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mercoledì 3 febbraio 2016

Vacca: Family day non reazionario, la sinistra rischia la deriva nichilista

L’INTERVISTA

Vacca: Family day non reazionario,
la sinistra rischia la deriva nichilista

di Massimo Rebotti

Giuseppe Vacca è un filosofo marxista, una vita nel Pci e nelle sue successive declinazioni, fino al Pd di cui è uno degli intellettuali più autorevoli. Nel 2012, insieme ad altre figure di riferimento della sinistra, come Mario Tronti e Pietro Barcellona, firma un documento sulla «emergenza antropologica»: si sostiene che esistono «valori non negoziabili» e si apprezza l’impegno della Chiesa, allora di Benedetto XVI, per difenderli . Ai firmatari viene affibbiata l’etichetta di «marxisti ratzingeriani». Qualche anno dopo quei temi sono al centro del dibattito sulle unioni civili; il professor Vacca ha seguito con attenzione sia il Family day che le iniziative a favore del ddl Cirinnà. 

Che cosa pensa di chi dice che le piazze contro le unioni civili sono reazionarie ?

«Definire il Family day reazionario è assolutamente improprio. Su come regolare le questioni della vita non si può applicare la coppia progresso-reazione. Quella folla esprime un modo di vedere la famiglia che appartiene a una vasta parte della società italiana».



Hanno quindi ragione i manifestanti del Family day?

«Sul punto sì, il problema c’è. Così come penso che non sia necessario declinare al plurale la famiglia, che è una. Detto questo, è necessario riconoscere le unioni civili».

C’è un clima da fronti contrapposti?

«Direi di no. Al netto delle sigle politiche che si sono aggiunte, penso che entrambe le piazze fossero dialoganti. Chiunque giochi alla contrapposizione, sbaglia».

Un passo avanti rispetto ad altri «scontri» tra laici e cattolici?

«Sì, il confronto è più maturo rispetto ai tempi dell’aborto o del divorzio. Basta guardare l’intervista, molto bella, che il cardinale Ruini ha rilasciato alCorriere quando ha detto che non c’è una sola modernità».

A proposito di modernità: lei ha parlato di una «emergenza antropologica».

«È un’epoca in cui ci sentiamo sottoposti a varie minacce, il discrimine tra il naturale e l’artificiale si mescola, non ci sono solo “magnifiche sorti e progressive”. È una deriva per cui, come diceva Margaret Thatcher, la società non esiste ma esistono solo gli individui».

C’entra con le unioni civili?

«Come si fa a dire, per esempio, che avere un figlio è un diritto? Come si può pensare di declinare tutto nella chiave della libertà individuale, come se ciò che accade prescindesse dal modo in cui si compongono le volontà e le coscienze dei gruppi umani?».

Sbaglia la sinistra a fare dei diritti individuali il fulcro della sua azione politica?

«Assolutamente sì. La sinistra subisce una deriva nichilista, in termini marxisti la definiremmo spontaneista».

Cioè?

«Non è più capace di grandi visioni sul mondo, dalle guerre ai conflitti economici. Assolve mediamente i suoi compiti nazionali, ma sui grandi scenari mostra un impoverimento culturale che genera analisi povere. Negli anni Settanta laici e cattolici hanno fatto la più bella riforma del diritto di famiglia. E dopo? Di fronte a quello che cambia su questi temi, la sinistra non ha più niente da dire? Penso al referendum sulla fecondazione assistita quando tutto è stato ridotto a uno scontro tra fede e scienza. Insomma, il professor Veronesi è un grande medico, ma non uno statista...».



Si sente equidistante?

«No. Io penso che sia un bene che la legge sulle unioni civili passi. Ma si deve risolvere il nodo della stepchild adoption: trovo fondate le osservazioni di chi dice che può essere un modo surrettizio per introdurre la maternità surrogata, l’utero in affitto».



La piazza cattolica le è sembrata più consapevole dei «grandi scenari»?

«Lì si è manifestato un denominatore comune, la nostra civiltà cristiana. È una grande eredità».


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