Pavel Florenskij, vero difensore dell’uso della ragione
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Ma quale Kant, ma quale Hegel, ma quale Nietsche…il vero difensore della ragione si chiama Pavel A. Florenskij, filosofo
e matematico russo, ordinato sacerdote della Chiesa ortodossa il 24
aprile del 1911 e morto fucilato dal regime sovietico l’8 dicembre 1937.
Su Florenskij è stato pubblicato da poco un libro interessante, “Vita e razionalità in Pavel A. Florenskij“ (Jaca Book 2012), il cui autore è Vincenzo Rizzo dottore di ricerca in Filosofia e collaboratore alla cattedra di Filosofia teoretica presso l’Università di Bergamo.
Lo stesso Rizzo, in un articolo per Ilsussidiario.net, ha spiega che l’uso della ragione come misura, cioè come controllo controllo/dominio sulla realtà, è una posizione umana che non regge all’urto della vita, la quale «è un respiro continuamente dato che parla alla ragione, superando il punto di vista e surclassando gli schemi concettuali». Soltanto un uso della ragione “aperto” alla realtà non censura la domanda di significato della vita stessa e non sopprime il bisogno di salvezza e di bene di ogni uomo. Solo questo, spiega il filosofo, «risulta in grado di ricostruire gli snodi storici, filosofici che hanno debilitato il soggetto nel modo di pensare/pensarsi».
Questo è il contributo di Florenskij, aver criticato l’offesa all’umano della visione rinascimentale della vita: «l’uomo rinascimentale, infatti, ha sostituito il senso della realtà con formulazioni ambiziose, facendo venire meno la coscienza di una strutturale sproporzione
rispetto alla vita: il mondo vero ha così iniziato a diventare favola.
L’uomo ha cominciato a guardare alla vita come dal buco della serratura,
collocandosi all’esterno della realtà», ha spiegato Rizzo.
Nei secoli successivi si sono aggiunte altre forme di amputazione della realtà e dunque nemiche della ragione, come il razionalismo, l’illuminismo, il kantismo, il positivismo. Per Florenskij, il tribunale della ragione kantiano «riduce
la vita a processo, cercando di raggrumarla in punti conoscibili. Per
quanto riguarda il positivismo, Florenskij prende, tra l’altro, in
considerazione l’opera di Zola. Il tentativo dello scrittore francese di
guardare alla realtà in maniera oggettiva, scientifica ha dato luogo a
dei personaggi non viventi. Ombre senza vita e senza carne:
puri derivati di meccanismi sociali. Le descrizioni precise di Zola non
costituiscono un quadro o una fotografia in presa diretta, ma piuttosto
una copertura al grido di razionalità del soggetto, non saziabile mai da una scienza o un potere, sia pure tecnicamente buoni».
La modernità è certamente figlia di queste ideologie che hanno messo in crisi la ragione, trasformandola in raziocinio spezzettato. L’esempio e l’apertura della ragione di Pavel Florenskij contro «il nostro presuntuoso già saputo», ritorna per questo oggi fondamentale. Lui stesso, grazie a questo modo di rapportarsi a tutto
(la vita, la morte, l’inganno, la stupidità del regime comunista, il
nemico), si autoaccusò − pur innocente − di cospirazione, per la
salvezza di altri e morì fucilato.
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