Etty Hillesum. Cercando un tetto a Dio
***
Gli incontri per l’Anno della fede affrontano con questo appuntamento uno degli interrogativi più inquietanti
del nostro tempo: come parlare di Dio dopo Auschwitz?! Possiamo ancora credere
in un Dio che ama l’uomo, dopo gli orrori del “male assoluto” dei campi di
sterminio nazisti?
Etty
Hillesum era una donna ebrea, cresciuta ad Amsterdam e morta ad Auschwitz il 30
novembre del 1943 all’età di 29 anni. Era una donna passionale, concreta,
intellettualmente viva e curiosa, ma allo stesso tempo pervasa da un caos
interiore. Attraverso alcuni incontri comincia a cambiare sguardo sulla realtà.
Mentre le persecuzioni contro il
suo popolo si inasprivano, scopre un nuovo modo di guardare ciò che le
accade. L’8 ottobre del ’42, nel campo
di concentramento di Westerbork, scrive: “eppure arrivo sempre alla stessa conclusione: la vita è bella. E credo
in Dio. E voglio stare proprio in mezzo ai cosiddetti ‘orrori’ e dire
ugualmente che la vita è bella”. Leggendo le pagine dei suoi diari, scritti
tra il 1941 e il 1943, restiamo sbalorditi al ripetersi frequente di affermazioni come queste: “trovo bella la vita, e mi sento libera. I
cieli si stendono dentro di me come sopra di me. Credo in Dio e negli uomini e
oso dirlo senza falso pudore… Sono una persona felice e lodo questa vita, la
lodo proprio, nell’anno del Signore 1942, l’ennesimo anno di guerra”.
I suoi diari sono la testimonianza grandiosa e
commovente del cammino spirituale compiuto da questa giovane donna, che
potrebbe essere ognuno di noi. Non è una santa, né una mistica, e tanto meno
una religiosa praticante. Figlia di una famiglia medio-borghese, ha studiato
all’università giurisprudenza, lingue slave e psicologia. Aveva grandi passioni
e anche le sue fragilità. L’incontro decisivo per la sua vita è stato con un
uomo, Julius Spier, che l’ha avviata alla ricerca di cosa fosse essenziale
nella vita e veramente umano. Un amore libero e ricco di passione, che ha
aperto il suo cuore a Dio: “dentro di me c’è una sorgente molto
profonda. E in quella sorgente c’è Dio. A volte riesco a raggiungerla, più
sovente essa è coperta da pietre e sabbia: allora Dio è sepolto. Allora bisogna
dissotterrarlo di nuovo”. L’aver scoperto questa sorgente misteriosa della
vita ha fatto emergere in lei un
unico desiderio: “diventare più semplice”,
ossia guarire dalla “grave malattia”
di pretendere di rinchiudere la vita nelle formule prodotte dalla sua mente invece
di lasciarsi abbracciare dalla vita, che le viene sempre incontro. “Ogni volta vorresti rifare il mondo,
invece di goderlo com’è”!
Nell’inesorabile stringersi della morsa della
persecuzione vive l’attesa della deportazione con questa certezza, che è il
segreto della sua felicità: “si deve
semplicemente essere”. Al tema della nostra serata Etty dà una risposta
rivoluzionaria, sconvolgente per la sua semplicità: “se Dio non mi aiuterà più, allora sarò io ad aiutare Dio”. Scrive: “una cosa, però, diventa sempre più evidente
per me, e cioè che tu non puoi aiutare noi, ma che siamo noi a dover aiutare
te, e in questo modo aiutiamo noi stessi… Sì, mio Dio, sembra che tu non possa
far molto per modificare le circostanze attuali ma anch’esse fanno parte di
questa vita”.
Ma cosa significa questo? Per aiutare Dio Etty
andò a Westerbork volontariamente, per condividere il destino del suo popolo e
portare consolazione ai suoi fratelli perseguitati, che spesso le confidano la
loro disperazione: “a volte le persone
sono per me come case con la porta aperta. Io entro e giro per corridoi e
stanze, ogni casa è arredata in modo un po’ diverso ma infondo è uguale alle
altre, di ognuna si dovrebbe fare una dimora consacrata a te, mio Dio. Ti
prometto, ti prometto che cercherò sempre di trovarti una casa e un ricovero.
In fondo è una buffa immagine: io mi metto in cammino e cerco un tetto per te.
Ci sono così tante case vuote, te le offro come all’ospite più importante. Perdonami
questa metafora non troppo sottile”.
Don Rober
to Roffi,
www.annodellafede.org
Nessun commento:
Posta un commento