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martedì 7 aprile 2020

DIO MIO PERCHE' MI HAI ABBANDONATO?



 PERCHE' MI HAI ABBANDONATO?
Alessandro D'Avenia

Spense la luce, avanzò a tentoni nella camera da letto e si lasciò cadere sul
giaciglio: le lacrime sgorgarono. Soltanto dormire, solo dimenticare, non essere. In
preda all’angoscia giaceva accasciato sul letto. Nulla poteva più dargli consolazione,
perché Dio l’aveva abbandonato ed estromesso dal sacro fiume della vita!». Così
Stefan Zweig descrive la disperazione del grande compositore Georg Friedrich
Händel, in uno dei magistrali racconti di Momenti fatali, libro che narra gli istanti in
cui grandi uomini incontrarono il loro destino. Per Händel avvenne in una soffocante
notte di agosto del 1741: la vena creativa era prosciugata, nessuno gli
commissionava nuovi lavori e i soldi erano finiti. A 56 anni, senza musica, era
perduto e voleva morire: «In un accesso di collera pronunciò le parole di Colui che
moriva sulla croce: “Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?”». Parole che mi
fanno pensare a un amico solo e in fin di vita a causa del virus; e mi ricordano quei
momenti in cui sembra di aver perso tutto: l’ispirazione, la fiducia, la speranza, la
vicinanza degli altri e di Dio.
Questo abisso è in realtà un «passaggio» (questo significa Pasqua in ebraico):
anche Cristo sperimenta il muro invalicabile della solitudine, ma lo trasforma in
apertura. Il Figlio infatti chiede al Padre perché l’abbia abbandonato con le parole
iniziali del profetico Salmo 21, che non sono un urlo disperato, ma l’atto di fiducia di
chi, non potendo più confidare nelle proprie forze, si affida, come mostrano le sue
ultime parole: «Padre, nelle tue mani metto la mia vita». Voler ricevere la vita dal
Padre: questa è la fede, dono dato a chiunque accetti di non potersela dare da solo.
Quando perdiamo ciò su cui puntiamo di più (amore, affetti, carriera), la vita 
ci simostra nella sua nuda fragilità e: o ci si perde o ci si ritrova una volta per sempre,
come accadde a Händel. In preda all’angoscia del suo Getsemani personale, si alzò
ed entrò nello studio: sul tavolo c’era una busta dimenticata. Gliel’aveva recapitata
un amico poeta, era il testo per una composizione sacra, che solo lui poteva
musicare: «Alle prime parole tremò. “Comfort ye”, così iniziava. “Consolati!”:
emanava un potere magico da questa parola, anzi no, non una parola ma una
risposta, la risposta di Dio, che scendeva dai cieli fino al suo cuore dolente.
«Consolati», resuscita l’anima al suono di questa parola creatrice, generatrice! Non
aveva finito di leggere e già le parole si scioglievano in melodia e canto. Quale gioia,
le porte si erano spalancate: sentiva di nuovo in musica!». Dio aveva risposto
proprio a lui, che finalmente lo riconosceva come Fonte dell’unica cosa in cui
credeva: la musica. E così dalle parole inattese dell’amico sgorgò il Messiah,
capolavoro noto a tutti perché almeno una volta ne abbiamo sentito il portentoso
Alleluia corale. Per tre settimane Händel si «abbandonò» alla creazione,
dimenticando il giorno e la notte, come accade quando l’eterno apre un passaggio
nella storia attraverso quella porta che solo noi possiamo aprirgli. Quando gli
chiesero di donare a malati e carcerati i profitti della prima (il 13 aprile del 1742),
rispose: «No, non voglio denaro per quest’opera, non ne accetterò mai, io che ne
sono debitore a un Altro. Apparterrà per sempre ai malati e ai reclusi, perché io
stesso ero infermo, e mi ha risanato, ero prigioniero, e mi ha redento». Così fu fino
al 6 aprile (oggi) del 1759 quando, 74enne, cieco e malato, presagendo il
«passaggio» finale, volle dirigere di persona il Messiah: era il suo a Dio. Pochi giorni
dopo, il 14 aprile, sabato santo, entrava nella vita eterna dalla porta che s’era aperta
con la sofferta bellezza della sua opera.
La Pasqua è proprio l’opera che Dio fa per restituirci la somiglianza con Lui:
essere creatori di vita. La cosa di cui più sono grato a Dio è infatti che posso
attingere sempre alla fonte da cui sgorgano l’inventiva, l’iniziativa, il coraggio tipici di
chi è innamorato, anche se non ne sono all’altezza. Noi ci realizziamo portando a
compimento le potenzialità della vita (nel morire Cristo dice «Tutto è compiuto»)
nostra e altrui, ciascuno nel suo ambito, ma le nostre energie creative sono spesso
bloccate. Fatti per ricevere e dare vita (creare e crescere hanno la stessa radice),
quando creiamo qualcosa di vero, bello e buono, anche minimo, cresciamo e
facciamo crescere il mondo. Se invece siamo preda di forze distruttive, tendiamo a
strappare la vita a cose e persone: de-cresciamo e facciamo de-crescere il mondo.
La Pasqua serve a ritrovare la gioia di «fare la vita», in e attorno a noi, diventando
noi stessi il «passaggio» attraverso cui l’Amore entra nella storia, grazie a ciò che
creiamo. Così fu per Händel, che salvò se stesso e tanti uomini abbandonati,
attraverso la musica che pensava di aver perso. In realtà aveva perso Dio, non la
musica: ascoltare per credere. Auguri!

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