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martedì 17 settembre 2013

Etty Hillesum. Cercando un tetto a Dio

dal quotidiano "La Regione" del 21 maggio 2013
           
Etty Hillesum. Cercando un tetto a Dio

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Cercando un tetto a Dio è il titolo del monologo scritto da Marina Corradi e tratto dagli splendidi diari di Etty Hillesum che Angela Dematté (Premio Golden Graal 2009) metterà in scena al Teatro Sociale di Bellinzona giovedì 6 giugno 2013 alle ore 20.45 (prevendita biglietti presso Bellinzona Turismo, 091 825 48 18).

Gli incontri per l’Anno della fede affrontano con questo appuntamento uno degli interrogativi più inquietanti del nostro tempo: come parlare di Dio dopo Auschwitz?! Possiamo ancora credere in un Dio che ama l’uomo, dopo gli orrori del “male assoluto” dei campi di sterminio nazisti?

Etty Hillesum era una donna ebrea, cresciuta ad Amsterdam e morta ad Auschwitz il 30 novembre del 1943 all’età di 29 anni. Era una donna passionale, concreta, intellettualmente viva e curiosa, ma allo stesso tempo pervasa da un caos interiore. Attraverso alcuni incontri comincia a cambiare sguardo sulla realtà. Mentre le persecuzioni contro il suo popolo si inasprivano, scopre un nuovo modo di guardare ciò che le accade. L’8 ottobre del ’42, nel campo di concentramento di Westerbork, scrive:eppure arrivo sempre alla stessa conclusione: la vita è bella. E credo in Dio. E voglio stare proprio in mezzo ai cosiddetti ‘orrori’ e dire ugualmente che la vita è bella”. Leggendo le pagine dei suoi diari, scritti tra il 1941 e il 1943, restiamo sbalorditi al ripetersi frequente di affermazioni come queste: “trovo bella la vita, e mi sento libera. I cieli si stendono dentro di me come sopra di me. Credo in Dio e negli uomini e oso dirlo senza falso pudore… Sono una persona felice e lodo questa vita, la lodo proprio, nell’anno del Signore 1942, l’ennesimo anno di guerra”.

I suoi diari sono la testimonianza grandiosa e commovente del cammino spirituale compiuto da questa giovane donna, che potrebbe essere ognuno di noi. Non è una santa, né una mistica, e tanto meno una religiosa praticante. Figlia di una famiglia medio-borghese, ha studiato all’università giurisprudenza, lingue slave e psicologia. Aveva grandi passioni e anche le sue fragilità. L’incontro decisivo per la sua vita è stato con un uomo, Julius Spier, che l’ha avviata alla ricerca di cosa fosse essenziale nella vita e veramente umano. Un amore libero e ricco di passione, che ha aperto il suo cuore a Dio: “dentro di me c’è una sorgente molto profonda. E in quella sorgente c’è Dio. A volte riesco a raggiungerla, più sovente essa è coperta da pietre e sabbia: allora Dio è sepolto. Allora bisogna dissotterrarlo di nuovo”. L’aver scoperto questa sorgente misteriosa della vita ha fatto emergere in lei un unico desiderio: “diventare più semplice”, ossia guarire dalla “grave malattia” di pretendere di rinchiudere la vita nelle formule prodotte dalla sua mente invece di lasciarsi abbracciare dalla vita, che le viene sempre incontro. “Ogni volta vorresti rifare il mondo, invece di goderlo com’è”!

Nell’inesorabile stringersi della morsa della persecuzione vive l’attesa della deportazione con questa certezza, che è il segreto della sua felicità: “si deve semplicemente essere”. Al tema della nostra serata Etty dà una risposta rivoluzionaria, sconvolgente per la sua semplicità: “se Dio non mi aiuterà più, allora sarò io ad aiutare Dio”. Scrive: “una cosa, però, diventa sempre più evidente per me, e cioè che tu non puoi aiutare noi, ma che siamo noi a dover aiutare te, e in questo modo aiutiamo noi stessi… Sì, mio Dio, sembra che tu non possa far molto per modificare le circostanze attuali ma anch’esse fanno parte di questa vita”.

Ma cosa significa questo? Per aiutare Dio Etty andò a Westerbork volontariamente, per condividere il destino del suo popolo e portare consolazione ai suoi fratelli perseguitati, che spesso le confidano la loro disperazione:a volte le persone sono per me come case con la porta aperta. Io entro e giro per corridoi e stanze, ogni casa è arredata in modo un po’ diverso ma infondo è uguale alle altre, di ognuna si dovrebbe fare una dimora consacrata a te, mio Dio. Ti prometto, ti prometto che cercherò sempre di trovarti una casa e un ricovero. In fondo è una buffa immagine: io mi metto in cammino e cerco un tetto per te. Ci sono così tante case vuote, te le offro come all’ospite più importante. Perdonami questa metafora non troppo sottile”.

Don Roberto Roffi, www.annodellafede.org

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