PAPA/ Carriquiry: non ha bisogno di una teologia
della liberazione, gli basta il Vangelo
della liberazione, gli basta il Vangelo
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Guzman
Carriquiry
venerdì
23 agosto 2013
Pubblichiamo
il testo dell'intervento al Meeting di Rimini di Guzman Carriquiry
Lecour, segretario della
Pontificia
Commissione per l'America Latina.
Quando
si sente parlare il padre Pepe della sua esperienza, dell’esperienza
dell’arcidiocesi di Buenos Aires nelle
Villas
Miseria, viene da esclamare: altro che pauperismo ideologico, altro
che populismo pauperista! Lui ci aiuta
a
intravedere il vescovo Jorge Mario Bergoglio mentre percorre le
Villas Miseria, vicino ai suoi preti, entrando
nelle
case dei più poveri, condividendo il pane e celebrando con loro
l’Eucaristia. In fondo è la stessa immagine di
papa
Francesco che lava i piedi nel carcere minorile di Roma, visita
Lampedusa, la favela di Varginha o l’ospedale
per
i tossicodipendenti a Rio di Janeiro. Non c’e bisogno di una
teologia della liberazione per farlo; basta il
Vangelo
vissuto, l’abbraccio della carità, il dono commosso di sé. Basta
essere discepolo e testimone di un Dio che
essendo
ricco diventa povero all’inverosimile, seconda Eucaristia in tutti
coloro che patiscono ancora, nella
propria
carne, ciò che manca alla passione di Cristo. Da ciò che abbiamo
fatto (o meno) per i piccoli e bisognosi
saremo
giudicati. Forse questo è stato, ed è, il contributo più
importante della Chiesa latinoamericana alla
cattolicità:
la ripresa del Vangelo e della tradizione cattolica riguardo a una
“Chiesa povera e per i poveri”.
Se
le Villas Miseria sono cresciute molto nelle ultime decadi, Buenos
Aires, per certo, e molto più di esse.
L’arcidiocesi
che fu affidata al vescovo Bergoglio era, ed è, una enorme città
cosmopolita, dove c’e ancora un
radicato
retroterra cattolico popolare, ma è anche segnata da tutte le
realtà, stimoli e piaghe della cultura globale.
Il
“nord” e il “sud” del mondo pongono in Buenos Aires grandi
sfide alla pastorale: dall’idolatria dei soldi e del
potere
alle Villas Miseria, dalla vitalità della religiosità popolare sino
all’estrema secolarizzazione e al pullulare di
ogni
sorta di ideologia. Il vescovo Bergoglio non teorizzava mai sulla
nuova evangelizzazione; condivideva il
Vangelo
in prima persona, in mezzo alla sua gente, con grande amore al gregge
concreto che gli era stato affidato,
spingendo
i suoi preti a uscire ai crocevia e alle periferie della vita
cittadina, nella lieta e grata convinzione - come
dice
adesso il papa Francesco - “che
la verità cristiana è attraente e persuasiva perché risponde ai
bisogni
profondi
dell’esistenza umana”.
In
ottimi rapporti con gli eparchi ortodossi della regione, incontrando
una volta al mese i pastori evangelici per
pregare
insieme, legato da profonda amicizia con il rabbino capo di Buenos
Aires, molto rispettato dall’imam
della
città, Bergoglio praticò nella sua diocesi il dialogo con tutti,
“senza negoziare
l’appartenenza”.
Politici,
sindacalisti,
imprenditori, giornalisti e tanta gente comune cercava di incontrarlo
personalmente perche era
riconosciuto
come la persona più autorevole e affidabile dell’Argentina,
custode della libertas
ecclesiae e del bene
del
suo popolo. Inoltre, il cardinale Bergoglio è stato sempre non solo
argentino, ma anche di forte coscienza
latinoamericana,
protagonista di quell’evento di maturità della Chiesa in America
Latina che fu la Conferenza di
Aparecida.
Chi legge il “documento di Aparecida” è nelle migliori
condizioni per conoscere la sua impostazione
pastorale.
Se a questa lunga esperienza sacerdotale e pastorale si aggiunge
ancora la sua esperienza “romana”
come
membro di vari dicasteri della Santa Sede e il suo compito come
relatore nell’Assemblea del Sinodo
mondiale
dei Vescovi avendo precisamente come tema la figura del vescovo
all’alba del nuovo millennio,
possiamo
dunque riconoscere che la Provvidenza di Dio aveva già ben preparato
Jorge Mario Bergoglio per il
papato.
Poi
la grazia che assiste il Successore di Pietro lo ha ringiovanito, lo
ha reso più comunicativo ed espressivo negli
affetti,
più libero, gioioso e determinato nel ministero che gli è stato
affidato, con una pace, serenità e un
dispendio
di energie che solo può provenire dalla profondità del suo rapporto
con Dio. Mi piace ricordare che fu
nel
2010 verso San Paolo e Aparecída che il Santo Padre Benedetto XVI
disse quelle parole premonitorie riferite
all’America
Latina: “Sono
convinto - affermò
durante una informale conferenza stampa - che
qui si decide,
almeno
in parte - e in una parte fondamentale - il futuro della Chiesa
cattolica: questo per me è stato sempre
evidente”.
Non sarà sfuggito a papa Benedetto che stava per incontrare più del
40 per cento dei cattolici del
mondo
intero (che con gli ispanici negli Stati Uniti e nel Canada si
avvicinano alla metà!) e in una America Latina
non
già periferia arretrata, emarginata, disprezzata, ma regione
fortemente emergente nella scena internazionale.
Con
il papa Francesco, l’America Latina ridà alla Chiesa universale il
meglio di se stessa; restituisce al centro
della
cattolicità il tesoro della tradizione cattolica, profondamente
inculturata nella storia e nella vita dei nostri
popoli,
che le era giunto cinque secoli fa attraverso la prima
evangelizzazione dei missionari europei, soprattutto
spagnoli
e portoghesi. Certo che se nella nostra gente c’è oggi un sano
orgoglio per il primo papa
latinoamericano,
le Chiese dell’America Latina devono però dimostrarsi degne della
singolare collocazione in cui
le
ha poste la Provvidenza.
Esse
devono assumere accresciute esigenze e responsabilità, che si
declinano, direi, a tre livelli. Il primo è quello
di
ricapitolare e riassumere a sé tutta la grande tradizione cattolica
per un salto di qualità nella formazione e
crescita
cristiana dei fedeli e dei ministri. Il secondo è quello di un
rinnovato slancio della “missione
continentale”
come condivisione del Mistero presente, che commuova la Vita dei
nostri popoli e apra strade verso
il
loro sviluppo integrale. Il terzo si riferisce ad una accresciuta
responsabilità nella sollecitudine apostolica
universale,
in collaborazione con il ministero universale del Papa.
L’elezione
di Jorge Mario Bergoglio come Successore di Pietro è stata per quasi
tutti nella Chiesa un imprevisto.
Non
era, infatti, considerato tra i grandi candidati papabili. Ma voi vi
ricordate bene di qualcuno che ci ha parlato
dell’imprevisto
come “qualcosa di
nuovo che entra nella nostra Vita: non previsto, non definito prima”,
che
accade
sorprendentemente, che rompe con schemi prefissati, che scuote la
gabbia di comodo nella quale siamo
sempre
tentati di rifugiarci, che ci pone davanti a realtà che non avevamo
preso seriamente in considerazione.
Oggi
Francesco, successore di Pietro, è per noi questo avvenimento, la
persona reale, singola concreta umanità
che
fa presente e vicina la compagnia di Cristo all’uomo, che
custodisce e mostra il Mistero che salva. lo voglio,
qui
e ora, essere tra i poveri testimoni della gioia e della gratitudine,
della sequela piena di entusiasmo, di questa
forma
concreta di obbedienza, che ci provoca il dono della Provvidenza di
Dio con il papa Francesco. Sono - come
confessa
anche don Julián Carrón - “contento
di poter imparare da lui e di poter essere in compagnia sua per
come
ci ripropone il primato dell’incontro con Cristo che sempre ci
spiazza”.
Lasciamoci
stupire dalle sorprese di Dio, diceva il papa Francesco a Rio de
Janeiro. Lasciamoci stupire insieme
alle
moltitudini che le hanno manifestato una sorprendente accoglienza con
un animo aperto, lieto, pieno di
attese,
anche molti che si erano allontanati dalla fede o tra quelli che
pensavano di aver definitivamente chiuso i
conti
con la Chiesa. Che cosa è la missione se non un’attrazione,
l’attrazione di una verità, di una bellezza, che
sveglia
i “cuori
anestetizzati”, che
rompe la cappa dell’indifferenza, che mette in moto i desideri, che
suscita un
presentimento
curioso, una domanda carica di attese? “La
gente semplice ha sempre spazio per albergare il
mistero
(...). Nella casa dei poveri, Dio trova sempre posto”,
ha detto il Papa Francesco nel suo straordinario
discorso
programmatico all’episcopato brasiliano.
Perciò,
c’è bisogno di “una
Chiesa che fa spazio al mistero di Dio, una Chiesa che alberga in se
stessa tale
mistero,
in modo che esso possa incantare la gente, attirarla. Soltanto la
bellezza di Dio può attrarre. La Via di
Dio
e l’incanto che attrae (...). Egli risveglia nell’uomo il
desiderio di custodirlo nella propria vita, nella propria
casa,
nel proprio cuore. Egli risveglia in noi il desiderio di chiamare i
vicini per far conoscere la sua bellezza.
La
missione nasce proprio da questo fascino divino, da questo stupore
dell’incontro”.
Se
si vuole attirare la gente
a
Dio non si può partire dai “no”, neanche da quei “no”
scontati in una Chiesa che sa di non poter negoziare
niente
di ciò che è sostanziale nella sua dottrina. Siamo chiamati
specialmente in questo straordinario primo
semestre
del 2013 ad avvertire, da una parte, la salda continuità della
grande tradizione cattolica, del patrimonio
di
fede che ci viene dalla testimonianza apostolica, per mezzo dei
Successori di Pietro e in particolare di
Benedetto
XVI e di Francesco. Mi riferisco a quella continuità che si
manifesta nell’incondizionata obbedienza
assicurata
dal Papa rinunciante a colui che sarebbe stato il suo successore.
Essa si esprime nell’affetto tra
Benedetto
e Francesco, nelle immagine dei due che pregano insieme,
nell’enciclica Lumen
Fidei scritta a
quattro
mani,
nelle parole di Francesco ai giovani, a Rio de Janeiro, ricordando
sempre i suoi predecessori, Giovanni
Paolo
II e Benedetto XVI accompagnati da fragorosi applausi.
Allo
stesso tempo, come non ammirare il fatto che si succedano pontefici
di così diverse biografie, venuti da
contesti
culturali tanto diversi, di temperamenti, formazione, sensibilità e
stili cosi differenti, al punto che
ognuno
di essi sembra disegnato e definito come la persona adeguata a
rispondere tempestivamente alle richieste
della
missione della Chiesa nelle varie congiunture storiche? Perciò è
opera del demonio - il principe della
menzogna
e della divisione - concentrarsi ossessivamente nel confronto tra il
vescovo emerito di Roma e il suo
successore,
sia per rimanere nostalgicamente afferrati al papa precedente - e
questa diventa “nostalgia canaglia”
quando
degenera in giudizi farisaici sul Papa attuale -, sia per esaltare il
Papa attuale sino a denigrare i
predecessori,
considerando tutte le novità e riforme che porta con se come rottura
rivoluzionaria nella tradizione
della
Chiesa, in quella storia ininterrotta di amore che è la Chiesa.
Oggi
abbiamo un solo Papa, Francesco, protagonista di una Chiesa che, per
grazia di Dio, si autoriforma in
capitis
e in
membris. Il
pontificato di Benedetto XVI, che è stato per quell’uomo santo,
umile e saggio una specie
di
via crucis, in mezzo a un clima teso e drammatico nella vita
ecclesiale, lascia il passo all’inaspettata ma
desiderata
esplosione di gioia e di speranza nel pontificato di Francesco,
sorpresa dello Spirito di Dio che sa
quando
e come provocare un risorgere cristiano nelle anime. La straordinaria
rinuncia di papa Benedetto “per
il
bene
della Chiesa”
acquisisce nuova luce con il pontificato di Francesco. Se Benedetto
divenne drammaticamente
consapevole,
nel suo dialogo faccia a faccia con Dio, della sua mancanza di forze
per affrontare compiti e
decisioni
necessarie, la sua libertà e umiltà - la consapevolezza che è Dio,
e non il papa, che conduce la sua Chiesa
-
prepara il cammino affinché il timone della barca di Pietro sia
preso da chi, per grazia di Dio, è capace di farlo in
migliori
e sorprendenti condizioni, dopo il santo magister, il santo pastore,
padre vicino al suo popolo.
La
più grande teologia ratzingeriana, che è ricchezza di magistero per
la Chiesa di oggi e di domani, lascia il passo
alla
predica vissuta di un Vangelo sine
glossa, che è alla
sua sorgente. La salda formazione teologica e filosofica
del
papa gesuita si fa essenzialità evangelica nella sua “grammatica
di semplicità”, un rinnovato impeto e
freschezza
apostolica nello stare tra la gente - mai distaccate, mai
rifugiandosi nella retorica dei “principi”, ma in
gesti
pieni di affetto, di consolazione, di tenerezza. Imprevisto e
imprevedibile - scrive il Vescovo e amico
Massimo
Camisasca - perché sempre alla ricerca, guidata da Dio e della sua
esperienza pastorale, di nuove strade
per
raggiungere gli uomini che ha davanti. E la gente si sente toccata
dal percepire l’abbraccio di una
misericordia
misteriosa e debordante.
Francesco
predilige la medicina della misericordia più che il rigore
dell’atteggiamento severo e giudicante. “Dio
perdona
sempre, perdona tutto. Siamo noi -
ripete - che ci
stanchiamo di farci perdonare”.
E perciò la necessità
della
preghiera, umile, forte, coraggiosa, perché Gesù possa fare il
miracolo del cambiamento nella nostra vita. La
sua
è una rivoluzione evangelica. Dopo le devastazioni umane in cui sono
finite le Rivoluzioni, con la “R”
maiuscola,
secondo la mitologia dell’ateismo messianico, solo la Chiesa può
riprendere con verità - diceva il mio
maestro
Alberto Methol Ferre nel libro-intervista fatto con l’amico Alver
Metalli - a parlare di rivoluzione.
Sembrava
ascoltarlo il papa Benedetto XVI che dopo parlava di una “rivoluzione
dell’amore”, il cristianesimo
come
“il mutamento più radicale della storia”. La “rivoluzione
della grazia” dice adesso Francesco, perché è la
sola
che cambia ontologicamente l’uomo, il soggetto della storia.
“Mettersi nell’onda
della rivoluzione della fede”
disse
ai 3 milioni di giovani a Copacabana: rivoluzionari perchè
controcorrente in una cultura che genera
“confusione
circa il Senso della vita, la disintegrazione personale, la perdita
dell’ esperienza di appartenere a
un
‘nido’, la mancanza di un focolare e di legami profondi”.
Papa
Francesco ci richiama alla conversione, affidandoci alla grazia, per
essere liberati dagli idoli e riacquistare la
vera
liberta. Questa rivoluzione della grazia è frutto dell’incontro
con Cristo, come non cessa di insegnare e di
invitare
Francesco, e non esaltazione della volontà (pelagianismo) o mera
sapienza umana (gnosi). Essa è la
sorgente
della missione: comunicare il dono dell’incontro con Cristo, “da
un traboccare di letizia e di
gratitudine”
(come si legge nel documento di Aparecida). “Uscire” è il verbo
più frequente di Francesco: uscire
dalla
nostra autosufficienza, uscire dall’autoreferenzialità, uscire
dalle “chiesette” autocompiacenti, uscire verso
le
periferie esistenziali in cui è in gioco la vita degli uomini. Non
possiamo non porci le domande che il papa
Francesco
si poneva a se stesso e ai Vescovi brasiliani: “Il
mistero difficile della gente che lascia la Chiesa; di
persone
che, dopo essersi lasciate illudere da altre proposte, ritengono che
ormai la Chiesa (. . .) non possa
offrire
più qualcosa di significativo e importante (...). Forse la Chiesa è
apparsa troppo debole, forse troppo
lontana
dai loro bisogni, forse troppo povera per rispondere alle loro
inquietudini, forse troppo fredda nei loro
confronti,
forse troppo autoreferenziale, forse prigioniera dei propri rigidi
linguaggi, forse il mondo sembra
aver
reso la Chiesa un relitto del passato, insufficiente per le nuove
domande (…)”.
Queste
domande sono come l’eco di quella struggente di Eliot nel coro de
“La Rocca”, spesso ripresa da don
Giussani:
“E’ l’umanità
che ha abbandonato la Chiesa?”
o “E’ la Chiesa che
ha abbandonato l’umanità?”.
“Serve
una
Chiesa – proseguiva
il papa – che non
abbia paura di entrare nella loro notte (…), capace di incontrarli
nella
loro strada (…), in grado di inserirsi nelle loro conversazioni
(…), di far compagnia (…), capace di
riscaldare
il cuore, di riaccompagnare a casa, (…) di risvegliare l’incanto”
per la bellezza della fede. Ha ragione
il
mio caro amico Lucio Brunelli quando scrive che l’originalità del
pontificato è questo essere “il
papa dei
lontani,
il buon pastore delle novantanove pecore che hanno lasciato il
recinto”, per cui
“non c’è azione o
parola
di
Francesco che non abbia questo orizzonte, questo cuore missionario”.
Questo è il vero cambiamento che lo
Spirito
sta suscitando oggi nella vita della Chiesa, aprendo enormi
possibilità di evangelizzazione. E’ un
cambiamento
che non passa in primis dai cambiamenti nella squadra di governo e
delle strutture della Chiesa, né
degli
interventi nello Ior e di altre iniziative di trasparenza e pulizia,
né dallo smontare il pomposo apparato di
rappresentanza
e di sicurezza. Tutto ciò è però indispensabile perché la libertà
e l’esemplarità del Papa si mostri
anche
come liberazione dalla zavorra di un certo andazzo curiale. C’era
bisogno di liberare la fede delle
incrostazioni
mondane per renderla di nuovo attraente.
Certo,
già i suoi predecessori – scrive il bravo Socci – “hanno
iniziato un progressivo smantellamento della
pesantezza
regale della Curia. Giovanni Paolo II preferiva stare per le strade
del mondo, anziché in Vaticano. E
Benedetto
XVI ha sparato fulmini contro carrierismo, clericalismo, mondanità,
divisioni, ambizioni di potere
(…)
sporcizia nella Chiesa”.
Ora papa Francesco realizza quello che il suo predecessore ha chiesto
tante volte… e
molto
di più. Tutto ciò fa parte della “rivoluzione evangelica” che
segna un profondo mutamento “del modo
stesso
di fare il papa”. Un’ultima annotazione: l’enciclica Lumen
Fidei è un gesto di
straordinaria riconoscenza e
di
umiltà da parte di papa Francesco. Sebbene la maggior parte del
testo sia del Vescovo emerito di Roma, il papa
Francesco
l’ha completato, le ha dato unità e l’ha firmata come la prima
enciclica del suo pontificato. Ed è bello
che
cosi sia, perché il Magistero di Benedetto ma anche di tutti i suoi
predecessori non è cosa di “ieri” ma
contemporanea
all’oggi della Chiesa. Allo stesso tempo, però, sembra molto
importante che la lettura di questa
enciclica
non si racchiuda in ermeneutiche ed esegesi del pensiero
ratzingeriano, a suo modo un po’ “retrò”, ma
venga
letta soprattutto alla luce dell’avvenimento del pontificato di
papa Francesco, dalle perle delle sue omelie
quotidiane,
dalle sue catechesi, da quel “uscire” missionario per condividere
la luce della fede ad
gentes. Oggi la
luce
della fede risplende grazie alla testimonianza, alle parole, ai
silenzi, ai gesti di papa Francesco e rende
luminoso
questo tempo di grazia e di speranza che stiamo vivendo. Preghiamo
per il papa Francesco!
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