Carron: abbiamo tanta strada da fare
Julián Carrón
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martedì 1 maggio 2012
Di
seguito, il testo integrale della lettera al direttore di Julián
Carrón (Comunione e Liberazione) pubblicata su La Repubblica con il
titolo “Carrón: da chi ha sbagliato un’umiliazione per Cl”.
Caro Direttore,
leggendo
in questi giorni i giornali sono stato invaso da un dolore indicibile
dal vedere cosa abbiamo fatto della grazia che abbiamo ricevuto. Se il
movimento di Comunione e Liberazione è continuamente identificato con
l’attrattiva del potere, dei soldi, di stili di vita che nulla hanno a
che vedere con quello che abbiamo incontrato, qualche pretesto dobbiamo
aver dato.
E questo sebbene Cl sia estranea a qualunque
malversazione e non abbia mai dato vita a un “sistema” di potere. Né
valgono le pur legittime considerazioni sulla modalità sconcertante con
cui queste notizie vengono diffuse, attraverso una violazione, ormai
accettata da tutti, delle procedure e delle garanzie pur previste dalla
Costituzione.
L’incontro con don Giussani ha significato
per noi la possibilità di scoprire il cristianesimo come una realtà
tanto attraente quanto desiderabile. Per questo è una grande
umiliazione costatare che a volte per noi non è bastato il fascino
dell’inizio per renderci liberi dalla tentazione di una riuscita
puramente umana. La nostra presunzione di pensare che quel fascino
iniziale bastasse da solo, senza doversi impegnare in una vera sequela
di lui, ha portato a conseguenze che ci riempiono di costernazione.
Il
fatto che don Giussani ci abbia testimoniato fino alla morte che cosa
può essere la vita quando essa è afferrata da Cristo mostra che non
manca nulla alla sua proposta cristiana. Tanti che lo hanno conosciuto
confermano quello di cui noi, suoi figli, abbiamo potuto godere in una
convivenza più o meno stretta con lui: che la sua persona traboccava
Cristo. Questa convinzione ci ha portato a chiedere l’apertura della
causa di canonizzazione, certi del bene che è stato ed è don Giussani
per la Chiesa, per rispondere alle sfide che il cristianesimo ha oggi
davanti a sé.
Chiediamo perdono se abbiamo recato danno alla
memoria di don Giussani con la nostra superficialità e mancanza di
sequela. Spetterà ai giudici determinare se alcuni errori commessi da
taluni costituiscano anche reati. D’altra parte, ciascuno potrà
giudicare se, tra tanti sbagli, siamo riusciti a dare un qualche
contributo al bene comune.
Quando un membro soffre, tutto il corpo
soffre con lui, ci ha insegnato san Paolo. Noi, i membri di questo
corpo che è Comunione e Liberazione, soffriamo con coloro che sono alla
ribalta dei media, memori della nostra debolezza per non essere stati
abbastanza testimoni nei loro confronti; e questo ci rende più
consapevoli del bisogno che abbiamo anche noi della misericordia di
Cristo.
Tuttavia, con la stessa lealtà con cui
riconosciamo i nostri sbagli, dobbiamo anche ammettere che non possiamo
strappare via dalle fibre del nostro essere l’incontro che abbiamo
fatto e che ci ha plasmato per sempre. Tutto il male nostro e dei
nostri amici non riesce a cancellare la passione per Cristo che
l’incontro con il carisma di don Giussani ci ha inoculato. La febbre di
vita che lui ci ha comunicato è così grande che nessun limite riesce a
eliminare e ci consente di guardare tutto il nostro male senza
legittimarlo o giustificarlo.
L’avvenimento
dell’incontro con Cristo ci ha segnato così potentemente che ci
consente di ricominciare sempre, dopo qualsiasi errore, più umili e più
consapevoli della nostra debolezza. Come il popolo di Israele,
possiamo essere spogliati di tutto, andare perfino in esilio, ma
Cristo, che ci ha affascinato, rimane per sempre. Non è sconfitto dalle
nostre sconfitte. Come gli israeliti, dovremo imparare a
essere coscienti della nostra incapacità a salvarci da soli, dovremo
imparare da capo quello che pensavamo già di sapere, ma nessuno ci può
strappare di dosso la certezza che la misericordia di Dio è eterna. In
quante occasioni ci siamo commossi sentendo don Giussani parlare del
“sì” di Pietro dopo il suo rinnegamento.
Per questo non
abbiamo altra lettura di questi fatti se non che essi sono un potente
richiamo alla purificazione, alla conversione a Colui che ci ha
affascinato. È Lui, la sua presenza, il suo instancabile bussare alla
porta della nostra dimenticanza, della nostra distrazione che ridesta
in noi ancora di più il desiderio di essere suoi. Speriamo che il
Signore ci dia la grazia di rispondere con semplicità di cuore a tale
chiamata. Sarà il modo migliore di testimoniare che la grazia data a
don Giussani è molto più di quanto noi, suoi figli, riusciamo a
mostrare.
Solo così potremo essere nel mondo una
presenza diversa, come tanti tra noi già testimoniano nei loro
ambienti di lavoro, in università, nella vita sociale e in politica o
con gli amici, per il desiderio che la fede non sia ridotta al privato.
Lo sa bene chi ci incontra: resta così colpito che gli viene voglia di
partecipare a quello che è stato dato a noi. Per questo dobbiamo
continuamente riconoscere che “presenza” non è sinonimo di potere o di
egemonia, ma di testimonianza, cioè di una diversità umana che nasce
dal “potere” di Cristo di rispondere alle esigenze inesauribili del
cuore dell’uomo. E dovremo ammettere che quello che cambia la storia è
quello che cambia il cuore dell’uomo, come ciascuno di noi sa per
propria esperienza.
Questa novità la potremo vivere e
testimoniare solamente se ci mettiamo alla sequela di don Giussani,
verificando la fede nell’esperienza, tanto egli era persuaso che solo se
la fede è una esperienza presente e trova conferma in essa della sua
utilità per la vita, potrà resistere in un mondo in cui tutto, tutto
dice l’opposto. Abbiamo ancora un lungo cammino davanti e siamo felici
di poterlo percorrere.
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