’aborto.
Ha pubblicato il libro “Vadia Não!”, in cui, come si legge su Zenit.it, descrive gli abusi a cui è stata sottoposta e le delusioni che ha sofferto durante la militanza femminista. «Mi sono pentita di aver avuto un aborto e oggi chiedo perdono», ha detto. «Ieri è stato un mese dalla nascita del mio bambino e da quel giorno la mia vita ha assunto un nuovo significato. Sto scrivendo questo mentre lui dorme serenamente sopra la mia pancia. È la più grande sensazione del mondo». «Per favore», ha proseguito, «donne che cercate disperatamente di abortire, riflettete attentamente su di esso. Mi è dispiaciuto molto ciò che ho fatto. Non voglio accada lo stesso a voi». Chi ha visto l’inferno è il più credibile manifesto dissuasivo.
Fin da quando ha portato il movimento Femen in Brasile ha ricordato di aver avuto la sensazione di commettere uno sbaglio. In particolare, racconta, quando si fece protagonista nel 2014, insieme a un’altra militante, di una campagna a favore dell’omosessualismo: le due donne vennero immortalate mentre, seminude, si baciavano con una croce di sfondo, nei pressi della Basilica di Nostra Signora della Candelaria, a Rio de Janeiro. La foto diventò un’icona del disprezzo omosessuale nei confronti del cristianesimo. «La richiesta di perdono non è certo facile da compiere: chiedo scusa ai cristiani per questa protesta femminista. Siamo andati troppo oltre e abbiamo finito per offendere molte persone religiose e non».
La giovane ha definito il femminismo come una “setta”, che usa le donne come oggetti, promuove l’omosessualità e persino copre lapedofilia. «Per la setta femminista le donne non sono l’ispirazione, bensì la ‘materia prima’ nel senso peggiore del termine. Sono oggetti utili allo scopo di infiammare l’odio contro la religione cristiana, l’odio contro gli uomini, l’odio contro la bellezza delle donne, l’odio contro l’equilibrio delle famiglie. Questo è ciò che il femminismo è, posso garantirlo che è così perché io ci sono stata dentro. Il movimento femminista è una copertura per i pedofili», accennando ad ambienti promiscui in cui le minori vengono inserite in modo coercitivo.
Sara rivela di essere stata costretta ad assumere comportamenti bisessuali per ricevere più rispetto all’interno del movimento:«Le donne lesbiche e bisessuali avevano molta più voce, dunque ogni giorno che passava destrutturavo la mia eterosessualità sostituendola con una bisessualità artificiale», allo stesso modo è stata indotta a fare uso di droghe, ad avere rapporti sessuali con sconosciuti e a prostituirsi, è stata anche molestata da un’altra donna in nome della lotta all’uguaglianza di genere.
La svolta nel suo percorso – dice lei stessa – è avvenuta quando per caso, o forse no, ha incontrato un “conservatore” e “antifemminista”, che ha iniziato a darlequell’affetto disinteressato che nessuna sua “compagna di lotta” le aveva mai offerto. Grazie a questo incontro ha intrapreso un nuovo cammino. La Giromini sta donando oggi una percentuale dei guadagni del suo libro a organizzazioni che si battono in favore della vita, sta inoltre tenendo conferenze in giro per il Brasile per denunciare le piaghe del femminismo, del gender e del marxismo culturale insieme alla psicologa e scrittrice brasiliana Marisa Lobo.
«Ho lasciato quel movimento di cui per quattro anni sono stata uno dei principali simboli in Brasile, e nessuno può dire il contrario!», ha detto. «Il risultato? Oggi sono molto più felice e sono in grado di aiutare le donne».