nto
1678: la prima donna laureata al mondo era italiana
Otto Marzo, festa della donna. Un’occasione per ricordare che la
prima donna laureata della storia si chiamava Elena Lucrezia Corner
Piscopia, ed era italiana. Proclamata dottore in Filosofia il 25
giugno 1678, figlia di Giovanni Battista, Procuratore di San Marco,
Elena a 22 anni conosce greco, latino, francese, inglese e spagnolo,
ed è in grado di dissertare di matematica o filosofia. Oblata
benedettina, doveva essere proclamata dottore in Teologia,
ma Gregorio Barbarigo, vescovo di Padova e per questo
cancelliere dell’ateneo, si oppose. Alla discussione si narra che
assistettero 30mila persone.
Un ritratto di Elena Lucrezia Corner
custodito alla Biblioteca Ambrosiana di Milano (Foto da Wikipedia)
Laureate di tutto il mondo unitevi: c’è la prima di voi da
celebrare. Una perfetta sconosciuta che meriterebbe una fama ben
maggiore. Elena Lucrezia Corner Piscopia (o Cornaro, secondo una
versione più comune, ma meno corretta) si laurea in filosofia a
Padova il 25 giugno 1678. Avrebbe dovuto ottenere l’alloro in
teologia, ma il vescovo si oppone: una donna non potrebbe mai
insegnare la dottrina di Cristo, lo ha scritto San Paolo. E quindi,
dopo lunghe trattative, si ripiega sulla più neutra filosofia.
Elena Lucrezia nasce a Venezia nel 1646 da illustre
famiglia patrizia. Ma suo padre, Giovanni Battista, che pur
detiene la carica di Procuratore di San Marco, la seconda per
importanza dopo quella di doge, l’ha combinata grossa: ha sposato
una popolana originaria del Bresciano (al tempo territorio della
Serenissima), se non addirittura prostituta. I figli generati dalla
coppia non potranno essere iscritti nel Libro d’oro, entrare in
Maggior consiglio e quindi far parte del patriziato. Il padre –
ricchissimo – comprerà la nobiltà per i maschi e imporrà alla
figlia femmina – coltissima, ma assolutamente disinteressata al
riconoscimento accademico – di laurearsi per dare lustro alla
famiglia. Giovan Battista, accorto politico, sa che il record renderà
celebre il nome dei Corner.
Elena vive nel palazzo di famiglia che in seguito
passerà ai Loredan e oggi è uno dei due edifici sede del Municipio
di Venezia. La bambina è un piccolo genio, la sua capacità di
apprendere è fuori dal comune. A 22 anni conosce greco, latino,
francese, inglese e spagnolo, ed è in grado di dissertare di
matematica o filosofia passando indifferentemente da una lingua
all’altra. La giovane donna ama davvero la cultura e non le
interessano affatto le ambizioni paterne, ma non è uso, in quei
tempi, contraddire il volere dei genitori; nel frattempo diventa
oblata benedettina, in pratica rispetta i voti delle monache, pur
continuando a vivere in famiglia. Elena si massacra tra studio e
preghiera; molto probabilmente per questo il suo fisico non regge e
si ammala, già prima di laurearsi. Impegnata negli studi teosofici,
decide di imparare pure l’ebraico e prende lezioni dal rabbino di
Venezia, Shemuel Aboaf. La fama della giovane si sparge fuori dai
confini della Serenissima e dotti di tutta Europa accorrono a Venezia
per sentirla.
Si iscrive allo Studio di Padova (l’università) e
chiede di essere laureata in teologia. Compila la domanda
per l'ammissione alla laurea e la presenta ai riformatori dello
Studio di Padova – in pratica i rettori – Angelo Correr, Battista
Nani e Leonardo Pesaro (i riformatori sono sempre tre patrizi
veneziani). La richiesta viene da una gentildonna che ha studiato con
celebri e stimati docenti dello Studio e quindi la accolgono senza
difficoltà; anzi danno ordine che i docenti si apprestino alla
discussione accademica. Viene addirittura stilato il verbale di
conferimento della laurea in teologia.
Sembra tutto pronto, il rivoluzionario conferimento
del titolo di dottore in teologia a una donna pare questione di ore.
Ma si sono fatti i conti senza l’oste e in questo caso l’oste si
chiama Gregorio Barbarigo, vescovo di Padova e cardinale, destinato a
diventare santo (l’ha canonizzato papa Giovanni XXIII). Senza il
suo consenso, nessuno – né uomo né tantomeno donna – si può
laureare in teologia perché, in quanto vescovo della città, è
anche cancelliere dell’ateneo. La chiesa post tridentina, per
evitare che si sconfinasse di nuovo verso il protestantesimo, è
rigorosissima nell'insegnamento della dottrina cattolica: i maestri
devono essere solo persone capaci e ben preparate. Poiché la Chiesa
è persuasa dell'inferiorità della donna rispetto all’uomo, la
ritiene incapace di ragionamenti difficili, tanto più sulle verità
della fede, le viene quindi vietato ogni insegnamento di grado
superiore, secondo quanto scritto da San Paolo nella Prima epistola a
Timoteo: «Non permetto alla donna d’insegnare, né d’usare
autorità sul marito, ma stia in silenzio».
Inizia così un lunghissimo braccio di ferro che deve
salvare la capra dell’onore dello Studio di Padova (che
aveva detto sì alla laurea) e della famiglia Corner e i cavoli della
volontà cardinalizia. Alla fine si arriva a un faticoso compromesso:
niente laurea in teologia, ma in filosofia. Elena, che ora ha 32
anni, va finalmente a Padova soltanto tre giorni prima della
cerimonia. L’avvenimento è epocale e l’aula del Collegio, dove
normalmente avvengono le lauree, è gremita all’inverosimile, tanto
che si decide di spostare la dissertazione nella vicina cattedrale.
La folla che si è radunata è immensa, fonti contemporanee parlano
di 30 mila persone.
Elena Lucrezia Corner Piscopia diventa una gloria
per la sua famiglia, per l’università di Padova, per la
Serenissima repubblica di Venezia. Sostiene pubbliche discussioni,
diviene membro di accademie, tutti la vogliono vedere. Addirittura
Luigi XIV fa fermare a Padova sulla via di Roma il cardinale César
d'Estrées perché verifichi se quanto si dice della donna
corrisponda a verità. Questi, accompagnato da due dottori della
Sorbona, conversa con lei, le fa commentare testi in greco ed
ebraico, parla in francese, spagnolo e latino; alla fine Elena dà
anche un saggio musicale. Interviene pure su temi politici, per
esempio lodando la rottura dell'assedio turco di Vienna, nel
settembre 1683. In ogni caso non insegnerà mai: non è uso che un
patrizio veneto lavori (a meno che non sia povero, ma non è proprio
il caso dei Corner) e lei non desidera farlo, visto che si è
laureata solo per accontentare il padre.
La durissima vita di studio e penitenze ha però minato
la sua salute. È lo stesso padre a sottolinearlo, in alcune lettere
che ci sono giunte. Ben presto le condizioni diventano critiche e
Elena Lucrezia muore trentottenne, il 26 luglio 1684. Il padre
Giovanni Battista vuole che la memoria della figlia (e della
famiglia) sia celebrata nei secoli e chiede di erigere un monumento
sepolcrale. Ma i benedettini di Santa Giustina, dove l’oblata viene
sepolta a terra, secondo il suo desiderio, lo impediscono e allora il
procuratore si rivolge ai padri conventuali del Santo che accordano
il permesso di costruire un cenotafio in onore della defunta. La
volontà del procuratore però non solo non sfida i secoli, ma
neanche i decenni. Passeranno soltanto 38 anni e il cenotafio sarà
demolito: il figlio di Giovanni Battista, nonché ultimo rampollo dei
Corner Piscopia, cederà alle pressioni dei frati che vogliono
eliminare il monumento perché limita la vista dell’altar maggiore;
la cosa cadrà a fagiolo perché, sperperato il patrimonio familiare,
il patrizio ha bisogno di soldi e in tal modo può vendersi le statue
della sorella.
Il monumento con le statue della fede, carità purezza e
morte, di Cronos, Aristotele, Platone Democrito e Seneca viene
smantellato nel 1727. Rimane solo quella di Elena Lucrezia che sarà
recuperata sessant’anni più tardi da un’altra illustre donna
veneziana, Caterina Dolfin Tron, che la regalerà all’ateneo
patavino. La statua viene collocata ai piedi dello scalone del Bo’,
dove si trova tuttora, riparata da una teca di plexiglas tutta
scagazzata dai piccioni.
Quasi per una specie di contrappasso Elena Lucrezia,
tanto famosa e celebrata in vita, diviene negletta dopo la morte. In
pochi anni la si dimentica quasi del tutto. La sua tomba viene
identificata nel 1895 dalla badessa benedettina di Roma, lady
Mathilde Pynsent. La salma è completamente polverizzata, ma si
riconosce l’abito benedettino. La Pynsent l’anno successivo
scrive una biografia che pubblica anonima. Forse è questo libro che
ispira una vetrata neogotica del Vassar College, a Poughkeepsie, NY,
dove Elena è raffigurata mentre discute con i suoi esaminatori.
Benedetto Croce ne dà indirettamente un giudizio
sprezzante: «Scarsissimo o nullo è il valore di tutta cotesta
letteratura ascetica e rimeria spirituale», mentre soltanto nel
1969, in vista del tricentenario, l’Università di Padova decide di
muoversi per appurare se il primato – a quel tempo presunto – di
Elena Lucrezia Corner Piscopia sia effettivo o meno. La verifica
risulta positiva.
L'Italia non vanta solo la prima laureata della storia, ma tutti e tre i gradini del podio. La seconda donna del mondo a laurearsi è Laura Bassi Verati, nel 1732, a Bologna; si laurea in storia naturale e medicina e diventa la prima donna docente universitaria. La terza è una rodigina, Cristina Roccati che il 5 maggio 1751 si laurea in filosofia e fisica sempre all'Università di Bologna. Visto che ci siamo ricordiamo anche la quarta, italiana pure lei: Maria Pellegrina Amoretti, laureata a Pavia in giurisprudenza, il 25 giugno 1777 (la quinta è una spagnola).
L'Italia non vanta solo la prima laureata della storia, ma tutti e tre i gradini del podio. La seconda donna del mondo a laurearsi è Laura Bassi Verati, nel 1732, a Bologna; si laurea in storia naturale e medicina e diventa la prima donna docente universitaria. La terza è una rodigina, Cristina Roccati che il 5 maggio 1751 si laurea in filosofia e fisica sempre all'Università di Bologna. Visto che ci siamo ricordiamo anche la quarta, italiana pure lei: Maria Pellegrina Amoretti, laureata a Pavia in giurisprudenza, il 25 giugno 1777 (la quinta è una spagnola).
Elena Lucrezia Corner Piscopia dovrebbe essere una gloria
nazionale, la prima donna laureata del mondo dovrebbe essere nel
Pantheon degli italiani illustri, motivo di vanto per tutta la
nazione. Dovrebbe. E invece, oltre alla già ricordata e poco
visibile statua a Padova, c’è solo una targa infissa nel Municipio
di Venezia. Strade? Tre: una nella periferia di Padova, le altre
Barzanò e a Cesa (centri non proprio di prima grandezza, in
provincia di Lecco e Salerno). Scuole? Una, elementare, a Cittadella
(Pd). Aule universitarie? Zero. Francobolli? Zero. L'Italia non ha
spazio per ricordare la prima laureata della storia.
* Autore di Bastarde
senza gloria. Storie di donne a Venezia dal Medioevo a Patty Pravo,
ebook del Castellovolante editore
Nessun commento:
Posta un commento