Michel Houellebecq (26 febbraio 1956), Estensione del dominio della lotta (Sergio Claudio Perroni trad. it.), Milano 2015, Bompiani
(14-15)
La norma è complessa, multiforme. […]
Comunque un po’ di tempo libero ti resta sempre. Che fare? Come impiegarlo? Consacrarsi al servizio del prossimo? Già, solo che, in fondo, il prossimo non ti interessa affatto. Ascoltare musica? Un tempo, magari: ma nel corso degli anni ti sei reso conto che la musica ti soddisfa sempre meno.
Il bricolage, preso nel suo senso più lato, può offrire una via di scampo. Ma in verità non c’è nulla che riesca a impedire il sempre più ravvicinato ritorno di quei momenti in cui la tua solitudine assoluta, la percezione della vacuità universale, il presentimento che la tua esistenza stia approssimandosi a un disastro doloroso e definitivo, si combinano per sprofondarti in uno stato di vera e propria sofferenza.
E tuttavia continui a non aver voglia di morire.
(16)
La scrittura è tutt’altro che un sollievo. La scrittura rievoca, precisa. Introduce un sospetto di coerenza, l’idea di un realismo. Si sguazza sempre in una caligine sanguinolenta, ma un po’ si riesce a raccapezzarsi. Il caos è rinviato di qualche metro. Misero successo, in verità.
Che contrasto con il potere assoluto e miracoloso della lettura! Una vita intera a leggere avrebbe esaudito i miei desideri; lo sapevo già a sette anni. La struttura del mondo è dolorosa, inadeguata; non la vedo modificabile. Credo davvero che un’intera vita dedicata alla lettura mi sarebbe convenuta.
Tale vita non mi fu accordata.
(32)
“Tu devi accettare la tua natura divina!” esclama; dal tavolo accanto scoccano occhiate. […] Per ogni evenienza, sorrido […].
(47-48)
Ho vissuto talmente poco che ho la tendenza a immaginare che non morirò; si direbbe inverosimile che una vita umana si riduca a così poca cosa; si immagina, magari controvoglia, che prima o poi qualcosa dovrà pur succedere. Grosso errore. Una vita può benissimo essere al contempo vacua e breve. I giorni scorrono miseramente, senza lasciare traccia né ricordo; e poi, di colpo, si arrestano.
Talvolta ho avuto anche l’impressione che sarei riuscito a calarmi durevolmente in una vita assente; che la noia, relativamente indolore com’è, mi avrebbe permesso di continuare a compiere i consueti gesti della vita. Altro errore. La noia prolungata non è una condizione sostenibile: presto o tardi finisce per trasformarsi in percezioni assai più dolorose, di un dolore positivo; è esattamente ciò che sta per succedermi.
(110)
L’amore, come innocenza e come capacità di illusione, come attitudine a sintetizzare la totalità dell’altro sesso in un unico essere amato, è già raro che resista a un anno di vagabondaggio sessuale, figuriamoci a due.
”(145-146)
“Può darsi. Però non capisco, concretamente, come la gente riesca a vivere. La mia impressione è che tutti quanti dovrebbero essere infelici. Vede, noi viviamo in un mondo enormemente semplice: da un lato c’è un sistema basato sulla dominazione, sul denaro e sulla paura – un sistema decisamente maschile, che chiameremo Marte; dall’altro c’è un sistema femminile basato sulla seduzione e sul sesso, che chiameremo Venere. Tutto qua. È davvero possibile vivere e credere che non ci sia altro? Insieme ai realisti della fine del XIX secolo, Maupassant ha creduto che non ci fosse nient'altro; e questo lo ha condotto alla pazzia furiosa. [...] Se Maupassant è diventato pazzo, è stato perché aveva un'acuta consapevolezza della materia, del nulla e della morte – ma non ne aveva di nient'altro. [...] Più in generale, siamo tutti soggetti all'invecchiamento e alla morte. E per l'individuo umano il concetto di invecchiamento e di morte è insopportabile: nella nostra civiltà, esso si sviluppa sovrano e incondizionato, saturando progressivamente il campo della coscienza senza mai lasciarsi sostituire da altro. Così, a poco a poco, si stabilisce la certezza della limitazione del mondo. Persino il desiderio svanisce; non restano che l'amarezza, la gelosia e la paura. Soprattutto resta l'amarezza; un'immensa inconcepibile amarezza. Nessuna civiltà, nessuna epoca è stata in grado di sviluppare nell'individuo una simile mole di amarezza. [...]."
Michel Houellebecq (26 febbraio 1956), Estensione del dominio della lotta (Sergio Claudio Perroni trad. it.), Milano 2015, Bompiani
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