LA GEMMA DI KIKO ARGUELLO
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Le giornate di ieri e di oggi del Papa con i movimenti colpiscono
i media soprattutto per il fiume immenso di persone che arriva in
Piazza San Pietro.
I movimenti nati nella Chiesa sono ormai come bei rami frondosi della grande quercia che abbraccia tutte le miserie umane.
Ma la cosa più rivelatrice è scoprire quella piccola “gemma d’aprile”
da cui nascono questi rami. Perché nell’inizio è contenuta l’essenza di
una cosa.
E senza il rinnovarsi di quella piccola gemma – come diceva Péguy –
tutto il grande albero non sarebbe che legna secca. Da ardere.
Su queste colonne di recente ho raccontato la vicenda di Chiara
Amirante e di Nuovi Orizzonti. Altre volte ho parlato di don Luigi
Giussani e di Comunione e liberazione. In diverse occasioni ho
ripercorso dall’inizio le apparizioni di Medjugorje riferendo
dell’immenso popolo che da lì è nato.
Anche all’inizio di uno dei movimenti più grandi e vitali di oggi, il
Cammino Neocatecumenale, c’è lo stesso “segreto”, la piccola gemma.
Tutto nasce sempre nel silenzio di un cuore umano affascinato da
Cristo, trasformato e riempito delle sue grazie dallo Spirito Santo (è
ciò che si chiama carisma).
Non c’erano finora libri che ripercorressero la storia del Cammino,
ma nelle scorse settimane è uscito un preziosissimo memoriale dove è lo
stesso Kiko Arguello, il fondatore, a raccontarla.
Quello di Kiko è un nome che alle cronache dei giornali forse dice
poco (perché l’uomo non frequenta salotti), ma è invece molto importante
per la Chiesa e per la vita del suo immenso popolo.
Kiko dunque racconta cosa gli è accaduto, come è stato sorpreso da
Gesù e “chiamato”: il suo bel libro, “Kerigma”, è stato tradotto dalla
San Paolo.
IL SUCCESSO E IL VUOTO
Francisco, detto Kiko, nasce a Léon, in Spagna, il 9 gennaio 1939, in
una famiglia dell’alta borghesia. Dotato di buone doti artistiche da
giovane frequenta l’Accademia di Belle Arti a Madrid. E naturalmente si
trova immerso nel clima culturale delle élite del tempo che avevano i
loro riferimenti esistenziali in autori come Sartre e Camus.
“Ho provato a vivere così, ma presto mi sono reso conto che, quando
la vita diventa insopportabile, c’è solo un’uscita: suicidarsi. Dicono
che ogni secondo si uccide una persona nel mondo”.
Nonostante la pittura lo avesse portato al successo, Kiko ricorda che
ogni mattina si alzava con queste domande: “Vivere, perché? Per
guadagnare soldi? Per essere felice? Perché? Avevo già soldi, già avevo
fama, e non ero felice; ero come morto dentro. Ho capito subito che, se
continuavo così, mi sarei ucciso”.
Ma, annota, “in questo cielo chiuso, Dio ha avuto pietà di me”.
Infatti, nonostante il nichilismo respirato dovunque, “qualcosa dentro
di me non era d’accordo che tutto fosse assurdo: la bellezza, l’arte,
l’acqua, i fiori, gli alberi… Qualcosa non quadrava”.
Insomma “per me non era indifferente se Dio c’è o non c’è; era una questione di vita o di morte”.
Così “in un momento tragico della mia esistenza, entrai nella mia
stanza, chiusi la porta e gridai a Dio: Se esisti, vieni, aiutami,
perché avanti a me ho la morte!”.
Era una “discesa” nel baratro che Dio aveva permesso “per farmi
umile”, spiega Kiko, “per farmi capace di gridare, di chiedere aiuto. E
in quel momento avvenne un incontro”.
L’INCONTRO
Non c’è qui lo spazio per seguire, passo dopo passo, il cammino di
Kiko. L’amicizia con i “Cursillos de Cristianidad” lo aiuta a liberarsi
da “tanti pregiudizi che avevo contro la Chiesa” e che “venivano dai
miei amici marxisti”.
Che contestava con un argomento molto acuto: “volete creare un
paradiso comunista in cui ci sia giustizia per tutti. Ma se non date una
risposta a tutta la storia, nel fondo siete dei borghesi”.
Chi darà giustizia – per esempio – alla massa di schiavi schiacciati
come bestie per millenni? “E’ assurdo” obiettava Kiko “che per alcuni ci
sia giustizia e per altri no”. Se non c’è un’altra vita e una giustizia
suprema e totale per tutti non può esserci nessuna giustizia.
Poi Kiko fa l’esperienza del deserto e dell’adorazione con i Piccoli
Fratelli di De Foucauld. Infine un episodio. Un giorno di Natale, in una
casa facoltosa, trova la donna di servizio a piangere.
Lei gli racconta il suo dramma, un marito violento e alcolizzato,
orrori vari, la vita in un quartiere spaventoso. Da qual momento Kiko
scopre “una sofferenza umana inaudita… Ho capito che c’è una presenza di
Cristo in coloro che soffrono, soprattutto nella sofferenza degli
innocenti”.
LA BARACCA
Così il giovane artista, ricco e famoso, lascia tutto e va a vivere
fra i poveri. In baracche terrificanti. E lì, alla periferia estrema di
Madrid, in “una piccola valle piena di grotte, dove c’erano zingari,
‘quinquis’, barboni, clochard, mendicanti, vecchie prostitute…una zona
orribile”, proprio lì nasce il Cammino neocatecumenale, una delle realtà
più straordinarie della Chiesa di oggi.
Ma, attenzione, Kiko andò lì solo per condividere quella povertà, per
amore di Gesù, non andò affatto lì per fare qualche opera sociale, né
per fondare un movimento ecclesiale. Neanche ci pensava.
Anzi, era refrattario ogni volta che – all’inizio – qualcuno di quei
poveracci a cui raccontava di Cristo voleva che parlasse in pubblico, a
tutti.
Kiko all’inizio non voleva saperne, “ma il Signore mi ha obbligato,
in quell’ambiente” a catechizzare “perché volevano che parlassi loro di
Gesù Cristo”.
Questa è una caratteristica di ogni movimento ai suoi inizi. Non è un
progetto umano, non nasce per la volontà di un uomo. E’ sempre Cristo
che si rende presente con potenza attraverso la povera umanità di un
uomo.
LE LACRIME DEL VESCOVO
Gli aneddoti che Kiko racconta su questo periodo sono freschi, a
volte drammatici e struggenti, a volte divertenti. Un giorno arriva la
polizia, vuole sgomberare le baracche. Per una serie di circostanze
viene chiamato lì pure l’arcivescovo di Madrid, monsignor Morcillo, e
“scopre” Kiko, vede dove e come vive, quello che fa. E si commuove
profondamente.
Gli dice: “Kiko, io non sono cristiano. Guarda, da oggi il mio palazzo episcopale è sempre aperto per te”.
Siamo attorno al 1965-66. E’ appena finito il Concilio. La
predicazione di Kiko comincia a diffondersi a Madrid. Poi valica i
confini. Dopo il ’68 arrivano dall’Italia quelli delle comunità di base,
affascinati da ciò che hanno sentito di lui. Ma quando Kiko, barba
lunga e giacca verde alla Che Guevara, arriva a Roma, “lì, in
un’assemblea, tutta di giovani di sinistra, ho detto che Lenin e Che
Guevara erano falsi profeti e ho parlato di Cristo che non resiste al
male, gettando a terra tutte le loro idee. Sono rimasti di stucco”.
Poi alcuni lo hanno portato a “una messa beat” e alla fine gli hanno
chiesto: “che te ne sembra?”. Risposta fulminante: “Non si rinnova la
Chiesa con le chitarre”. “No? E con cosa?”. Risposta: “Con il Mistero
Pasquale, con il kerigma”.
Il kerigma, che è il cuore dell’annuncio di Kiko, è la notizia – data
con la forza dello Spirito Santo – di Dio fatto uomo, morto per noi e
risorto. E’ iniziata così un’avventura straordinaria.
VERSO IL MONDO
Oggi a Roma il Cammino è presente in cento parrocchie e ci sono circa
500 comunità. Il movimento ormai vive in cento nazioni del mondo.
Tantissime sono le famiglie del Cammino che partono per la missione ai
quattro angoli della Terra.
“Il Signore” dice Kiko “ci ha ispirato che dobbiamo preparare 20 mila
sacerdoti per la Cina”. Di recente, in un grande incontro, ha invitato i
giovani presenti a offrirsi per l’evangelizzazione di quel Paese “dove
ci sono un miliardo e 300 milioni di persone che non conoscono Cristo…
si sono alzati e sono venuti verso il palco circa 5.000 giovani. Non
sapevamo dove metterli. Era un fiume enorme di ragazzi… E dopo si sono
alzate circa 3.000 ragazze”.
La Sacra Scrittura annuncia che “il Signore compie meraviglie”. Ma
tutto comincia sempre attraverso il semplice “sì”, personale, intimo,
che una creatura gli dice. Nel silenzio del mondo. Così la Chiesa
rinasce e attraversa i millenni e abbraccia i continenti riempiendoli
della luce del Salvatore.
Antonio Socci
Ps Faccio sommessamente notare che stamani per i giornali italiani
(con rarissime eccezioni) l’incontro di 300 mila persone dei movimenti
con il papa in Piazza San Pietro, non è una notizia degna della prima
pagina….
C’è d ridere o da piangere per questo sistema mediatico?
C’è d ridere o da piangere per questo sistema mediatico?
Da “Libero 19 maggio 2013
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