Silvo Krčméry è morto. Ha tenuto in vita la chiesa slovacca durante il comunismo
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settembre 14, 2013
Angelo Bonaguro
Nel 1943 stringe una profonda amicizia con Vlado Jukl, coetaneo conosciuto in occasione dell’arrivo di padre Kolakovič in fuga dalla Jugoslavia che, sull’esempio della Gioventù Operaia Cristiana, svolge apostolato fra gli studenti e li prepara mettendoli in guardia dal pericolo comunista.
Negli anni Ottanta la comunità pubblica riviste samizdat, raccoglie firme per la libertà religiosa, aiuta a organizzare i pellegrinaggi come nell’84 a Šaštín, il santuario nazionale, quando il dottor Krčméry prolunga il ricovero ospedaliero del tremebondo parroco in modo che si possa svolgere un’adorazione notturna «informale» senza nessuno che rompa le uova nel paniere…
Dopo l’89 Silvo si dedica ai drogati e agli alcolisti, considera le persecuzioni del passato utili alla maturazione personale, «senza la quale un uomo non può essere cristiano». Negli ultimi anni è costretto a letto, eppure sono centinaia le persone, giovani e meno giovani, che passano a trovarlo e partecipano alle messe celebrate nella stanzetta al secondo piano. È splendido vedere come questo vecchietto malato, quasi incosciente abbia il dono di raccogliere attorno a sé la comunità cristiana, di far pregare e di insegnare la bellezza di quei canti che non si è stancato di ripetere fino all’ultimo filo di voce: dai canti tradizionali slovacchi a quelli russi o latini, all’intramontabile Mamma di Beniamino Gigli, la sua preferita.
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