IL PADRE. DELLA PATRIA.
POPIEŁUSZKO
Un patriota del Cielo: ucciso in odium fidei
***
Un prete anzitutto, non un politico; un prete tra gli operai non un prete operaio. Che lavorando per la Patria celeste lavora per la sua patria rossa. Non il contrario. Perciò era doppiamente pericoloso per i comunisti polacchi.Per questo lo massacrano: il patriottismo era nella sua santità
Perché quella Messa deve essere celebrata all’interno di un cantiere in sciopero. In un momento delicato per la Polonia: siamo nel 1980 e la nazione è scossa da un’ondata di scioperi in seguito alla decisione governativa di aumentare i prezzi dei viveri. Don Jerzy porta se stesso e, prima di tutto, il suo essere sacerdote. Rimane con gli operai anche dopo la Messa. Non è un prete-operaio. Non ha bisogno di lavorare insieme a loro per capirli. Gli è sufficiente confessare, ascoltare, consigliare, provvedere. È un prete in mezzo agli operai. La differenza non è da poco: per tantissimi, l’incontro con lui rappresenta l’inizio della conversione
di Claudia Cirami
Molti
suoi ex compagni di seminario concordano: nessuno avrebbe mai
immaginato che quell’anonimo seminarista sarebbe poi diventato un
martire dalla statura eccezionale, vero e nuovo “padre della patria” per
la nazione polacca. Negli anni di formazione per i futuri sacerdoti, se
lo ricordano così: “Insignificante, debole, sottile come una canna”.
Mai impressione fu meno azzeccata per l’uomo su cui mi appresto a
scrivere: Jerzy Popiełuszko, beatificato nel 2010. A furor di popolo,
potremmo dire, se consideriamo i milioni di visitatori che, dal 1984 in
poi, sono passati davanti alla sua tomba per una preghiera o un omaggio.
PATRIA TERRENA O PATRIA CELESTE?
Don
Jerzy – o, familiarmente, Jurek – fu un tutt’uno con la sua Polonia. Il
suo martirio si spiega anche nel contesto del suo amore per quella
patria così sofferente. Nazione da poco uscita dalla soffocante spirale
nazista e immediatamente ghermita nella spirale ancor più opprimente del
comunismo. Ci chiediamo: un cristiano può provare amore per la propria
patria terrena, sapendo che lo attende la Patria Celeste? In Memoria e Identità, un altro celebre polacco, Giovanni Paolo II,
non ha dubbi: “L’espressione «patria» si collega con il concetto e con
la realtà di «padre»… Nel suo senso originale, patria significa ciò che
abbiamo ereditato dai nostri padri e dalle nostre madri sulla terra…”.
Spiega ancora Wojtyla che “[la] dipartita di Cristo … ha aperto il
concetto di patria sulla dimensione dell’escatologia e dell’eternità ma
non ha tolto nulla al suo contenuto temporale”. Per il papa polacco,
l’amore per la patria terrena non è in contraddizione con quello per la
Patria celeste e il patriottismo, nel Decalogo, “si colloca nell’ambito
del Quarto comandamento, il quale ci impegna ad onorare il padre e la
madre” e “significa amore per tutto ciò che fa parte della patria: la
sua storia, le sue tradizioni, la sua lingua, la sua stessa
conformazione naturale” perché “la patria è il bene comune di tutti i
cittadini e come tale è anche un grande dovere”. Un dovere che padre
Popiełuszko sentiva interiormente come molti polacchi e per il quale
pagò con la vita.
OMICIDIO POLITICO. NO, PER LA FEDE
Il
suo, però, non fu un assassinio politico. Fu l’uomo di Dio ad essere
ucciso, prima ancora del polacco amante della sua terra e del suo
popolo. Commentando la beatificazione del sacerdote, Benedetto XVI,
afferma: “Il suo zelante servizio e il martirio sono particolare segno
della vittoria del bene sul male” e auspica che “il suo esempio e la sua
intercessione accrescano lo zelo dei sacerdoti e infiammino d’amore i
fedeli laici”. In precedenza, Giovanni Paolo II ha detto di lui: “don
Jerzy è un martire che va considerato non solo nella misura in cui
servì in una certa causa di ordine politico, anche se si trattava di una
causa profondamente etica, bensì si deve guardare a lui e leggere la
sua figura nell’intera verità della sua storia, dal punto di vista
dell’uomo interiore”. Per evitare ulteriori fraintendimenti, durante la sua beatificazione, mons. Angelo Amato lo ha definito “testimone eroico della bellezza e della verità del Vangelo di Gesù”.
L’ABBRACCIO AL CANE: SAPEVA COME STAVA ANDANDO A FINIRE
Alfons
– questo il suo vero nome – nasce nel 1947 ad Okopy, una piccola
località, e presto sente di avere la vocazione sacerdotale. Viene
ordinato sacerdote dal cardinale Wyszyński, altra
figura cardine per la storia polacca recente. Popiełuszko muore a 37
anni. Non ha nemmeno quarant’anni, dunque, ma si è già reso inviso a
chi, prima di riuscire ad ucciderlo il 19 Ottobre del 1984, lo ha fatto
sorvegliare per molto tempo e ha cercato di dissuaderlo con minacce,
interrogatori, arresti, campagne mediatiche montate ad arte. Una
settimana prima dell’omicidio, per poco non è stato eliminato con un
finto incidente stradale. Padre Jerzy, però, è andato avanti, senza
perdersi d’animo, anche se sapeva di essere in pericolo. Una suora
ricorda quegli ultimi giorni: “Forse avvertiva qualcosa dentro di sé. Si
vedeva da come andava di fretta. Ringraziava gli amici anche per i più
piccoli favori”. L’ultimo giorno saluta il suo cane, un meticcio nero di
nome Tajniak, e fa per andarsene. Poi, però, contrariamente al suo
solito, torna indietro, lo stringe forte a sé e si allontana veloce.
Verso il martirio che lo attende e per il quale è pronto.
LA SALVEZZA DELLE ANIME È LA VERA “EVERSIONE”. COME IL CURATO D’ARS
Di
solito, ai media, poco interessa la vita ordinaria di un prete e quello
che spesso viene messo in evidenza di Popiełuszko è la sua opposizione
pacifica al comunismo. Leggendo, però, il libro “Popiełuszko” di Milena Kindziuk,
edito dalla San Paolo, si ha immediatamente la percezione che la Chiesa
– quando punta, prima di tutto, sull’essere sacerdote del martire
polacco – non è menzognera (il libro è un bel regalo per tutti, ma è
ottimo per i parroci). Don Jerzy ha a cuore la salute spirituale di chi
gli viene affidato, siano chierichetti, studenti, infermiere, operai.
Per lui, il prossimo non è un concetto generico: è qualcuno che ci sta
concretamente di fronte, da avvicinare in modo discreto ma con affetto e
partecipazione. Molti ricordano i suoi piccoli regali, le sue parole
sapienti, i suoi gesti di vera carità, il suo esserci quando c’é bisogno
di lui, anche a dispetto di una salute malferma. Diventa per molti una
porta d’ingresso: nell’ovile cattolico per chi ha vissuto fino ad allora
senza Dio; nella ferma professione di fede per chi è stato sempre
tiepido; nella pratica coerente ai richiami evangelici per chi non si è
mai voluto “sporcare la mani” nel servizio agli altri. Il Santo Curato d’Ars
e il beato Popiełuszko – per chi ha letto le due biografie – hanno
molto in comune, nonostante vite apparentemente diverse. Simile è la
fragilità umana, simile la convinzione di superarla per essere fedeli
alla volontà di Dio, costi quel che costi. Osservando questi e altri
sacerdoti in un santino con l’aureola in testa, siamo indotti a pensare
che vissero a due palmi da terra, distribuendo segni prodigiosi e parole
mirabolanti a destra e a manca. Più difficile, invece, è immaginarli
come furono realmente: sacerdoti come tutti gli altri, impelagati nelle
fatiche dell’evangelizzazione, nelle paure e nelle ansie di una missione
totalizzante, nelle preoccupazioni per come far giungere il messaggio
di Cristo a tutti e, perché no?, anche in quei difetti personali di
carattere che, spesso, ritardano i frutti di tanto zelo profuso. In
loro, però, c’è quella volontà tenace, ferma, caparbia di vincere tutte
le difficoltà, persino i propri limiti, per il Regno di Dio: questo li
rende straordinari. Questo li fa santi.
POLONIA OPPRESSA: SE ANCHE MARIA FINISCE DIETRO LE SBARRE
Quello
che è stato appena spiegato, naturalmente, non deve portare ad ignorare
lo sfondo politico in cui si muove la biografia del sacerdote polacco.
Don Jerzy visse e operò in anni molto duri per la Polonia e, fin dal
servizio militare, obbligatorio nonostante fosse seminarista, dovette
confrontarsi con il comunismo che vuole – fin dai suoi esordi –
sbarazzarsi della dimensione religiosa dell’uomo e, in modo particolare,
della fede cattolica. Leggendo di quel periodo, si rimane basiti nel
costatare a che punto può arrivare un sistema politico quando vuole
soffocare realtà vitali. Sono anni in cui al primate Wyszyński
non viene concesso di partecipare alla cerimonia in onore del Millennio
polacco a Roma; in cui la venerata immagine di Maria, nel santuario diCzęstochowa,
viene messa dietro una grata perché non venga portata in processione;
in cui gli attacchi alla libertà religiosa vengono condotti con rigore e
sistematicità, puntando sia sull’uso della forza che su quello
dell’indottrinamento ideologico imposto; infine, anni in cui – come
ricorda A. Riccardi in “Giovanni Paolo II. La biografia” – l’arcivescovo
di Cracovia, Karol Wojtyla, “è sotto controllo costante.: si registra
sistematicamente chi entra nel suo appartamento” ed è considerato un
personaggio pericoloso per la sua capacità di attrarre tutti. In anni
più recenti, si è saputo che anche membri della Chiesa, insieme a
fedeli, non resistettero a questa forte pressione, arrivando a
collaborare con il governo e danneggiando chi resisteva eroicamente, ma,
come ricordava nel 2007 l’arcivescovo di Varsavia, cardinale Nycz,
pochi casi di collaborazionismo non devono offrire un’immagine distorta
perché “è la vera storia della Chiesa, fatta di arresti, persecuzioni,
lotta per la libertà, di personaggi come il cardinale Wyszynski e padre
Popiełuszko quella che deve essere raccontata”. Proprio in questi anni
matura la vocazione e poi la missione sacerdotale di Jerzy Popiełuszko.
Poco per volta, assumerà i contorni di una sfida ferma, non violenta,
umana e umanizzante, al governo comunista.
NON UN PRETE-OPERAIO MA UN PRETE CON GLI OPERAI
L’incontro
che cambierà per sempre la vita di don Popiełuszko – quello con gli
operai – non è pianificato a tavolino da uomini. Il credente sa bene chi
è Colui che muove le fila del mondo. Così, quando, all’improvviso,
serve un sacerdote per celebrare una Messa e la prima chiesa che si
trova nel tragitto di chi ha il compito di cercarlo è quella in cui
padre Popiełuszko svolge il suo servizio sacerdotale, sappiamo che Dio
lo sta già chiamando all’ultimo e più importante compito della sua vita.
Perché quella Messa deve essere celebrata all’interno di un cantiere in
sciopero. In un momento delicato per la Polonia: siamo nel 1980 e la
nazione è scossa da un’ondata di scioperi in seguito alla decisione
governativa di aumentare i prezzi dei viveri. Don Jerzy porta se stesso
e, prima di tutto, il suo essere sacerdote. Rimane con gli operai anche
dopo la Messa. Non è un prete-operaio. Non ha bisogno di lavorare
insieme a loro per capirli. Gli è sufficiente confessare, ascoltare,
consigliare, provvedere. È un prete in mezzo agli operai. La differenza
non è da poco: per tantissimi, l’incontro con lui rappresenta l’inizio
della conversione.
IL CAPPELLANO DI SOLIDARNOŚĆ. “DISTINGUERE FRA COMUNISMO E CHI N’È SOGGIOGATO”
Frattanto,
le vicende politiche seguono il loro corso: il 17 Settembre 1981 viene
creato il Sindacato Indipendente Autogestito Solidarność (termine che
significa solidarietà). La Chiesa si rende vicina al sindacato che desta
preoccupazioni in Unione Sovietica. Si tenta pure di procedere ad un
accordo con il governo, ma l’incontro, datato 4 novembre 1981, tra
Jaruzelski, il nuovo primate Glemp, succeduto a Wyszynski, e Lech Wałęsa,
leader di Solidarność, non porta a nulla. Don Jerzy continua la sua
missione: è con gli operai, diventando il cappellano di Solidarność, ma
segue anche altri scioperanti, come gli studenti di medicina. Ancora una
volta, li incoraggia, li sostiene. Lo fa sempre da prete, però, attento
a non suscitare sentimenti di odio contro i nemici. Sa ben distinguere
tra l’ideologia comunista e coloro che ne sono soggiogati. “Combatto il
peccato, non le sue vittime”, ripete più volte, con la stessa pacatezza
con la quale affronta le difficoltà e la persecuzione crescente. In
questo sforzo per dare speranza al popolo di cui egli è parte
integrante, padre Popiełuszko non si sente solo. Segue i moniti di Karol
Wojtyla che, nel frattempo, è diventato papa, provocando un’ondata di
gioia in tutta la Polonia: anche il pontefice invita la sua nazione a
resistere con coraggio, senza cedere all’odio. Don Jerzy fa tesoro delle
parole di Giovanni Paolo II e cerca di declinarle nella vita da spiati,
controllati, perseguitati, che lui e molti altri vivono ogni giorno.
Soprattutto a partire dal 13 Dicembre 1981.
ALLA LEGGE MARZIALE RISPONDE CON LE MESSE PER LA PATRIA
E’
quello, infatti, il giorno in cui viene istituita la legge marziale
(sarà revocata due anni dopo, ma la situazione faticherà a tornare
normale). Arresti, internamenti, sospensioni di libertà fondamentali,
comparsa di carri armati e posti di blocco. Da quel momento, se
possibile, Jerzy Popiełuszko si lega ancor di più alle vicende del suo
popolo. Impressionante tutto ciò che fa per chi si trova nel bisogno,
sia esso povero, malato, internato. Qualcuno dirà che la porta della sua
stanza è aperta 24 ore su 24 per le necessità degli altri. A leggere le
testimonianze sui suoi gesti si capisce che non è un’esagerazione.
Quello che, tuttavia, lo impone all’attenzione nazionale e anche
internazionale è la celebrazione delle messe per la Patria, che vengono
organizzate a Varsavia, nella chiesa di Żoliborz, in cui lui risiede.
Non è un’idea sua ma presto viene individuato come il più adatto a
celebrarle. Con don Jerzy diventano messe a cui partecipano migliaia di
persone che vengono da ogni parte della Polonia. Soprattutto, si
imprimono nella memoria collettiva per le sue omelie. Semplici, come
lui, ma capaci di far rimanere in religioso silenzio tutti partecipanti.
Nonostante gli accenni alla situazione, le omelie non hanno un
carattere marcatamente politico, pur parlando di giustizia, di libertà,
di verità. Perché a don Jerzy non interessano le declinazioni politiche e
partitiche di questi valori ma la loro radice evangelica. Non gli
interessa condannare, fare i nomi dei carnefici, ma persuadere tutti
coloro che ascoltano – pure i nemici – che questi valori possono essere
testimoniati nella vita di ognuno e, di conseguenza, è possibile dare
nuova vita anche alla Polonia martoriata.
UN SAVONAROLA DELL’ANTICOMUNISMO: PAROLA DEL GOVERNO DI JARUZELSKI
Perché,
come si diceva, l’idea di fondo di padre Popiełuszko è questa: la dura
battaglia contro il peccato – anche quando strutturato socialmente – e
la compassione per coloro che ne rimangono vittime per le quali è
necessario pregare, chiedere perdono a Dio, sacrificarsi. “Vinci il male
con il bene”, ricorda san Paolo: questo diventa il programma di vita di
don Jerzy. Non c’è altra strada, per quello che è stato definito con
disprezzo “un Savonarola dell’anticomunismo” dal portavoce del governo
Jaruzelski e che, invece, è un pastore mite, capace tuttavia di
mantenersi fermo quando ha una convinzione. L. Geninazzi,
che lo conobbe personalmente, ha scritto su Avvenire: “Non aveva nulla
dell’agitatore politico… non era certo un eroe, provava spesso
sentimenti d’ansietà e di stanchezza”.
L’ULTIMO GIORNO. IL VOLTO DEL CROCIFISSO
Questo,
però, chi lo odia non lo comprende. Padre Popiełuszko è popolare ed è
un sacerdote che ama la Polonia e il suo popolo. Tradotto nel linguaggio
dei suoi nemici: scomodo e fastidioso. Dopo averle tentate tutte per
fermarlo, rimane solo l’eliminazione fisica. Don Jerzy è chiamato ad
essere fedele a quello che egli stesso ha detto in precedenza durante
un’omelia: “… per vincere il male con il bene bisogna armarsi della
virtù del coraggio. La virtù del coraggio rappresenta la vittoria sulla
debolezza umana, in particolare sulla paura. Il cristiano non deve
dimenticare che si deve aver paura solo di tradire Cristo per i trenta
denari di una meschina tranquillità. Il cristiano non può accontentarsi
solo di respingere il male, la menzogna, la viltà, la violenza, l’odio,
la prevaricazione, ma deve egli stesso essere un vero testimone, un
portavoce e un difensore della giustizia, del bene, della verità, della
libertà e dell’amore. Deve rivendicare con coraggio questi valori, per
sé e per gli altri”. Il 19 Ottobre del 1984, mentre torna in macchina a
Varsavia, dopo essersi recato in una località vicina per impegni
ecclesiali, lo rapiscono, lo chiudono in un bagagliaio, manganellandolo a
più riprese, lo “incaprettano” e poi, con un sacco di pietre ai piedi,
lo buttano giù nelle acque della Vistola. Gli autori del rapimento sono
tre agenti del Ministero degli Interni, da cui il governo e il partito
comunista – a seguito dell’indignazione nazionale e internazionale –
prendono le distanze. Lo ritrovano il 30 Ottobre. Nel verbale medico
sull’esame della cadavere, si legge: “Salma avvolta in un sacco di
cellophane legato a croce…”. Un segno che rimanda a quella croce che
padre Popiełuszko ha abbracciato con fedeltà fino alla fine. Le botte e
la permanenza in acqua lo hanno reso quasi irriconoscibile. Nell’omelia
per la beatificazione, Mons. Amato spiega: “Il volto orrendamente
sfigurato di questo mite sacerdote somigliava a quello flagellato e
umiliato del Crocifisso, senza più bellezza e decoro. La bocca
insanguinata di quella faccia martoriata sembrava ripetere le parole del
Servo del Signore: «Ho presentato il dorso ai flagellatori, la guancia a
coloro che mi strappavano la barba; non ho sottratto la faccia agli
insulti e agli sputi» (Is 50, 6)”. Quel volto, però, nonostante il
tentativo brutale di cancellarlo, ora è inciso profondamente nel cuore
della Polonia. E nella gloria di Dio.
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