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domenica 1 dicembre 2019

La spartizione non garantisce la fraternità

La spartizione non garantisce la fraternità
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Abbiamo continuato a predicare la libertà dell'uomo. Ma avendo dimenticato l'uomo, abbiamo definito la nostra libertà come una licenza non meglio precisata, la cui unica limitazione sarebbe il torto arrecato agli altri. Parole vuote di senso, poiché non esiste azione in cui gli altri non siano coinvolti. Se sono sotto le armi e mi procuro una mutilazione, mi fucilano. L'individuo Isolato non esiste. Chi si Isola danneggia una comunità. Chi è triste rattrista gli altri.

Del nostro diritto a una libertà così concepita non siamo più stati in grado di usufruire senza contraddizioni insuperabili. Non riuscendo a stabilire in quale caso il nostro diritto era valido, e in quale non lo era più, per salvare un principio astruso abbiamo ipocritamente chiuso gli occhi sugli innumerevoli intralci che qualunque società, necessariamente, opponeva alle nostre libertà.

La carità, invece, non abbiamo nemmeno più osato predicarla. Infatti un tempo questo sacrificio, che è fondativo delle persone, prendeva il nome di carità quando rendeva onore a Dio attraverso la sua immagine umana. Attraverso l'individuo noi donavamo a Dio o all'uomo. Ma dimenticando Dio e l'uomo, abbiamo donato soltanto all'individuo. Spesso, allora, la carità si è presentata come una pratica
inaccettabile. 
È la società, e non l'iniziativa personale, che deve garantire l'equità nella spartizione delle ricchezze. La dignità dell'individuo esige che egli non sia ridotto in vassallaggio dalla liberalità di un altro. Sarebbe paradossale se chi possiede rivendicasse, oltre al possesso dei suoi beni, anche la gratitudine dei diseredati. Soprattutto, però, la nostra carità male interpretata si rivoltava contro il suo stesso scopo. Basata unicamente sui moti di compassione verso gli individui, ci avrebbe impedito qualunque punizione a fini educativi. Mentre la carità vera, essendo la pratica di un culto reso all'uomo al di là dell'individuo, imponeva di combattere l'individuo per nobilitare in lui l'uomo.Così abbiamo perso l’uomo. E perdendo l’uomo abbiamo tolto calore a quella fraternità stessa che la nostra civiltà ci predicava perche si è fratelli in qualcosa. non fratelli e basta. La spartizione non garantisce la fraternità. La fraternità nasce solo nel sacrificio. Nasce nel dono comune a qualcosa che è più grande di noi. Ma noi, confondendo con un'infruttuosa menomazione questa radice di ogni esistenza autentica, abbiamo ridotto Ia nostra fraternità a una reciproca sopportazione.

Abbiamo smesso di dare. Ma se io pretendo di dare solo a me stesso non ricevo niente, perché non costruisco niente di cui faccio parte. e così non sono niente. Se poi mi chiedono di morire per degli interessi materiali, io mi rifiuterò. Gli interessi materiali ti ordinano innanzitutto di vivere. Dov'é Io slancio d'amore che mi ripagherebbe della mia morte? Si muore per una casa. Non per gli oggetti o per i muri. Si muore per una cattedrale. Non per le pietre. Si muore per il popolo. Non per una folla. Si muore per amore dell’uomo, se l'uomo è la chiave di volta di una comunità. Si muore soltanto per ciò di cui si può vivere.

ll nostro lessico sembrava quasi intatto, ma le nostre parole svuotate di sostanza reale, quando volevamo usarle ci conducevano verso contraddizioni insuperabili. E noi eravamo costretti a chiudere gli occhi su queste dispute. Eravamo costretti, vista la nostra incapacità di costruire, a lasciare le pietre sparse nel campo e a parlane della collettività con circospezione. senza azzardarci a spiegare esattamente di che cosa parlavamo. perché in realtà non stavamo parlando di niente. Collettività è una parola vuota di significato. finché la collettività non viene cementata in qualcosa. Una somma non è una comunità.
Se la nostra società poteva ancora sembrare desiderabile, se l’uomo vi conservava un certo prestigio, era nella misura in cui la vera civiltà, che per ignoranza stavamo tradendo. continuava a proiettare su di noi il suo splendore già condannato. salvandoci nostro malgrado.
Come avrebbero potuto i nostri avversari capire ciò che noi stessi non capivamo più? Ci hanno visti solo in quelle pietre sparse. Hanno tentato di ridare un senso a una collettività che noi non sapevamo più definire, poiché avevamo dimenticato l'uomo.

Gli uni sono andati subito, speditamente fino alle estreme conclusioni della logica. Dì quell’ammasso hanno fatto qualcosa di assoluto. Le pietre devono essere identiche alle pietre. E ogni pietra regna da sola su se stessa. L‘anarchia si ricorda del culto dell‘uomo ma lo applica, con rigore, all'individuo. E le contraddizioni che nascono da tale rigore sono peggiori delle nostre.

Altri hanno radunato quelle pietre sparse disordinatamente nel campo. Hanno predicato i diritti della massa. La formula non funziona affatto. Perché se è intollerabile che un solo uomo tiranneggi una massa, è altrettanto intollerabile che la massa opprima un solo uomo.

Altri si sono impadroniti di quelle pietre senza potere e della loro somma hanno fatto uno Stato. Nemmeno uno Stato simile trascende gli uomini. Anch’esso è la mera espressione di una somma. È il potere della collettività delegato nelle mani di un individuo. È il regno di una pietra. che sostiene di essere identca alle altre. sull‘insieme delle pietre. Questo Stato predica apertamente una morale del collettivo che ancora rifiutiamo, ma verso la quale anche noi ci stiamo lentamente incamminando. poiché non ci ricordiamo più dell'uomo. l‘unico che potrebbe giustificare il nostro rifiuto. 




Antoine de Saint-Exupéry

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